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20
febbraio 2008
fino al 9.III.2008 …5 minutes later Berlin, Kunst-Werke
around
Autoreferenzialità come metodo d’indagine dell’arte e dei suoi processi. È possibile dare un valore a un’opera concepita in cinque minuti? Una mostra che è quasi un esperimento. E che lascia più perplessità che domande...
Tra progetto e opera finita il tempo è variabile. Le idee non nascono mai d’istinto, ma attraverso l’esperienza e il ragionamento, laddove le illuminazioni sono germogli da coltivare o eventualmente da potare in corso d’opera. In Torno subito (1989) di Cattelan, al cartello in plexiglas era accompagnata una breve parabola zen su un pittore, Chuang-Tzu, il quale impiegò dieci anni per disegnare in pochi secondi “il più perfetto granchio che si fosse mai visto”. Il discorso presentato dalla curatrice Susanne Pfeffer si riconduce dunque strettamente all’arte per l’arte, ovvero ai mezzi intellettuali e pratici che portano al compimento di un’opera, al processo in parole povere. E teoricamente tutti i lavori presenti sono stati ideati in cinque minuti, come in una sorta di esperimento scientifico.
L’esperienza dell’arte concettuale fa necessariamente da madrina, per cui è significativa la presenza di Robert Barry, suo protagonista storico: “Visitors can contemplate for 5 minutes the invisibile aspects of the visual art in the exhibition” (Untitled, 2007) campeggia in uno statement affetto da gigantismo nella hall del museo. Tra ironia e paradosso, l’artista evidenzia con crudezza e sfida la velocità del consumo culturale contemporaneo, anche se maliziosamente sembra suggerire una sorta di critica alla mostra cui partecipa. Aspetto sottolineato nella stessa sala da Ceal Floyer, fresca vincitrice del “2007 Nationalgalerie Prize for Young Art” con Taking a Line for a 5 minute Walk. Una striscia bianca sul pavimento invita a un percorso girovago tra le opere fino a giungere alla sua, o al mezzo della sua, cioè alla macchina che l’artista ha utilizzato per tracciare la linea. In cinque minuti, probabilmente e ironicamente. Invitando noi a percorrerla in altrettanto tempo, dedicando poco più di un minuto al resto esposto in sala.
…5 minuti dopo può essere inteso anche come frammento e aggancio temporale all’interno di una storia immaginata. Come la fotografia di Thomas Demand, o.T. (5 minutes later): l’inquadratura diretta su una maniglia di porta d’albergo mostra uno di quei cartellini “Do not disturb” in bilico; nel momento in cui lui o lei uscirà dalla stanza, esso cadrà come testimonianza che il tempo è fuggito. Il lavoro sembra quasi il pendant, o viceversa, di …5 minutes later di Hans-Peter Feldmann: un asettico e anonimo letto matrimoniale sfatto. Come in una canzone di Elio e le Storie Tese, “se non è amore, dopo il seme c’è la fuga”. Due opere, due luoghi comuni per sottolineare, non senza ironia, come lo stato d’animo possa mutare anche in un breve attimo di tempo.
L’impressione, tuttavia, è che questa mostra si presti a una contemplazione mordi e fuggi, una volta compreso il meccanismo del gioco. Essendo tutti lavori commissionati per l’occasione (fa impressione vedere a gennaio una collettiva con la maggior parte delle opere targate 2008), le poetiche dei singoli artisti invitati si amalgamano e diventano subordinate alle intenzioni curatoriali. È come se il lavoro nella sua singolarità non riuscisse a emergere a fronte di un’idea così forte e vincolante, divenendo in qualche modo sacrificato e compresso.
Per esempio, Micol Assaël presenta un piccolo disegno con diagrammi di circuiti elettrici dalla forma vagamente antropomorfa (17-12-2007, 2007) che difficilmente fa emergere il portato generale del suo lavoro, incentrato sì sulla scienza, ma anche e soprattutto sul rapporto fisico con l’opera cui solitamente il pubblico è sottoposto. O il lavoro di Thomas Rentmeister, o.T., spettacolare ammasso oggettuale bianco che si mette in evidenza più per contrasto al contesto che per sua emergenza visiva.
L’esperienza dell’arte concettuale fa necessariamente da madrina, per cui è significativa la presenza di Robert Barry, suo protagonista storico: “Visitors can contemplate for 5 minutes the invisibile aspects of the visual art in the exhibition” (Untitled, 2007) campeggia in uno statement affetto da gigantismo nella hall del museo. Tra ironia e paradosso, l’artista evidenzia con crudezza e sfida la velocità del consumo culturale contemporaneo, anche se maliziosamente sembra suggerire una sorta di critica alla mostra cui partecipa. Aspetto sottolineato nella stessa sala da Ceal Floyer, fresca vincitrice del “2007 Nationalgalerie Prize for Young Art” con Taking a Line for a 5 minute Walk. Una striscia bianca sul pavimento invita a un percorso girovago tra le opere fino a giungere alla sua, o al mezzo della sua, cioè alla macchina che l’artista ha utilizzato per tracciare la linea. In cinque minuti, probabilmente e ironicamente. Invitando noi a percorrerla in altrettanto tempo, dedicando poco più di un minuto al resto esposto in sala.
…5 minuti dopo può essere inteso anche come frammento e aggancio temporale all’interno di una storia immaginata. Come la fotografia di Thomas Demand, o.T. (5 minutes later): l’inquadratura diretta su una maniglia di porta d’albergo mostra uno di quei cartellini “Do not disturb” in bilico; nel momento in cui lui o lei uscirà dalla stanza, esso cadrà come testimonianza che il tempo è fuggito. Il lavoro sembra quasi il pendant, o viceversa, di …5 minutes later di Hans-Peter Feldmann: un asettico e anonimo letto matrimoniale sfatto. Come in una canzone di Elio e le Storie Tese, “se non è amore, dopo il seme c’è la fuga”. Due opere, due luoghi comuni per sottolineare, non senza ironia, come lo stato d’animo possa mutare anche in un breve attimo di tempo.
L’impressione, tuttavia, è che questa mostra si presti a una contemplazione mordi e fuggi, una volta compreso il meccanismo del gioco. Essendo tutti lavori commissionati per l’occasione (fa impressione vedere a gennaio una collettiva con la maggior parte delle opere targate 2008), le poetiche dei singoli artisti invitati si amalgamano e diventano subordinate alle intenzioni curatoriali. È come se il lavoro nella sua singolarità non riuscisse a emergere a fronte di un’idea così forte e vincolante, divenendo in qualche modo sacrificato e compresso.
Per esempio, Micol Assaël presenta un piccolo disegno con diagrammi di circuiti elettrici dalla forma vagamente antropomorfa (17-12-2007, 2007) che difficilmente fa emergere il portato generale del suo lavoro, incentrato sì sulla scienza, ma anche e soprattutto sul rapporto fisico con l’opera cui solitamente il pubblico è sottoposto. O il lavoro di Thomas Rentmeister, o.T., spettacolare ammasso oggettuale bianco che si mette in evidenza più per contrasto al contesto che per sua emergenza visiva.
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a cura di Susanne Pfeffer
KW – Institute for Contemporary Art
Auguststrasse, 69 (zona Mitte) – 10117 Berlin
Orario: tutti i giorni ore 12-19; giovedì 12-21; chiuso lunedì
Ingresso: intero € 6; ridotto € 4
Info: tel. +49 302434590; fax +49 3024345999; info@kw-berlin.de; www.kw-berlin.de
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