18 novembre 2025

Il Cristo incompiuto di Michelangelo Buonarroti arriva a Palermo

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Palazzo Reale ospita il Cristo risorto Portacroce Giustiniani, la prima versione del Cristo della Minerva conservato a Roma: una vicenda riemersa dal passato tra difetti del marmo, attribuzioni e ipotesi berniniane. Ecco tutta la storia di quest’opera

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Cristo risorto Portacroce Giustiniani. Palazzo Reale di Palermo

Fino al 30 aprile 2026, nelle sale degli Appartamenti del Palazzo Reale di Palermo, sarà possibile ammirare il Cristo risorto Portacroce Giustiniani. La scultura, attribuita a Michelangelo Buonarroti e realizzata tra il 1514 e il 1516, è nota per essere la prima versione incompiuta del Cristo della Minerva (1519-21), conservato nella basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma. Giunta per la prima volta in Sicilia, l’opera diviene testimonianza della complessa poetica artistica di Michelangelo e dell’intricata vicenda storica e attributiva che l’ha riportata alla luce.

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Cristo risorto Portacroce Giustiniani. Palazzo Reale di Palermo

L’interruzione della lavorazione da parte dell’artista non fu determinata da un ripensamento iconografico o dalla ben nota poetica del non finito michelangiolesca, ma dalla scoperta di un’evidente venatura scura che solcava la porzione di marmo destinata al volto del Cristo. L’artista, la cui visione era profondamente intrisa del pensiero neoplatonico, mirava al raggiungimento di un’alta dimensione spirituale attraverso le sue opere, le quali divenivano così puro mezzo di rappresentazione del divino. Poiché l’ideale di bellezza mirava al trascendente ed era percepita come essenza spirituale prima ancora che mera qualità fisica o estetica, la naturale imperfezione del blocco lapideo fu ritenuta inconciliabile con la rappresentazione della Risurrezione.

Cristo risorto Portacroce Giustiniani. Palazzo Reale di Palermo

La complessa storia del Cristo Portacroce lo vide transitare, dopo l’abbandono michelangiolesco, nella prestigiosa collezione del Marchese Vincenzo Giustiniani, dove figura nell’inventario redatto nel 1638. Tuttavia, per lungo tempo, la scultura rimase nell’ombra o di incerta attribuzione e fu solo in seguito agli studi condotti da Silvia Danesi Squarzina e Irene Baldriga alla fine degli anni Novanta che si riuscì a ricostruire la storia dell’opera e a pervenire alla quasi unanime attribuzione alla mano di Michelangelo.

Nelle ricerche di Danesi Squarzina e Baldriga – riprese dallo storico dell’arte Christoph Luitpold Frommel nel suo saggio del 2009 Michelangelo, Bernini e le due statue del Cristo risorto – si avanza inoltre l’ipotesi che l’incarico di ultimare l’opera venne affidato al giovane Gian Lorenzo Bernini (o bottega), commissionato dal Marchese Giustiniani nel periodo in cui la scultura figurava nella sua collezione. Nel confronto fra il Cristo risorto oggi esposto a Palazzo Reale e il Cristo della Minerva, si evidenzia inoltre la nudità del primo e l’aggiunta del drappeggio bronzeo nel secondo, elemento tipico dell’arte controriformata. L’opera diviene quindi esempio di interventi che si stratificano e visioni appartenenti a epoche differenti, di cui Frommel specifica l’importanza di un ulteriore riconoscimento della «parte autenticamente michelangiolesca dai presumibili cambiamenti posteriori».

Cristo risorto Portacroce Giustiniani, dettaglio. Palazzo Reale di Palermo

L’esposizione, organizzata dalla Fondazione Federico II e in collaborazione con il Monastero San Vincenzo Martire – Monaci Benedettini Silvestrini, diviene l’occasione per portare all’attenzione del grande pubblico un’opera di uno dei più importanti Maestri del Rinascimento, il quale «descrive appieno il legame profondo tra la storia culturale italiana e la spiritualità universale», come espresso da Gaetano Galvagno, Presidente della Fondazione Federico II.

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