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Alla Bienal de Arte Paiz cresce l’Albero del Mondo: intervista a Eugenio Viola
Arte contemporanea
di redazione
46 artisti provenienti da cinque continenti, chiamati a intervenire in 11 sedi espositive diverse, tra spazi istituzionali e luoghi pubblici: in un’epoca in cui le spaccature tra i territori, tra gli individui, le culture, le esperienze, sembrano farsi sempre più profonde, la Bienal de Arte Paiz sceglie di intrecciare le radici, che uniscono partendo dalle profondità. Con la sua 24ma edizione, intitolata The World Tree – El Árbol del Mundo, la manifestazione guatemalteca fondata nel 1978, la seconda più longeva dell’America Latina, segna un traguardo storico: mai prima d’ora aveva riunito un numero tanto ampio di autori internazionali.

Curata da Eugenio Viola, nato a Napoli nel 1975 e attuale direttore artistico del MAMBO – Museo d’Arte Moderna di Bogotá, questa edizione estesa su tre mesi, dal 6 novembre 2025 al 15 febbraio 2026, e diffusa tra Antigua e Ciudad de Guatemala, mette in dialogo genealogie culturali e temporalità differenti, dalle cosmogonie antiche alle utopie future, immaginando una contro-cartografia di resistenza, resilienza e rigenerazione. Al centro, la metafora dell’Albero del Mondo: un simbolo che attraversa culture, religioni e tradizioni, dal Popol Vuh maya alle rappresentazioni occidentali di Dante e Leonardo, fino a proporsi come un modello sinaptico per rileggere le relazioni umane e i nodi critici della contemporaneità.

Oltre agli italiani Diego Cibelli e Gian Maria Tosatti, le artiste e gli artisti coinvolti sono: Maria José Arjona, Kader Attia, Sonia Barrett, Patricia Belli, Erick Boror, Seba Calfuqueo, Jeff Cán, Tania Candiani, Ali Cherri, Maria Adela Díaz, Adji Dieye, Elyla, Naufus Ramírez-Figueroa, Regina José Galindo, Ana Gallardo con María Us, Ximena Garrido-Lecca, Igor Grubić, Dor Guez, D Harding, Voluspa Jarpa, Alevtina Kakhidze, Kimsooja, Kite, Glenda León, Jorge De León, Luz Lizarazo, Carlos Martiel, Oscar Murillo, Plano Negativo, Maria Nepomuceno, Tuan Andrew Nguyen, Chelsea Odufu, ORLAN, Antonio Pichillá, Verónica Riedel, Christian Salablanca, Jaanus Samma, Mithu Sen, Hiraki Sawa, Balam Soto, Jennifer Tee, Simón Vega, Martín Wannam, Zhang Xu Zhan.
Tra le sedi scelte, il Museo De Arte Colonial – USAC e La Nueva Fàbrica, ad Antigua, e Casa Ibarguen e la Antigua Tipografia Sanchez & De Guise, a Città del Guatemala. La Biennale si arricchirà inoltre di un dialogo inedito con l’archeologia: grazie alla collaborazione con la Fundación Ruta Maya, circa 30 reperti pre-ispanici della cultura maya – sculture, maschere, brucia-essenze e ornamenti cerimoniali – entreranno in risonanza con le opere contemporanee.
Ne abbiamo parlato con lo stesso Viola, già curatore al Museo Madre di Napoli e del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 2022, oltre che al Pica – Perth Institute of Contemporary Art, in Australia, che ci ha raccontato il senso di questa edizione della Biennale de Arte Paiz, la sua dimensione interculturale e il dialogo con le eredità che la sostengono.

Questa edizione della Biennale d’Arte Paiz ha come titolo The World Tree. Perché questa scelta curatoriale e quale urgenza assume oggi, in un momento di tensioni e trasformazioni globali?
«Il tema curatoriale che ho immaginato per la 24ma Biennale d’Arte Paiz, L’Albero del Mondo, trae ispirazione dal vasto simbolismo associato all’Albero della Vita, un mito archetipico centrale in molte cosmogonie antiche, comprese quelle delle tradizioni assira, indù, iraniana, cinese, islamica, nativa nordamericana, ebraica e cristiana. Queste narrazioni di creazione e delle origini degli esseri viventi ritraggono l’albero come un corpo che racchiude tre livelli di esistenza: il cielo, dove risiedono gli dèi; la terra, che rappresenta la vita tangibile; e l’oltretomba, che contiene le anime dei defunti.
Il mio punto di partenza è stato la cosmogonia maya, in cui L’Albero del Mondo, noto anche come ceiba o yaxché, è un simbolo fondamentale che rappresenta la struttura dell’universo e la connessione tra i diversi livelli di esistenza.
Il Popol Vuh racconta che gli dei piantarono un albero di ceiba in ciascun angolo del mondo, rappresentando le quattro direzioni cardinali, e un quinto albero al centro, collegando l’oltretomba, il mondo terreno e i cieli. Questo albero centrale, noto come Albero del Mondo, era considerato il sacro axis mundi, ovvero il centro del mondo. Le antiche civiltà maya adottarono l’ordine quadripartito nella loro architettura, proprio perché basato sulla credenza che il mondo fosse composto da cinque alberi di ceiba. Costruirono importanti templi disposti in questo modo per onorare i cinque yaxché della creazione. Il concetto di axis mundi è anche largamente presente anche nella cultura occidentale, dalla Comedìa di Dante Alighieri all’Homo Vitruvianus di Leonardo da Vinci.
Procedendo dalle cosmogonie antiche alle lacerazioni del presente, L’Albero del Mondo funge da potente metafora per esplorare e interrogarsi sui diversi livelli dell’esistenza. Le radici rappresentano gli elementi fondamentali su cui si costruisce l’identità collettiva.
Non è un caso che Empedocle, indagando il principio di tutte le cose, le definisse ριζώματα (rizòmata), ovvero “radici”. Tuttavia, queste radici possono anche simboleggiare le disuguaglianze storiche che continuano a plasmare le divisioni sociali odierne. Il tronco incarna le manifestazioni visibili dei problemi strutturali che derivano da tali radici. I rami simboleggiano la diversità delle esperienze individuali e collettive come si manifestano nei vari ambiti della società, ma possono anche illustrare le divisioni esistenti della società. Le foglie rappresentano le storie personali, i pensieri e le aspirazioni delle persone all’interno del più ampio contesto collettivo.
Insieme, questi elementi danno vita alla “metafora arborea”, che visualizza come le diverse parti della nostra società siano interconnesse e come i problemi in un’area possano influenzare l’intero sistema. Questo schema mette in evidenza le relazioni tra le questioni fondamentali, le loro manifestazioni strutturali e la molteplicità delle esperienze individuali. Incoraggia la ricerca di modalità alternative, volte a intrecciare armoniosamente questi aspetti nella costruzione di una società più equa e giusta.
Questo sistema interconnesso funge da piattaforma dinamica per i 46 artisti che ho invitato a partecipare, organizzati sinapticamente in una contro-cartografia di resistenza, resilienza e rigenerazione».

La Biennale riunisce artisti provenienti da tutti i continenti. In che modo questa pluralità di voci e genealogie culturali si intreccia nel progetto curatoriale dell’Albero del Mondo?
«L’Albero del Mondo è concepito come un sistema multildimensionale e interconnesso, che rispecchia l’intricata rete di relazioni rappresentate dai contributi dei singoli artisti invitati, provenienti da tutti e cinque i continenti e di differenti generazioni. Questi artisti esplorano dimensioni sociali, politiche, ancestrali, spirituali e ambientali legate alla contemporaneità, offrendo molteplici prospettive all’interno di questa complessa rete di lingue, religioni, culture e storie che definiscono il nostro mondo globalizzato.
D’altronde, oggi viviamo un’epoca paradossale, caratterizzata da una connettività globale senza precedenti accompagnata da un’intolleranza crescente, a causa delle numerose sfide poste da conflitti, migrazioni di massa e crisi umanitarie che affliggono il nostro presente incerto. Grazie a una narrazione decentralizzata e sinaptica, L’Albero del Mondo sfida i tradizionali schemi geopolitici, creando connessioni tra genealogie culturali provenienti dalle Americhe, i Caraibi, dall’Africa e dalla sua diaspora, dall’Europa, dal Medio Oriente, dall’Asia e dall’Oceania.
Molti di questi artisti sono “compagni di viaggio”, una parte essenziale del mio percorso umano e professionale, con i quali ho collaborato nel corso della mia carriera. Questa scelta incarna la mia visione curatoriale, in cui ogni esposizione è un saggio visivo che fa parte di un discorso più ampio e in continua evoluzione, una narrazione che si costruisce costantemente nel tempo. All’interno di questa narrazione in costante evoluzione, gli artisti contribuiscono a un viaggio condiviso che è sia intellettuale che emotivo, ma soprattutto profondamente umano.
Pertanto, L’Albero del Mondo non è stato concepito come una raccolta di dichiarazioni isolate; piuttosto, apre a una costellazione di voci, reinterpretate come una mappa sinaptica, che visualizza la nostra società come una rete dinamica e interconnessa, una cartografia fluida di relazioni umane, legami sociali e scambi culturali».
La Biennale mette in relazione opere contemporanee con reperti archeologici maya. In che modo questo dialogo con il passato arricchisce la visione del presente e amplifica il concetto di Albero del Mondo?
«L’Albero del Mondo è arricchito dall’inclusione di circa 30 opere d’arte pre-ispaniche della cultura Maya. Questa selezione, che comprende sculture, monumenti, figurine, brucia-essenze, ornamenti per cinture, urne e maschere provenienti dai periodi Preclassico (150/200–650 d.C.), Classico (150/200–900 d.C.) e Tardo Classico (650–900 d.C.), proviene da varie regioni del Guatemala. Esposte in dialogo dinamico con opere contemporanee, creano un potente corto-circuito meta-storico tra passato e presente, mito e realtà. Rendono omaggio alla natura ciclica del tempo nella cosmologia Maya e completano il concetto Albero del Mondo come un progetto che trascende le epoche e celebra le radici culturali di Mesoamerica».














