27 aprile 2022

Alla scoperta della Biennale di Venezia, dietro le quinte, con Green Spin

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In questa intervista vi portiamo alla scoperta della 59ma Biennale d'Arte di Venezia, vista dietro le quinte con Green Spin, deus ex machina del Padiglione Belgio e di tanti altri progetti

In occasione della 59ma Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Green Spin, società leader nel settore della produzione di mostre e progetti artistici, rinnova la sua collaborazione con il Padiglione del Belgio per la mostra “The Nature of the Game” dell’artista Francis Alÿs. Abbiamo intervisto Gaston Ramitrez Feltrín, presidente di Green Spin, che ci guida in un affascinante viaggio dietro le quinte della Biennale.

Nel sistema dell’arte la figura dell’allestitore affianca artista e curatore perlopiù arrivando in fase di montaggio della mostra, dopo la produzione delle opere, agendo nello spazio espositivo. Come si articola il vostro lavoro? Quali sono i passaggi più complessi? 

«Green Spin è un’impresa di produzione che si occupa di accogliere progetti di mostre, performance, manifestazioni artistiche e di architettura. L’allestimento ha a che fare con l’approntamento, il montaggio, l’arredo di qualcosa di temporaneo, di prestabilito, di contro la produzione – di cui noi ci occupiamo – ha delle connotazioni specifiche relative alla creazione, lo sviluppo, la trasformazione di idee e concetti, nel nostro caso, di eventi culturali. Nel corso degli anni ci siamo trovati a disegnare la produzione dell’opera stessa con l’artista o a creare insieme a lui l’impianto visivo che ne rendesse possibile la realizzazione; altre volte abbiamo costruito i percorsi narrativi delle mostre o semplicemente realizzato gli allestimenti già definiti. Fin dagli inizi ci siamo posti l’obiettivo di non proporci come esecutori ma come collaboratori attivi e reattivi davanti alle proposte dei curatori e degli artisti con cui, in molte occasioni, abbiamo continuato a collaborare nel tempo, in Italia e all’estero.

Il nostro lavoro non ha un’articolazione univoca e unidirezionale, ogni progetto viene affrontato tenendo in conto le sue complessità, e il nostro contributo necessariamente viene ogni volta modulato secondo il caso, cercando di prevedere anche possibili “aggiustamenti”, sia in termini di soluzione artistica che di efficienza nell’uso dei budget del cliente e nella efficacia della comunicazione.

I passaggi più complessi potrei dire che sono per lo più dettati da condizioni ambientali, burocratiche, tecniche che emergono in contesti vincolati e dettati da una città sull’acqua o tecnicismi da risolvere».

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Francis Alys, Padiglione del Belgio, la BIennale Arte 2022, set up by Green Spin ph. credit

Come è composto lo staff di Green Spin? 

«Il nocciolo duro siamo noi soci fondatori, io, un artista, e Dino Verlato e Michele Zordan, due architetti. Uno dei nostri punti di forza è la sinergia sviluppata negli anni, che riesce a far incontrare al meglio i diversi background culturali e professionali. La professione di Dino e Michele, e la loro esperienza internazionale in ambito progettuale ed esecutivo, e la mia formazione artistica e attività di producer nell’arte, nel cinema, nel teatro e nella radio, ci consentono una visione globale dei progetti e una capacità d’intervento a 360 gradi.

Operiamo con una struttura interna e consulenti esterni in diversi settori, dalla sicurezza sul lavoro agli artigiani, dal personale di guardiania a personale tecnico etc. Un aspetto a cui teniamo molto è poi l’offrire la possibilità a giovani artiste/i e studenti delle discipline artistiche e curatoriali di collaborare con noi (sempre pagati come si deve, non crediamo nel volontariato), coinvolgendoli in ruoli che possono andare dal production assistant, al registrar, fino alla mediazione culturale, ecc. Ne esce un bello scambio tra le competenze che apportano e le cose nuove che imparano.

La nostra attività ci porta a collaborare con moltissime persone che non sempre si vedono e che purtroppo non sempre ricevono il credito che si meritano. Un anno, facendo il conteggio delle persone coinvolte in un Padiglione, tra lo staff del Paese e il nostro, siamo arrivati a più di 100 e migliaia di ore lavoro uomo».

Green Spin (Dino Verlato, Gaston Ramirez Feltrin) insieme a Francys Alys, la curatrice del Padiglione del Belgio, HildeTeerlinck e Rafael Ortega.

Gran parte della vostra attività si svolge in occasione della Biennale di Venezia, per produrre mostre, performance e anche opere di singoli artisti o architetti invitati nella main exhibition; a voi si deve la riuscita di molti Padiglioni Nazionali. Che cosa significa lavorare nel contesto Biennale? Che cosa c’è dietro le mostre che visitiamo?

«Sì, è stata fin da subito la nostra privilegiata area di intervento, ma da alcuni anni ci occupiamo anche di progetti non legati ai tempi e le dinamiche della Biennale, come la Venice Glass Week che si svolge a settembre.

Quando si parte con un progetto per la Biennale  per prima cosa bisogna considerare se sarà dentro i recinti dei Giardini e dell’Arsenale, in tal caso si devono seguire dei procedimenti specifici dettati dalla Fondazione la Biennale stessa che vengono poi sottoposti alle autorità competenti in una grande conferenza di servizi in cui si valutano tutti i particolari di ogni progetto. Dalla sicurezza alla conformità dei materiali, dalle certificazioni dei professionisti ai permessi necessari per aprire eventi al pubblico, ecc. si tratta di questioni che – sebbene possano apparire poco pregnanti ai non addetti ai lavori – sono specificità importanti che richiedono l’intervento di tecnici, in un processo determinante per la riuscita della mostra e per aprire al pubblico in sicurezza.

Quando si fanno progetti nel contesto Biennale ma non sono realizzati dentro il suddetto terreno, in aggiunta alle pratiche già dette ci si deve confrontare con le autorità locali come la Soprintendenza dei Beni architettonici, l’ufficio dei lavori pubblici e pubblico spettacolo del Comune di Venezia, i vigili del fuoco, ecc. cosa che rende il processo molto più articolato e complesso rispetto al lavoro per un white cube, per esempio. Anche la scelta dello spazio non è un aspetto trascurabile e, da parte nostra, grazie alla conoscenza del territorio e all’attività di location scouting, negli anni siamo anche riusciti a trovare delle “chicche”, come la Chiesa di San Lorenzo che siamo riusciti a far riaprire per il Padiglione del Messico alla Biennale Architettura del 2012. Da allora la sua vocazione di spazio espositivo si è consolidata.

In tutto questo non bisogna mai dimenticarsi la movimentazione di opere, trasporti e logistica in una città sull’acqua!».

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Padiglione del Messico 2012. 13ma Esposizione INternazionale di Architettura-la Biennale di Venezia

Per questa edizione Green Spin si è concentrata sul Padiglione del Belgio. Come si è articolato il vostro lavoro?

«Il progetto di Francis Alÿs è particolarmente complesso e già agli inizi dell’anno scorso abbiamo avuto i primi incontri con la curatrice Hilde Teerlinck, per definire le migliori strategie per poterlo realizzare, così abbiamo deciso di concentrarci esclusivamente su questa avventura non accettando altri impegni. Per la mostra “The Nature of the Game” abbiamo dovuto modificare completamente lo spazio.

Uno dei limiti dell’edificio è l’acustica, avendo delle volte su tutto il perimetro del salone principale abbiamo dovuto insonorizzare il soffitto, per poterlo fare nel miglior modo possibile abbiamo dovuto trovare il materiale adatto per riuscire ad abbassare consistentemente l’eco, una volta trovato il materiale adatto abbiamo dovuto installare su tutto il perimetro del soffitto dei pannelli fonoassorbenti che hanno permesso di eliminare questo problema.

Un’altra delle lavorazioni nodali è stata la creazione delle contropareti per installare gli schermi e tutte le apparecchiature audio video, in quel caso gli architetti hanno dovuto risolvere strutturalmente gli ancoraggi e le sottostrutture per poter rendere l’installazione stabile, sicura e che rispettasse tutti i requisiti di legge. Tante volte si danno per scontate le lavorazioni senza tenere in conto le complessità intrinseche; ad esempio, se gli ancoraggi si devono fare sui muri e per realizzarli bisogna utilizzare dei tasselli, come facciamo se il palazzo è vincolato ed è tassativamente vietato toccare i muri? Ecco, questo tipo di problemi e soluzioni sono quelli che ci troviamo davanti ogni volta che si propone un progetto. È scontato quindi che quasi ogni muro, trave e pavimento a Venezia sia vincolato.

Un’altra sfida affrontata è stata l’installazione di un sistema temporaneo di condizionamento dell’aria, non solo per evitare il surriscaldamento ambientale ma anche per permettere un’adeguata circolazione dell’aria ai sensi delle prescrizioni anti covid (tema nuovo) e anche rendere più gradevole la fruizione della mostra.

Senza voler togliere poesia alla mostra e all’opera, se vogliamo addentrarci nel backstage tecnico, posso dire che un punto chiave del progetto è stato proporre di utilizzare nuove tecnologie per la riproduzione delle immagini video. Si era partiti con l’ipotesi dei videoproiettori già utilizzati in altre mostre dall’artista, si è arrivati a utilizzare dei LED wall d’ultima generazione che permettono proiezioni molto grandi senza dover fissare niente sia ai muri che alle travi e capriate; la scelta ha portato a un risultato totalmente diverso e con un effetto visivo più impattante.

Insomma, queste sono complessità “tipiche” che si affiancano alla questione della movimentazione e logistica di più di 10 tonnellate materiali e attrezzature cosa che a Venezia, per la sua urbanistica, è sempre una gestione importante.  Inoltre mi piace pensare che il progetto fosse anche un po’ di casa, Alÿs vive da molti anni in Messico – mio Paese di origine – e il nostro gruppo di lavoro ha contributo alla nascita del Padiglione messicano nel 2007, da lì in poi vi ha lavorato per diverse edizioni fino quando non è definitivamente nata Green Spin.  Tutto ciò, seppur “strano”, ha contribuito a rendere naturale e piacevole il nostro totale coinvolgimento con il Padiglione del Belgio di quest’anno».

Quali sono le nuove sfide ed i nuovi progetti di Green Spin?

«Già un mese fa siamo partiti sul lavoro per mostra “Hub” della The Venice Glass Week che quest’anno è diventata molto più complessa. Dopo un meritato riposo post opening Biennale, ci concentreremo nel suo sviluppo. Per quanto riguarda altri progetti è un po’ prematuro parlarne, ma stiamo valutando un paio di idee che dovrebbero vedere Green Spin non solo come produttore ma anche ideatore. Ci divertiremo!».

Ariel Guzik-Padiglione Messico, 55.ma Esposizionale d’Arte-la Biennale di Venezia 2013, ph. L. Vascon

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