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Berna Reale usa l’arte per denudare la violenza dalla sua estetica quotidiana
Arte contemporanea
All’undicesima edizione, intitolata BIG CHAOS, il BIG – Bari International Gender si conferma un festival delle arti necessario e degno di nota, vista la rete internazionale e gli spunti critici che riesce a proporre, con anche quest’anno un focus sull’arte contemporanea curato dall’artista Pamela Diamante che porta a Bari una personalità come Berna Reale (1965, Belém do Pará, Brasile), in Italia per la sua prima mostra personale dopo la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2015.

Estetica della violenza è un percorso espositivo inaugurato da un incontro pubblico con l’artista, che tiene in conto della sua produzione dal 2012 al 2019, ed è l’occasione per presentare in anteprima mondiale la nuova opera 2025 MAYDAY MAYDAY MAYDAY, nella Pinacoteca Metropolitana “Corrado Giaquinto” sul lungomare barese. La Pinacoteca, ospitata nel Palazzo della Città, raccoglie pezzi dall’XI al XX secolo e apre per la prima volta alla videoarte – grazie alla collaborazione del Festival con Micaela Paparella, consigliera metropolitana delegata alla valorizzazione e tutela della Pinacoteca stessa – inglobata nel percorso museale in un confronto serrato col passato.

Le sale interessate sono la seconda e la saletta dei restauri, dove si accendono gli schermi con gli 11 video di Berna Reale, documenti da alcune sue performance, anche concepiti come opere a sé autoportanti, riuniti qui in un allestimento ideato da Diamante che si lega al luogo e i temi proposti.
Le opere di Reale affrontano con un certo ordine formale il disordine contemporaneo, quel “big chaos” morale, percettivo, emotivo individuale, allo stesso tempo sociale, economico e anche climatico ambientale, che segna e lede violentemente le identità e i corpi, tra diritti e ricatti, tra potere e impotenza. Come performer, Reale aderisce a quella corrente di militanti dell’arte contemporanea, sviluppata negli anni Novanta quando anche la sua carriera ha preso avvio, che attraverso azioni performative intervengono in contesti site specific su questioni di grande e dolorosa rilevanza collettiva.

Il punto della mostra è sull’impatto etico della estrema estetizzazione della violenza, perpetrata, esibita e subita nel quotidiano in campo mediatico; il concetto di “estetica della violenza” si riferisce a un quadro teorico e una pratica artistica che utilizza la rappresentazione di atti violenti, strutture di potere e conseguenze della brutalità umana, cause ed effetti, non per glorificarla, giacché la consumiamo in diretta e l’ingiustizia è già spettacolo, ma per denunciarla e attivarne una riflessione in piena coscienza: la società così è allo specchio. Un approccio per ridefinirla come “estetica critica della violenza”, che passa da una rigorosa e attrattiva costruzione delle immagini, nel ricostruirne le dinamiche, per interpellare la responsabilità condivisa col pubblico, quando si tratta della natura sistemica di forme di razzismo, di controllo e sorveglianza da parte delle forze dell’ordine, di corruzione e impunità, dell’occultamento del crimine, delle condizioni di miseria e di reclusione penitenziaria e dell’oppressione di genere, delle diseguaglianze, della distorsione dell’informazione e altre criticità istituzionali.

Roesler. Pinacoteca Metropolitana Corrado Giaquinto – Bari International Gender Festival
La ricerca si concentra in Brasile e nasce da un’urgenza che affonda nel background dell’artista, che dal 2010 lavora anche come criminologa forense al Centro de Perícias Renato Chaves a Belém: attraverso l’esperienza professionale, Reale disvela i meccanismi nascosti o malcelati del sistema governativo – una peculiarità non da poco nel mondo dell’arte – come a restituire poeticamente i maltolti nel Paese.
Il suo corpo è la misura delle ingiustizie, travestendosi di volta in volta da portavoce di diverse istanze, è al centro di atti performativi che sfidano la censura usando gli stessi elementi, “nomen omen”, del reale, che diventano elementi estetici e, naturalmente, politicizzati. Una dichiarazione di principio per cui il corpo è uno strumento politico – e questo lo abbiamo acquisito da decenni – e la sua presenza nell’indagine artistica legittima una testimonianza e un impegno civile.

Roesler. Pinacoteca Metropolitana Corrado Giaquinto – Bari International Gender Festival
Tra quelle in mostra, un’opera su tutte lo racconta, Ordinário (2013), in cui Reale raccoglie e trasporta vere ossa umane, i resti di vittime anonime, di persone scomparse mai reclamate e ritrovate dalla polizia in cimiteri clandestini a seguito di omicidi avvenuti nel quartiere di Jurunas, nella sua città, poi depositate nell’oblio.
La forza delle performance sta in una denotabile cura, appunto, estetica, (si veda Palomo, 2012 o Ginástica da pele, 2019) e prima ancora progettuale, organizzativa a monte, per cui anni di ricerca confluiscono in sintesi video e fotografiche di estrema chiarezza comunicativa. Protocollando ogni passaggio, l’artista porta la crudissima realtà nella sfera del simbolico, tramite scelte precise di oggetti di scena e colori, ambientazioni, costumi e gesti, che funzionano come ancoraggi per superare il livello di lettura della rappresentazione e restare come tracce documentali.
Oltre l’atto performativo, permangono infatti immagini ibride “parlanti”, anche senza dettagli narrativi, la chiave è nell’ironia del paradosso, agendo per contrasti grotteschi che attirano l’attenzione, salvo poi suscitare un senso di repulsione o disagio etico, che rendono impossibile l’indifferenza.


Berna Reale discute gli abusi. Di potere, sessuali, identitari e quelli perpetrati sull’ambiente. Lo fa in pubblica piazza, in luoghi in cui la legge sembra sospesa e la violenza è la norma, dalla sua posizione di interprete e di impiegata nel sistema – che invece di amministrare le vite, finisce per esporle in modo violento – operando per non cedere alla sfiducia, in una forma di resistenza alla necropolitica, ripensando il mondo in cui viviamo, più che immaginandone uno diverso.
Una richiesta di soccorso, fino al “mayday” in piena crisi ecologica della sua ultima produzione, che non possiamo ignorare. Celebrazione dell’arte sul margine del disastro.












