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Caos al Padiglione Stati Uniti per la Biennale di Venezia 2026: arriva Alma Allen, forse
Arte contemporanea
di redazione
A pochi mesi dall’apertura al pubblico della 61ma Biennale d’Arte di Venezia, prevista per il 9 maggio 2026, il Padiglione degli Stati Uniti si trova nel pieno di una crisi di gestione. Dopo l’annuncio della rinuncia dell’artista Robert Lazzarini per mancanza di fondi, la scena si riapre con un nuovo, inatteso nome: secondo quanto riportato da ARTnews, sarà lo scultore Alma Allen a rappresentare gli Stati Uniti ai Giardini.
La nomina, fino a ieri bloccata dallo shutdown del governo americano, potrebbe essere ufficializzata a breve: il Senato ha infatti approvato un accordo bipartisan che sospende la chiusura amministrativa per tre mesi, finanziando lo Stato federale fino al 30 gennaio 2026 e consentendo la riassunzione dei dipendenti pubblici. La misura, che evita una paralisi dei trasporti e delle istituzioni culturali, permetterà anche al Dipartimento di Stato e al National Endowment for the Arts di riprendere le procedure per la Biennale.

La curatela del progetto sarebbe stata affidata a Jeffrey Uslip, già commissario del Padiglione di Malta nel 2022. Tuttavia, la situazione rimane incerta: non è chiaro se Uslip e Allen stiano lavorando con un’istituzione committente, come avviene tradizionalmente per il Padiglione USA.
Un’organizzazione complessa
L’assegnazione del Padiglione 2026 è stata travagliata sin dall’inizio. Solo pochi giorni fa, il Washington Post aveva confermato la selezione di Robert Lazzarini, noto per le sue sculture distorte che rielaborano icone della cultura americana. La decisione è però saltata all’ultimo momento: lo stesso artista ha dichiarato di aver dovuto rinunciare a causa di «Problemi burocratici e mancanza di fondi», non per divergenze ideologiche.
Il budget ufficiale stanziato dal governo americano per il Padiglione ammonta infatti a 375mila dollari, una cifra irrisoria rispetto ai costi effettivi, che nelle ultime edizioni hanno superato i 5 milioni di dollari, nel 2022, con Simone Leigh, e i 7 milioni, nel 2024, con Jeffrey Gibson. La copertura finanziaria deriva in gran parte da sponsor privati e istituzioni museali, il che rende la gestione del Padiglione particolarmente complessa.
In attesa di comunicazioni ufficiali, anche l’organizzazione rimane poco chiara. Il Padiglione degli Stati Uniti viene solitamente commissionato tramite un’istituzione, per esempio, il Whitney Museum o il Guggenheim, eppure non c’è alcuna conferma di un partner del genere. ARTnews ha rintracciato, sul sito web dell’American Arts Conservancy, una pagina dedicata al Padiglione degli Stati Uniti del 2026, suggerendo che potrebbe essere l’ente organizzatore. Organizzazione no-profit fondata solo pochi mesi fa, a luglio 2025, l’American Arts Conservancy include Uslip nel suo consiglio consultivo e descrive la sua missione in termini piuttosto ampi: «Promuovere l’eredità degli artisti americani attraverso la conservazione, l’educazione e l’impegno culturale globale».

Alma Allen, la scelta fuori dagli schemi per il Padiglione USA
La selezione di Alma Allen, nato nel 1970 nello Utah, rappresenta un rottura rispetto alla tradizione del Padiglione USA, solitamente riservato a nomi di primo piano dell’arte contemporanea. Scultore autodidatta, Allen è conosciuto per le sue opere in pietra, legno e bronzo, spesso realizzate con tecniche ibride che uniscono artigianato e robotica. Dal 2017 lavora in Messico, a Tepoztlán, dove ha costruito il proprio studio-laboratorio dotato di una fonderia e di un robot progettato su misura per la modellazione dei materiali.

Negli ultimi anni, Allen ha esposto al Museo Anahuacalli di Città del Messico, nel 2023, al Palm Springs Art Museum, nel 2018, e in una installazione pubblica lungo Park Avenue a New York. Le sue opere sono presenti nelle collezioni del LACMA e del Palm Springs Art Museum, tra gli altri.
Le ombre sulla gestione e la nuova linea politica
Il caso statunitense riflette un clima di incertezza politica e culturale legato alle recenti riforme del National Endowment for the Arts – NEA e del Dipartimento di Stato, responsabili, tra le altre materie, della selezione del Padiglione. La call per il 2026 richiedeva proposte che «Riflettano e promuovano i valori americani» e «Favoriscano relazioni pacifiche con altre nazioni», una formulazione che molti hanno interpretato come un segnale di ritorno a un’arte istituzionale più allineata al soft power diplomatico.
Mentre altri Paesi come la Gran Bretagna, con Lubaina Himid, la Francia, con Yto Barrada, e il Canada con Abbas Akhavan, hanno già ufficializzato i propri artisti, il Padiglione americano resta dunque in una fase di fragile transizione, tra incertezze finanziarie, tensioni politiche e un sistema culturale ancora alla ricerca di un equilibrio, alle prese con gli scossoni trumpiani.














