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Al Castello di Rivoli tre grandi artisti contemporanei ridisegnano lo spazio della collezione
Arte contemporanea
Si apre al Castello di Rivoli l’esperienza del nuovo format Inserzioni. Si tratta di veri e propri inserimenti di progetti espositivi di artisti emergenti o già affermati, all’interno delle sale del museo solitamente dedicate alla prestigiosa collezione permanente, che si alterneranno nel corso dei mesi. Il concept nasce da un’opera che, in occasione della mostra d’apertura Ouverture del 1984, Rudi Fuchs commissionò a Lawrence Weiner: un’opera geniale e minimale, che parla di inserzioni, appunto, inserimenti, iscrizioni “fino a un certo punto inserite”. Perché quest’opera è tanto capace di ispirare?

Come sottolinea il direttore Francesco Manacorda, il Castello di Rivoli non è un museo qualunque, ma ha una sua identità molto particolare. Oltre ad essere stato tra i primi musei interamente dedicati all’arte contemporanea in Europa, e il primo in Italia, il museo del castello di Rivoli nasce a partire da una fine architettura barocca. Un po’ come una versione particolare della Sagrada Familia di Gaudì o, filosoficamente parlando, come i sentieri interrotti di heideggeriana memoria, il museo del Castello di Rivoli è però un progetto che non fu mai ultimato, la cui caratteristica principale, dal 1984 ad oggi, è proprio la capacità di iscrivere opere contemporanee in un contesto architettonico barocco e quindi “altro”. La stratificazione dei significati, l’ermeneutica, la capacità di vedere oltre le apparenze e di porsi costantemente in dialogo tanto con il presente e con il passato, in modo culturalmente e artisticamente fertile e produttivo è dunque una cifra distintiva e identitaria del museo.
Da qui la scelta di far nascere il format “inserzioni”, un progetto secondo il quale artisti contemporanei, che agiscono nel presente, si inseriscono a loro volta nella conversazione ideale tra opere della collezione e contesto architettonico, abitando a rotazione, per un periodo variabile di qualche mese, le diverse sale del museo.

A dare il via a questo progetto sono tre artisti: Guglielmo Castelli, Lydia Ourhmane e Oscar Murillo.
Guglielmo Castelli presenta opere pittoriche a parete di varie dimensioni e alcune piccole sculture di carta, che appaiono come intersezioni figurative in ideali modellini di mobilia comune. Il mondo di Castelli è fatto di ombre, oscurità, racconti per nulla rassicuranti, che nascono da stratificazioni inverse in cui il buio e l’ombra paiono emergere dalla luce. Qui mi permetto di aggiungere un’osservazione personale. Nel 2008 ebbi occasione di curare la prima mostra in una galleria di Guglielmo Castelli e mi fa particolarmente piacere vedere che sta compiendo un percorso di carriera di successo, diventando oggi un artista di tendenza. Ma le “inserzioni” non finiscono qui. Lydia Ourahmane presenta uno splendido progetto musicale, che letteralmente trasforma una sala del museo (quella con il grande specchio di Pistoletto che tutti ricordano, e in cui tutti si riflettono) in una sorta di enorme e plastico spartito. Lungo tre strutture che percorrono tre pareti della sala, corrono infatti alcune casse armoniche e una lunga fila di scritte in braille. Nel corso di una performance che verrà ripetuta in diverse occasioni (anche per Artissima), alcuni cantanti ciechi, sfiorando con le mani le scritte in braille, eseguiranno un brano dai toni toccanti e spirituali. Qui l’arte allude a ciò che non si vede, e che eppure ha una vitale componente sensibile e addirittura fisica, in un gioco di rimandi in cui ciò che non si vede, pur trattandosi di arte visiva, domina la tonalità emotiva del tutto.

L’ultima “inserzione” ha invece per protagonista Oscar Murillo. Qui l’opera ha, in certo senso, due dimensioni. Grandi tele sono poste a faccia in giù per la quasi totalità dello spazio a disposizione. Per vedere l’opera vera e propria, gli spettatori devono munirsi di appositi lettini e di una piccola lampada simile a quelle usate dagli speleologi. Correndo sotto il quadro, in posizione supina, possono osservare forme e colori in una posa analoga a quella che assumeva Michelangelo quando dipingeva la Cappella Sistina. Dall’altro verso, invece, le tele sono ricoperte di piccoli interventi disordinati, frutto di un progetto specifico, che sono tracce e scarabocchi di bambini sui banchi di scuola.

Oltre al progetto Inserzioni, è poi possibile fruire, nelle sale del Castello, di alcune nuove acquisizioni, con opere di Piero Gilardi, Roberto Cuoghi e Adji Dieye. L’opera di Dieye, Culture Lost and Learned by Heart: Butterfly (2021) è stata donata al museo dall’associazione di collezionisti Collective. E se al Castello ci sono le inserzioni, la vicina sede della Collezione Cerutti propone due format concettualmente analoghi: Interferenze, con un’opera video di Alessandra Ferrini, e Confluenze, con un percorso tra opere di Giacomo Balla che si affacciano qua e là all’interno del consueto percorso espositivo consueto della collezione.

Tra inserzioni, confluenze e interferenze, la direzione di Francesco Manacorda continua così a lavorare in modo intenso e produttivo, dando vita a progetti che si rivelando sempre densi di una profondità naturalmente artistica e culturale, ma anche solidamente ben costruita dal punto di vista tanto dell’organizzazione e da quello, ancora più importante, di ricerca concettuale e di pensiero.














