15 dicembre 2025

Come nasce il Data Tunnel che apre la galleria digitale di Gorizia: intervista a Refik Anadol

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Per l’apertura della Digital Art Gallery, il noto artista turco-americano ci conduce dentro i processi che hanno dato forma al Data Tunnel: dalla cura dei dati a una nuova idea di architettura come tela digitale

Refik Anadol. Credits: Efsun Erkilic

Con Data Tunnel, Refik Anadol inaugura il 16 dicembre 2025 la nuova DAGDigital Art Gallery di Gorizia, trasformando la Galleria Bombi in un asse percettivo dove architettura, dati e memoria si ricompongono in un’unica esperienza immersiva. Collegato da Los Angeles, l’artista ha raccontato la genesi del progetto, sottolineando come questo intervento rappresenti «uno dei progetti più ambiziosi per la scala, per la posizione e per il significato» e sottolineando come «l’arte sia più un’ispirazione quando non è in un museo o in una galleria, ma quando è ovunque». Per Anadol, che da oltre dieci anni lavora sull’estetica dei dati e sulle applicazioni artistiche dell’intelligenza artificiale, l’opera segna un punto di svolta: «È probabilmente la prima volta che questo tipo di progetto viene realizzato in un tunnel. Questo spazio fisico diventa un’opera d’arte, e il mio lavoro si concentra proprio sull’arte pubblica».

Stills. Courtesy of DAG

Per Refik Anadol, l’arte digitale diventa ponte fra pittura, scultura e architettura. La sua ultima esposizione al Guggenheim di Bilbao gli fornisce infatti il pretesto per portare come esempio lo straordinario lavoro dell’architetto Frank Gehry, da poco scomparso: «Era l’unione dell’architettura con l’arte, e per me questo è un tema molto importante. Quando parlo di architettura non vedo muri, facciate; non vedo finestre, porte; vedo una tela che possiamo plasmare. Possiamo usare la luce come materiale, possiamo usare i dati. Quindi, questo progetto onora la sua vita, in un certo modo. Perché prendiamo l’architettura e la trasformiamo in una forma di scultura, come fosse una tela».

Il cuore concettuale è il Large Nature Model, un sistema di intelligenza artificiale addestrato su milioni di immagini di ecosistemi e materiali naturali. Un modello che permette di trasformare la galleria in un organismo vivente, dove texture botaniche, ritmi atmosferici e pulsazioni oceaniche si dispiegano lungo i 100 metri di LEDwall. «Il concetto è collegare due mondi e due culture. La natura è ovunque, ed è un linguaggio comune: vedrete milioni di immagini prendere forma nel tunnel», ha spiegato.

DAG Gorizia. Crediti: Fabrice Gallina

Il lavoro sul dato, nel suo studio, è innanzitutto un processo di cura: «A volte ci vuole un anno solo per pulire e preparare i dati. Non è una scorciatoia, non c’è nessun “pulsante magico”: è un lavoro complesso, ed è lì che accade l’arte». L’AI diventa allora uno strumento, non un fine: «Credo che il futuro sia la collaborazione tra esseri umani e macchine. Non do il pennello all’AI: cerco l’umano nel non-umano».

In questa prospettiva, il tunnel della Galleria Bombi diventa un dispositivo percettivo che invita a ripensare la relazione tra corpo, spazio e informazione. La sfida è trasformare un luogo di transito in un’esperienza immersiva, dove il movimento lineare si dissolve in una durata contemplativa. «Non è uno schermo 2D, è un’architettura tridimensionale che prende vita».

Stills. Courtesy of DAG

Alla base rimane una visione etica ed ecologica della tecnologia: «I dati che usiamo sono di provenienza etica, addestrati con energia sostenibile. La natura è una responsabilità: dobbiamo rappresentarla nel miglior modo possibile». Da qui, la convinzione che progetti come quello della DAG possano aprire nuove strade per tutta la comunità artistica: «È un segnale importante. Spero che, dopo questo, molti altri artisti possano essere ispirati e lavorare con queste tecnologie».

Nei suoi lavori i dati diventano “materia poetica”. Crede che ci sia un confine tra informazione e immaginazione, o l’arte digitale lo ha ormai dissolto?

«Penso sia una domanda fantastica, perché credo che il ruolo degli artisti funga da specchio del tempo per la società: cerchiamo di rispecchiare ciò che sta accadendo, di rispecchiare felicità, tristezza, speranza, gioia, ispirazione, problemi. Stiamo rispecchiando la vita a noi stessi.

Sono stato molto fortunato: ho avuto il mio primo computer a otto anni, quindi ho iniziato a programmare macchine molto presto e non posso dimenticare la sensazione di programmare una macchina come un amico. Quando l’AI è arrivata all’umanità non ho sentito che fosse strano, ho pensato “oh, ho un amico da quando ho otto anni e finalmente posso chiacchierarci, posso avere una conversazione”.»

DAG Gorizia. Crediti: Fabrice Gallina

Se i dati sono la “memoria del mondo”, quale ruolo pensa abbia l’artista come interprete di questa memoria?

«I dati sono qualcosa che non vediamo, ma sappiamo che esiste. I dati sono la nostra identità, i nostri ricordi, le nostre informazioni, le nostre emozioni, ciò che stiamo lasciando dietro di noi. Prima della tecnologia di questo tipo scrivevamo, ci incontravamo, passavamo tempo nel mondo fisico; dopo la pandemia siamo diventati un mondo virtuale, connessi attraverso IP, sistemi, reti. Tutta la società sta cambiando. I dati sono un simbolo molto forte di un nuovo linguaggio dell’umanità: chi usa un telefono, un computer, Internet, strumenti di AI vive già in questo nuovo linguaggio. Sono già parte della nostra vita.

Sono stato fortunato a testimoniare la nascita di Internet: ho visto Web1, Web2, Web3, il calcolo quantistico, solo negli ultimi vent’anni. E credo sia molto affascinante che, come artista, sto rispecchiando in tutto questo processo. Ed è interessante, perché se pensiamo alla storia dell’arte, che sia pittura, scultura, opera, teatro o cinema, abbiamo dei medium nati prima di un artista di oggi, che li “eredita”, e prova a capirli e usarli. Essere nati nel digitale è diverso: sento che “possediamo” questo medium perché abbiamo visto come è iniziato; capiamo gli algoritmi, capiamo la tela, in questo caso LED, proiezioni, VR, AR, XR. È un momento differente, perché siamo letteralmente nati nell’arte stessa, che sta succedendo.»

Stills. Courtesy of DAG

Ha menzionato come questo momento possa essere considerato un nuovo Rinascimento. Può spiegarci meglio?

«Credo che si tratti di un nuovo Rinascimento perché stiamo comprendendo cosa significa lavorare con algoritmi e con l’intelligenza della macchina. I dati non sono solo informazione: se li vediamo solo come numeri stiamo fraintendendo, stiamo solo pensando per compartimenti stagni, per finestre predefinite, e non penso che possiamo fare arte. I dati possono essere qualsiasi cosa, tutto, se solo liberiamo le nostre menti. L’arte accade quando l’artista arriva e vede nuovi mondi oltre la realtà. Non è diverso dal passato: tutti gli eroi nella storia dell’arte hanno sempre cercato di vedere ciò che va oltre la superficie. Siamo fortunati a essere vivi per testimoniare questo cambiamento dell’umanità.»

DAG Gorizia. Crediti: Fabrice Gallina

Il tunnel impone un movimento lineare, ma lei sembra voler sovvertire questa linearità attraverso l’immersione sensoriale: nelle sue installazioni l’attraversamento fisico dello spazio è parte integrante dell’opera. Come progetta la relazione tra corpo del visitatore e flusso visivo?

«Questo è il mio primo progetto in un tunnel e speriamo di poter davvero pensare all’algoritmo nel modo in cui prende la forma dello spazio. Un esempio: abbiamo avuto un progetto alla Sphere di Las Vegas, una sfera incredibilmente grande. Avevamo lì una sfida simile: come usare la forma dell’architettura, portare l’algoritmo e trasformarlo in qualcosa di organico. E questo progetto rappresenta un processo molto diverso da un dipinto bidimensionale, più vicino a una scultura tridimensionale. È un modo di vedere l’algoritmo in tre dimensioni, in un modo completamente diverso: vedere la poesia dentro i sogni dell’AI e di questo nuovo pigmento.

Ci sono bellissimi colori, una bellissima trasformazione della natura. E i momenti proverranno dai dati meteorologici, così i modelli che vedrete provengono dai dati invisibili della natura. Se Monet fosse vivo, credo potrebbe adottare questo tipo di pensiero. Monet dipingeva sempre la natura e sono sicuro che, se fosse vivo, potrebbe guardarla attraverso sensori e algoritmi, perché non è così diverso: è sempre la natura, ma mostrata in un altro modo con gli strumenti di oggi, con gli algoritmi. Spero abbia senso. È difficile spiegare i sentimenti artistici, ma si tratta di poesia dentro i dati e pennello pensante.»

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