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Da Secci, Omar Mismar trasforma le rovine in linguaggio
Arte contemporanea
Dopo l’attenzione internazionale ottenuta alla Biennale di Venezia 2024, Omar Mismar approda per la prima volta in Italia con Exercises in Ruins, presentata alla Galleria SECCI, a cura di Marco Scotini. La mostra affronta il nodo tra estetica e politica, tra desiderio e distruzione, tra memoria e distanza.
Con un linguaggio fatto di frammenti, pixel e tessere di mosaico, in cui ogni immagine è al tempo stesso documento e rovina, Mismar rifiuta la retorica della testimonianza diretta, le sue opere non mostrano la violenza, ma la suggeriscono, raccontandone gli effetti silenti. Le rovine di cui parla non sono quelle di un’esplosione visibile, ma quelle dell’assenza, delle eco, dei messaggi mai arrivati a destinazione.

In questo senso, il mosaico diventa per lui una metafora, da un lato materiale archeologico, lento e fragile, dall’altro, struttura digitale fatta di micro-unità che ricordano i pixel dello schermo. La mostra è dominata da mosaici monumentali che raccontano la vicenda di Salman al-Nabahin e di suo figlio, nel campo profughi di Bureij a Gaza. I loro gesti diventano simbolo di una resistenza culturale e affettiva. In Olive in the Sun, l’ombra di un ulivo proiettata sul mosaico rievoca la strategia di occultamento della memoria storica; in Ahmad with the Sponge, la cura del figlio assume un valore sacrale; in Salman in a Squat, la serenità del padre accovacciato sopra il mosaico è quella di chi sa che ogni gesto di preservazione è già un atto di disobbedienza.

Il tema del desiderio attraversa tutta la mostra. Con la serie Torsos, trasforma immagini tratte da app di incontri in reperti archeologici: corpi maschili ridotti a frammenti, come se la distanza digitale avesse già compiuto la sua opera di erosione. È qui che Mismar mostra il volto più intimo del suo lavoro, il legame tra la rovina della guerra e quella del contatto umano, tra la distruzione delle città e quella della comunicazione. Le opere di Mismar parlano del fallimento e ogni tessera ci ricorda il nostro deperimento. A noi non rimane che chiederci, che cosa resta dell’immagine quando tutto può essere frammentato, cancellato e disperso? E cosa resta dell’amore quando l’incontro è sostituito da un algoritmo di prossimità?
In un mondo dove le immagini della guerra scorrono accanto a quelle del desiderio, Exercises in Ruins restituisce all’arte la possibilità di una pausa, di una lentezza che resiste, di un tempo geografico che permane la vita. Le rovine di Mismar non sono monumenti alla distruzione, ma esercizi di sopravvivenza. La loro bellezza nasce dal gesto di chi, pur consapevole del fallimento, continua a comporre, tessera dopo tessera, una fragile immagine del mondo. Ed è forse proprio questo il senso dell’arte oggi: non offrire risposte, ma custodire l’impossibilità della presenza, rendendo visibile l’assenza. La mostra è visibile fino al 20 dicembre 2025.














