11 dicembre 2021

Dalla parte del drago #22: A titolo informativo

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Brevissime opere letterarie, lunghi assoli, parole assenti, poetici, romantici: titoli per tutti i gusti e di tutte le epoche. E che "fanno" l'opera d'arte. Qui ve ne raccontiamo alcuni, tra i più celebri

Ger Van Elk, The Co-founder of the work OK - Hollywood, 1971, Fotografia a colori, 84x82 cm

Un titolo non sta solo in borsa ma a volte è la chiave di un’opera d’arte, e può chiarirla, illustrarla o persino costituirla, soprattutto negli ultimi anni e con le ultime correnti. Per l’ambito che ci riguarda, la Treccani così si esprimerebbe: “Dicasi titolo il nome o la frase che servono a individuare uno scritto o un’opera letteraria, teatrale, artistica e musicale”. Nell’arte ce ne sono parecchi, e c’è pure una certa tendenza a intitolare le opere Senza, mannaggia. La propensione di dare un titolo alle opere d’arte risale però alla fine del XVIII secolo circa, mentre prima venivano chiamate a seconda del soggetto raffigurato o della loro collocazione. Dall’800 in poi gli studiosi iniziarono per comodità e velocità ad affibbiare nomi convenzionali anche alle opere più antiche.
Per quanto concerne i titoli dell’arte classica o moderna, normalmente ci si limitava a descrivere quel che letteralmente veniva rappresentato. Ma anche nelle descrizioni c’è qualcosa di molto attraente. La caduta degli angeli ribelli di Bruegel Vecchio è un titolo avvincente e piace sempre, scelto per un dipinto del 1562, che è‬ lo stesso anno di Margherita la pazza dello stesso autore e che potrebbe tranquillamente essere il titolo di una fiction Netflix con Mario Bava come sceneggiatore. E ora che ai titoli ormai siamo abituati e di certo pronti, ci stupiamo comunque di certe combo letterarie/visive meravigliose.

Peter Bruegel il Vecchio, La Caduta degli angeli ribelli, 1562, Olio su tavola, 117×162 cm

Del resto cosa sarebbero quelle tre precise strisce di colore stese su quattro tele diverse da Barnett Newman, tra il 1966 e il 1970, senza questa frase: Who’s afraid of red, yellow and blue? E di titoli belli ce ne sono molti altri. Campo di grano con volo di corvi, di Van Gogh, ad esempio, contribuisce a rendere drammatiche quelle pennellate nere veloci che si alzano dal giallo paglierino per entrare nel cielo abbuiato.

Barnett Newman, Who is afraid of red, yellow and blue I, 1966, Olio su tela, 190×122 cm

O quel titolo del 2013 di David Ostrovsky, recentemente passato in asta da Christie’s: F (A thing is a thing in a whole which it’s not) che contribuisce a vedere più misterioso e incomprensibile quell’incerto tratto spezzato che fa il verso al contorno della superficie. Curiosa e di grande aiuto è anche la frase che spiega quella strana posa di Ger Van Elk con l’immagine del Co-Founder of the Word O.K.: Ger porta con sè un “O” incorniciata mentre prova a fare la “K” con gambe e braccia allungate. O il dittico di Ulises Carrión: Dear reader/ Don’t read, che ben si sposa con le sue pubblicazioni di anti-libri, pseudo-libri, non-libri etc. E così pure quell’acquarello di De Chirico che colpì la mia attenzione anni fa, proprio per la didascalia: …lasciandosi velocemente l’isola dietro le spalle; intanto la nave andava…

Carlo Carrà, Ciò che mi ha detto il tram, 1911, Olio su tela, 67×52,5 cm

E poi ancora. Fontana attende per il titolo, Carrà approfitta di Ciò che gli ha detto il Tram, Giovanni Anselmo interferisce nella gravitazione terrestre e chiama addirittura la sua mostra al Castello così: Mentre la mano indica, la luce focalizza, nella gravitazione universale si interferisce, la terra si orienta, le stelle si avvicinano di una spanna in più…
Di Delacroix La Libertà che guida il popolo è un titolo davvero mitico fin dai miei tempi al liceo scientifico, mentre allo stesso mio periodo risale la scoperta delle romantiche Impressioni al calar del sole di Monet, a buon titolo il precursore dell’Impressionismo con quello scorcio mattutino del porto di Le Havre. Buffalmacco e il Trionfo della Morte è da mandare ai matti (o al camposanto), complice il grande libro di Luciano Bellosi che tutti dovremmo tenero sul comodino, pronto per un utile ripassino. La città che sale di Boccioni è un richiamo per innovatori che all’inizio del novecento trasmise ai giovani la modernità del suo pensiero in un paese di ottuagenari nei confronti delle arti, come scrisse Palazzeschi. E che dire delle Forme uniche della continuità nello spazio, che era già una visionaria scultura nel testo? Tra tutti comunque io penso di avere un preferito, che poi vi dico.

Johann Heinrich Füssli, Disperazione dell’artista davanti alle rovine antiche, 1778-1780, Acquerello a seppia

Prima però ecco alcuni nomi dei suoi quadri, così terribili e avanti: Il peccato inseguito dalla morte, Crimilde visitata dai suoi rimorsi, Solitudine all’alba, Eufrosine tra la fantasia e la temperanza. Di chi si tratta? Johann Heinrich Füssli. E come lui stesso scrisse nei suoi remarks su Rousseau, del 1767: esiste un punto tale che indietro non si può tornare. “E quale ardore e quale corruccio c’è in lui” – commentò Goethe – e nei suoi titoli, io aggiungerei.
E alla faccia degli gli Untitled così di moda, rileggendo quel vecchio proverbio orientale che ci ricorda che il maestro arriva quando il discepolo è pronto, è meglio ricordare un dialogo dei personaggi di Albert Camus, ne Il Malinteso:
“Sarebbe bastata una parola per salvare le cose”, disse lei.
E lui rispose:
“È vero, ma io non l’ho trovata”…

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
IG: dallapartedel_drago

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