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Due artiste per raccontare le tensioni del potere: il Padiglione Germania alla Biennale Arte 2026
Arte contemporanea
di redazione
A rappresentare la Germania alla 61ma Biennale d’Arte di Venezia saranno Henrike Naumann e Sung Tieu, la curatela del padiglione è invece affidata a Kathleen Reinhardt, nominata dal comitato selezionatore dell’IFA – Institut für Auslandsbeziehungen, ente commissario della partecipazione tedesca all’importante manifestazione lagunare, finanziato dal Ministero degli Esteri federale. «Con Henrike Naumann e Sung Tieu affrontiamo temi cruciali come la responsabilità storica e l’agire collettivo attraverso uno sguardo radicalmente contemporaneo», ha affermato Reinhardt. «Le loro pratiche, pur molto diverse, sono accomunate da una profonda consapevolezza politica e da un’attenzione quasi archeologica alle strutture del potere invisibile».
Il Padiglione Germania, un testimone che scotta
Ospitato dal 1909 nell’ex Padiglione bavarese ai Giardini della Biennale, il Padiglione Germania ha visto nel corso degli anni protagonisti assoluti della storia dell’arte contemporanea: da Joseph Beuys a Hans Haacke, da Nam June Paik a Isa Genzken, fino ad Anne Imhof e Maria Eichhorn. Con ben sette Leoni d’Oro all’attivo, quattro dei quali per miglior partecipazione nazionale, è uno dei padiglioni più premiati nella storia della Biennale.
Con la scelta di Naumann e Tieu, la Germania sembra voler riaffermare un posizionamento critico nei confronti della sua stessa storia: uno sguardo che non teme di confrontarsi con i nodi irrisolti interni e con le nuove geografie del potere globale.
Nella loro ricerca, le due artiste lavorano spesso sulle frizioni tra storia e memoria, con risvolti nella complessità del presente, in particolare europeo, segnato da rigurgiti bellici, flussi di individui e conflitti identitari. Seppur con origini e linguaggi differenti, Naumann e Tieu indagano su ciò che rimane nascosto nei codici estetici della burocrazia, dell’architettura domestica, delle istituzioni. E non è un caso che questa nomina arrivi in un momento in cui il “Vecchio Continente” è attraversato da nuove forme di radicalizzazione, con guerre alle porte e un crescente disincanto verso la democrazia, forma politica tradizionalmente associata alle strutture di potere occidentali.

Henrike Naumann: il design come campo di battaglia
Nata nella ex DDR nel 1984, Henrike Naumann vive e lavora a Berlino. Le sue installazioni, ambienti scenografici costruiti con mobili, oggetti quotidiani, suoni e video, riflettono sulle estetiche domestiche come specchi di ideologie. Cresciuta in un contesto post-riunificazione segnato da tensioni politiche sotterranee, Naumann ha trasformato il linguaggio del design in uno strumento di indagine sulle radici del radicalismo, osservando con sguardo critico i processi di normalizzazione del gusto borghese.
La sua ricerca, che l’ha portata dalla Ghetto Biennale di Haiti al MoMA di Varsavia, fino alla Harvard University, si muove tra documentazione storica e fiction politica, decostruendo narrazioni identitarie attraverso materiali di uso comune. Nel 2026, oltre a rappresentare la Germania a Venezia, assumerà la cattedra di scultura presso la Hochschule für bildende Künste di Amburgo.

Sung Tieu: geografie del controllo e dissonanze istituzionali
Classe 1987, nata a Hải Dương, in Vietnam, e cresciuta in Germania, Sung Tieu ha saputo trasformare la sua esperienza diasporica in una lente per interrogare i meccanismi della sorveglianza, della memoria coloniale e della violenza burocratica. Le sue installazioni, dense di suoni, testi, materiali d’archivio e oggetti trovati, sono ambienti immersivi dove l’individuo si confronta con le strutture impalpabili del potere.

La sua pratica, riconosciuta a livello internazionale con mostre personali al KW Institute, alla Kunsthalle Nürnberg, al Mudam e alla Amant Foundation, si è affermata per la capacità di rendere tangibili le frizioni tra il linguaggio istituzionale e ciò che esso omette. Tieu, come dichiara, è attratta dagli «Interstizi tra forma materiale e struttura discorsiva», laddove prende corpo un’arte che sfugge a ogni semplificazione ideologica.














