05 agosto 2020

Edward Hopper, il pittore essenziale

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Prorogata fino al 20 settembre "Edward Hopper" è la grande mostra che la Beyeler Fondation di Basilea, dedica a uno degli artisti statunitensi del ‘900 più noti nel vecchio continente per le scene di vita urbana dipinte tra gli anni ‘20 e ‘60

Lighthouse Hill, 1927,© Heirs of Josephine Hopper 2019, ProLitteris, Zurich
Lighthouse Hill, 1927,© Heirs of Josephine Hopper 2019, ProLitteris, Zurich

Un titolo essenziale come la sua poetica – eppure pregno di significati con influssi e suggestioni su cultura popolare, fotografia e cinema – quello scelto dalla Fondation Beyeler (il più visitato dei fiori all’occhiello di Basilea, l’affascinante città svizzera che con la maggiore concentrazione di musei – 40 in 37 km² – può essere definita “capitale culturale elvetica”) per celebrare Edward Hopper (Nyack/New York, 1882 – New York 1967), uno degli artisti statunitensi del ‘900 più noti nel vecchio continente per le scene di vita urbana dipinte tra il ‘20 e il ‘60. Meno conosciuti, invece, i suoi paesaggi – soprattutto americani eseguiti tra il 1909 e il 1965 anche se i primi che dipinge insieme ad architetture sono francesi – di cui la mostra (grazie alla collaborazione di grandi musei e collezionisti privati oltreché del newyorchese Whitney Museum of American Art che vanta la più grande collezione al mondo su Hopper con più di 3000 lavori donati dalla moglie) espone 65 opere, di cui alcune raramente visibili, tra oli, acquerelli e disegni riconoscibili per il particolare cromatismo e per la resa di luce e ombre che rendono inconfondibili case, ferrovie, fari…
Iniziata il 26 gennaio e bloccata dal Covid 19, la mostra ha ripreso con tanto successo da essere prorogata al 20 settembre 2020.

Cape Cod Morning, 1950, © Heirs of Josephine Hopper 2019, ProLitteris, Zurich
Cape Cod Morning, 1950, © Heirs of Josephine Hopper 2019, ProLitteris, Zurich

L’idea della mostra di Hopper

L’idea di organizzarla nasce quando la Beyeler riceve in prestito permanente Cape Ann Granite (quadro del 1928 appartenuto per decenni alla collezione Rockfeller) dal nuovo proprietario che lo ha acquistato all’asta. Si tratta della prima esposizione dedicata dalla Svizzera tedesca a quello che è considerato il caposcuola del realismo americano, anche se in realtà Hopper sfugge a un preciso incasellamento mirando soprattutto a fare emergere la sua ricca, variegata e tormentata interiorità.
Edward, secondo di due figli di una famiglia borghese nato in una cittadina dedita alla cantieristica navale, eredita dal padre la passione per la letteratura mentre la madre lo spinge a seguire le inclinazioni artistiche che manifesta ab infantia. In uno dei primi oli raffigura un veliero frutto del fascino esercitato dal mare e dall’idea di divenire ingegnere navale. Conseguito il diploma superiore, frequenta corsi di pittura in cui eccelle grazie all’innata capacità di disegnare ed è incoraggiato da insegnanti e compagni (con cui rimane sempre sodale), ma dissuaso dalla famiglia a imboccare la carriera di pittore, opta per la grafica pubblicitaria, più sicura economicamente, in cui a volte si sente condizionato dai temi impostigli.

Portrait of Orleans, 1950-© Heirs of Josephine Hopper 2019 ProLitteris-Zurich
Portrait of Orleans, 1950-© Heirs of Josephine Hopper 2019 ProLitteris-Zurich

Determinanti per la sua formazione sono sia i tre viaggi in Europa – in primis a Parigi dove ammira opere di Courbet, Cézanne, Marquet, Sisley, Renoir e Pissarro – da cui riporta molti disegni e dipinti, sia il trasferimento definitivo a New York, sia i soggiorni nel Maine e nella penisola di Capo Cod (Massachussetts) che custodisce alcuni dei più vecchi fari statunitensi, sempre più accentuando con notazioni rapide l’attenzione sulla luminosità dei colori in un gioco di luci e ombre. Tuttavia non riesce a vendere se non Sailing né a ottenere l’interesse della stampa mentre progetta cartelloni pubblicitari che gli garantiscono un reddito e gli consentono di continuare a dedicarsi all’arte.
Un solitario melanconico: alto, magro, dedito alla lettura, amante del cinema e comunque sempre teso al nuovo tanto che nel 1915, imparata la tecnica dell’incisione all’acquaforte, acquista un torchio da stampa e inizia la scalata verso il successo vincendo anche un premio: Guy Pène du Bois, noto pittore e critico (suo amico dai tempi della Scuola d’arte) gli dedica un articolo, il primo di molti che contribuiscono a crearne la fama.
Consapevole delle proprie qualità, Hopper ambisce a essere considerato pittore: decisivo per il successo è il rapporto con Josephine Verstille Nivison (1883-1968) detta Jo, moglie, musa nonché modella nei suoi lavori e conosciuta ai tempi della scuola d’arte, che lo spinge a produrre acquerelli paesaggistici attraverso cui finalmente raggiunge a 40 anni l’agognato successo anche grazie all’appoggio della Frank K. M. Rehn Galleries (importante galleria d’arte newyorchese) dove la sua prima personale registra16 acquerelli venduti e a cui l’artista resterà sempre fedele.
I successi si moltiplicano: persino il Metropolitan Museum of Art acquista 15 acqueforti. Abbandonato il lavoro, Hopper si dedica solo all’arte e intraprende viaggi in treno alla scoperta del proprio Paese. La critica lo elogia sempre più e i musei acquistano le sue opere mentre la prima automobile permette alla coppia di muoversi sul territorio trascorrendo estati e autunni fuori New York. Nel 1930 l’artista partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia (la 17ª) con un’opera esposta nel Padiglione americano: sarà presente ancora nel 1934 (19ª), 1948 (24ª), 1952 (26ª) e 1956 (28ª). Nel 1933, a New York si tiene la sua prima retrospettiva al MoMA (Museum of Modern Art fondato per promuovere nuovi talenti americani e internazionali da un gruppo di Ladies dell’alta società il 7 novembre 1929 poco dopo il famoso crollo della Borsa) che tra i primi acquisti ha scelto una sua opera. Aumentano in modo esponenziale le onorificenze: 3 lauree ad honorem, esposizioni e articoli gratificando l’anziano artista.
La splendida architettura di Renzo Piano inserita nella natura come essenziale alla sua armonia costituisce un ottimo ambiente per fare risaltare lo sforzo compiuto da Hopper nel sottrarre esistenza transeunte alle sue opere lasciando l’essenza pura, quasi metafisica delle frazioni rappresentate dopo lunghe meditazioni e riflessioni in cui anche la melanconia è filtrata e svuotata di sofferenza, ma arricchita di un senso di ambiguità e mistero che affascina cinema e registi.

Gas, 1940 © Heirs of Josephine Hopper 2019, ProLitteris Zurich.jpg
Gas, 1940 © Heirs of Josephine Hopper 2019, ProLitteris Zurich

Le opere in mostra alla Beyeler

Raccontare fremiti e sensazioni provati di fronte a ogni opera è compito di chi vede la mostra se si sofferma con animo libero e pronto a ‘ridare’ la vitalità bloccata nell’attimo in cui è stata trasportata in immagine: novelli Eoli possiamo ‘ridare’ soffio a quel vento che in Lee Shore (1941) sfrangia le nuvole e porta le acque a confondersi con la vegetazione della riva mentre le vele sfiorano la casa accarezzata dalle onde oppure grazie a Gas (1940) ricordare viaggi di più di 50 anni fa quando anche in Europa un unico agognato distributore dalle singolari pompe interrompeva chilometri di foresta (come nelle grandi estensioni americane) subito inquietanti, ma poi con la loro ombra verde avvolgenti e protettivi gli epici percorsi verso il sud est europeo o ancora sperare che in Lighthouse Hill (1927) ritornino a vivere sia il faro sia la casa apparentemente abbandonati sia la natura aspra dopo un inverno rigido. Se in Railroad Sunset (1929) c’è il fascino del tramonto che ben si sposa con la grande innovazione tecnologica della ferrovia con la sua torre di segnalazione, in Portrait of Orleans (1950) si nota un’equilibrata convivenza tra natura e antropizzazione mentre in Cape Cod Morning (1950) la donna che si sporge con il sole del mattino che la illumina insieme all’erba e alle cime degli alberi vede o aspira a qualcosa che non vediamo.
Le opere di Hopper che per la loro sospensione di vita paiono fotogrammi di film sono state certamente influenzate dalla passione dell’artista per il cinema e a loro volta hanno ispirato registi come Hitchcock che in Psycho ha ricostruito l’edificio di House by the railroad e Wim Wenders, pioniere del Nuovo Cinema tedesco, che gli ha dedicato Two or Three Things I Know about Edward Hopper, cortometraggio in 3D (visibile in mostra), frutto di un suo viaggio lungo l’America alla ricerca del rapporto bilaterale tra Hopper e il cinema.
Una mostra eccellente da godere per il suo fascino elegante e raffinato.

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