09 giugno 2023

Focus curatori in 22 domande: intervista ad Alessandro Castiglioni

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22 domande per curatrici e curatori, spesso outsider, per raccontare tutte le declinazioni più attuali di un ruolo di responsabilità: la parola ad Alessandro Castiglioni, “curatore per il quale la parola data è sempre presente”

2. Marzia Migliora, Made in Italy, in occasione del XXV Premio Gallarate, Museo MA*GA, 2016, courtesy l’artista e Museo MA*GA
2. Marzia Migliora, Made in Italy, in occasione del XXV Premio Gallarate, Museo MA*GA, 2016, courtesy l’artista e Museo MA*GA

Prosegue il nostro “FOCUS curatori”, 22 domande (le stesse per tutti) destinate a curatori e curatrici spesso “outsider”, per raccontare attraverso declinazioni personali, caratteristiche, metodologie e modalità proprie della professione curatoriale odierna. Un mestiere relativamente nuovo che, nel corso di qualche decennio, ha cambiato radicalmente forma. Una pratica dinamica, basata su studio, fonti d’ispirazione e conoscenze interdisciplinari. Un ruolo di “cura” e responsabilità nei confronti degli artisti e delle loro ricerche, del pubblico, di attenzione ai cambiamenti nella società, nel dibattito sociale, politico e culturale del momento. L’undicesima puntata della nostra rubrica ha per protagonista Alessandro Castiglioni.

Alessandro Castiglioni, foto Umberto N. Nicoletti

Come ti definiresti?

«Storico dell’arte. Penso che in questi ultimi anni il rapporto tra storia dell’arte e curatela abbia subito diverse crisi e sia, per così dire, passato un po’ di moda. Ritengo invece che oggi sia chiara, sotto gli occhi di tutti, l’importanza del processo di costante riscrittura della storia. Accanto a questa professione che esercito principalmente nel ruolo di conservatore del Museo MA*GA di Gallarate, svolgo attività di ricerca e insegnamento per diverse istituzioni europee, pubbliche e private. Quindi, per completezza, rispondo alla tua domanda definendomi storico dell’arte e ricercatore».

Dove sei nato e dove vivi?

«Sono nato in provincia di Varese, proprio a Gallarate, dove lavoro. Ora, però, vivo a Milano».

Dove vorresti essere nato e dove vorresti vivere?

«Mi piacciono i territori di confine, probabilmente l’Islanda».

Quando hai capito che ti interessava l’arte?

«Forse l’ho sempre saputo».

Quando hai deciso che avresti fatto il curatore?

«Più che una decisione, la definirei una scelta metodologica».

1.Long Play, XXIV Premio Gallarate, Museo MA*GA, 2012, courtesy Museo MA*GA
Long Play, XXIV Premio Gallarate, Museo MA*GA, 2012, courtesy Museo MA*GA

Quali sono i libri che ti accompagnano nel tuo percorso professionale da curatore?

«Tra i molteplici riferimenti su cui rifletto mentre rispondo a questa domanda, penso a un libro in particolare a cui ho rivolto molti studi, Le Lezioni Americane di Italo Calvino. Nel 2020 ho anche dedicato una mostra – La fantasia è un posto dove ci piove dentro, al Museo MA*GA – e un ciclo di conferenze focalizzate sulla reinterpretazione di questo testo estremamente attuale e profetico, spesso purtroppo citato a sproposito e in modo un po’ superficiale».

Quali sono le fonti, gli autori e le opere extra-arti visive, di cui ti nutri nello svolgimento della tua attività scientifica?

«Per me il rapporto con la letteratura è sempre stato fondamentale. Prima di laurearmi e specializzarmi in Storia dell’Arte, mi sono laureato in Lettere. Nella mia ricerca, quella che Milo De Angelis chiama “la parola data”, è sempre presente. C’è un episodio in questo senso che vorrei ricordare: nel 2015 il MA*GA ha affidato a Franco Buffoni una mostra in occasione dei cinquant’anni di nascita del museo. Buffoni ha creato un racconto serrato di episodi a cavallo tra poesia e arti visive nella seconda metà del Novecento che per me è stato fondamentale. Dopo aver lavorato nel comitato scientifico di quella mostra ho proseguito non solo il dialogo con Franco, oggi per me punto di riferimento costante, ma anche ad approfondire il dialogo tra letteratura e arti visive dal secondo Novecento a oggi, dedicando progetti, per esempio, a Eugenio Montale, Jack Kerouac o Giovanni Testori».

Qual è la mostra che ti ha segnato e perché?

«La mostra di Nan Goldin al Centre Pompidou nel 2001. Ero ancora al liceo. Credo sia facile immaginare l’impatto emotivo di quelle fotografie per me, che, come direbbe Paolo Conte, stavo in fondo alla campagna».

Screens. Culture dello schermo e immagini in movimento, XXVI Premio Gallarate, Museo MA*GA, 2022, courtesy Museo MA*GA
Screens. Culture dello schermo e immagini in movimento, XXVI Premio Gallarate, Museo MA*GA, 2022, courtesy Museo MA*GA

Qual è l’opera d’arte che ti ha avviato nei sentieri della professione nelle arti visive?

«Indubbiamente gli ultimi scritti di Samuel Beckett. “Giunge una voce a qualcuno nel buio. S’immagini”».

Quali artisti contemporanei che hai personalmente conosciuto sono stati importanti nell’avviamento della tua professione? E perché?

«Vorrei menzionare una serie di artiste il cui coraggio, la cui indipendenza e radicalità sono per me ancora oggi di grande insegnamento. Prime tra tutte, Marion Baruch e Nina Danino. Oggi aggiungerei anche Marina Ballo Charmet e Chiara Dynys».

Quali sono stati i tuoi maestri diretti e/o indiretti nella curatela?

«La prima persona che voglio citare e ringraziare è la mia direttrice al MA*GA, Emma Zanella, perché è da più di quindici anni che lavoriamo insieme e dal dialogo quotidiano con lei continuo a imparare sempre qualcosa di nuovo. Altri due maestri per eccellenza nel mio percorso sono Luciano Caramel, da poco scomparso e che ricordo con grande affetto, e Francesco Tedeschi».

Museo MA*GA, Gallarate, ph. R. Marossi, courtesy Museo MA*GA
Museo MA*GA, Gallarate, ph. R. Marossi, courtesy Museo MA*GA

Con quale progetto hai iniziato a definirti curatore?

«A partire dal 2009 ho iniziato a lavorare con due artisti di San Marino: Rita Canarezza e PierPaolo Coro. Con loro, insieme a Roberto Daolio, altra figura fondamentale nel mio percorso, ho iniziato a curare ”Little Constellation”, un network prima e un centro di ricerca poi, nato da Canarezza e Coro e dedicato ai Piccoli Stati e le micro realtà geo politiche d’Europa. Questo progetto mi ha permesso di analizzare e sviluppare alcune questioni ancora oggi centrali nella mia ricerca, come le dinamiche geopolitiche di rapporti di forza tra centro e periferia e le molteplici elaborazioni del concetto e dell’idea di marginalità. Con “Little Constellation” ho, inoltre, potuto curare progetti e ricerche in molti contesti internazionali, dalla National Gallery di Rejkyavik al Mudam in Lussemburgo, fino all’invito da parte del Critical Art Ensemble a presentare ”Little Constellation” a dOCUMENTA (13).

Il dialogo con San Marino è poi continuato negli anni e ha coinvolto anche Emma Zanella, così insieme siamo arrivati a curare il riallestimento e la riapertura della Galleria Nazionale San Marino e co-curare il Padiglione San Marino alla 58ª Biennale di Venezia».

Qual è la tua definizione di curatore?

«La curatela è una pratica, uno strumento, insieme ad altri, per lo sviluppo della ricerca in ambito artistico».

Qual è la tua giornata tipo?

«Di solito mi divido tra lavoro in museo e insegnamento».

Hai dei riti particolari quando lavori?

«Immagino di sì. Ma si tratta di una ritualità privata».

C’è uno spazio per l’imprevisto nel tuo lavoro?

«L’imprevisto è un aspetto metodologico, va sempre considerato».

Subjective Maps/ Disappearances, Natioanl Gallery of Iceland, 2013, ph. P.P. Coro, courtesy Little Constellation
Subjective Maps/ Disappearances, Natioanl Gallery of Iceland, 2013, ph. P.P. Coro, courtesy Little Constellation

Qual è il progetto, la mostra che hai curato che trovi più rappresentativa del tuo percorso scientifico?

«Ci sono alcuni progetti ed episodi che ritengo rappresentativi del mio percorso. Progetti che si sono sempre sviluppati in una prospettiva collettiva, in cui decostruire il meccanismo egotico della curatela e aprire la propria professionalità a più voci. Sono rappresentative di questo processo le tre edizioni del Premio Gallarate che, nel corso degli ultimi dieci anni, mi sono trovato a curare sia come membro della commissione scientifica sia come co-segretario del Premio stesso. Il Premio è un comitato di cittadini che esiste dal 1949: attraverso di esso è nato il museo di Gallarate e ancora oggi è uno degli strumenti fondamentali per l’ampliamento delle sue collezioni. In tre edizioni (Long Play 2012; Urban Mining 2016; Screens, 2022) abbiamo prodotto o acquisito opere di Diego Marcon, Riccardo Arena, Marzia Migliora, Cesare Pietroiusti, Ludovica Carbotta, Luca Trevisani, Ettore Favini, Adelita Husni-Bey e Rossella Biscotti e dialogato con critici e curatori come Anna Daneri, Noah Stolz, Denis Isaia, Michele Dantini, Adachiara Zevi e Simone Frangi. Ecco, queste tre mostre e questi dieci anni di lavoro hanno rappresentato per me uno sguardo del tutto peculiare sulla scena artistica italiana contemporanea, gli artisti che lavorano su lunghi processi di ricerca, il rapporto con l’ecologia e lo spazio pubblico o le questioni legate alla tecnologia e la proliferazione degli schermi».

A tuo avviso, qual è lo stato della critica d’arte in Italia?

«A volte mi pare che il divario tra intrattenimento e impegno, tra esibizionismo e ricerca sia sempre più grande».

Quali sono i tuoi riferimenti critici?

«I riferimenti critici sono per me le occasioni di dialogo con maestre e maestri, amiche e amici colleghi. Oltre alle persone già citate, un riferimento per me costante è Simone Frangi. È da oltre dieci anni che lavoriamo insieme in particolare a un progetto di ricerca ed educativo che si chiama A Natural Oasis? che, grazie a BJCEM, è giunto alla sua quarta edizione. In un costante lavoro di mobilità, attraverso un bando pubblico, invitiamo giovani ricercatori e artisti a riflettere, in una prospettiva di ricerca-azione, su questioni quali la marginalità o l’insularità nel contesto europeo e in quello mediterraneo. In dieci anni di lavoro ci siamo mossi da Gibilterra a Malta a Cipro, da Palermo a Nottingham. Molti dei partecipanti ai vari programmi sono oggi per me punti di riferimento. Tra tutti vorrei citare Alessandra Ferrini e Jacopo Rinaldi».

Martina Conti, Exercises for a Polluted Mind, frame da video, 2019, 58° Biennale di Venezia, Padiglione San Marino, courtesy l’artista
Martina Conti, Exercises for a Polluted Mind, frame da video, 2019, 58° Biennale di Venezia, Padiglione San Marino, courtesy l’artista

La mostra di un altro collega che avresti voluto curare?

«Tantissime, per fortuna».

Quale ritieni che sia il tuo più grande limite professionale?

«La pigrizia».

Progetti in corso e prossimi?

«Prosegue sicuramente il mio impegno con A Natural Oasis?. Inoltre, sto lavorando ad un libro che dovrebbe uscire nel 2023 dedicato a questi anni di lavoro rivolti al rapporto tra arte e geografia».

Marco Giordano, Interlude, 2020, School of Waters, Mediterranea 19, ph. T. Montalti, courtesy l’artista e BJCEM
Marco Giordano, Interlude, 2020, School of Waters, Mediterranea 19, ph. T. Montalti, courtesy l’artista e BJCEM

Chi è Alessandro Castiglioni

Alessandro Castiglioni (Gallarate, 1984) è Conservatore Senior e Vicedirettore del Museo MA*GA di Gallarate. È docente di Storia e Critica del Design e Linguaggi Multimediali presso Istituto Marangoni, Milano. Come curatore ha lavorato per diverse istituzioni tra cui: Galleria Nazionale, San Marino; Istituto Italiano di Cultura di Londra; Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova; MCA, Valletta; National Gallery of Iceland, Reykjavik. Nel 2019 è stato co-curatore con Emma Zanella del Padiglione San Marino in occasione della 58° Esposizione Internazionale d’Arte, La Biennale di Venezia.

Dal 2014 co-dirige con Simone Frangi A Natural Oasis?, un progetto di formazione e ricerca promosso da BJCEM e ospitato da istituzioni come: Garrison Library, Gibilterra; National Art Gallery of Albania, Tirana; Nottingham Contemporary, Nottingham. Con Simone Frangi è stato inoltre Senior Curator di School of Waters – Mediterranea 19, San Marino.

Tra 2022 e 2023 lavora a progetti di ricerca per il MUSE, Museo delle Scienze, Trento e Castello Gamba. Museo d’Arte Moderna e Contemporanea della Valle d’Aosta. È membro del comitato scientifico di DE.a.RE, progetto di ricerca di BJCEM supportato da Creative Europe. Tra le sue pubblicazioni: Archivi del Contemporaneo (Nomos, 2022); Chiara Dynys and the filmic imaginary (Skira, 2022); Exercises for a polluted mind (Postmedia books, 2019); Kerouac Beat Painting (Skira, 2017), Urban Mining (Corraini, 2016); The Voices of the Sirens (Mousse Publishing, 2015); Subjective Maps / Disappearance (Mousse Publishing 2013).

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