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Gate of Heaven, l’installazione di Chiara Dynys al Terminal 1 di Malpensa
Arte contemporanea
Gate of Heaven è il nuovo progetto espositivo di Chiara Dynys presso la Porta di Milano al Terminal 1 dell’aeroporto di Malpensa, a cura di Giorgio Verzotti: un’installazione che rappresenta e incarna il senso del viaggio. Un grande portale che vuole far riflettere sul senso del passaggio e sul momento del transito, un invito ad attraversare la nostra soglia e limiti perché “ogni giorno è un rischio, una sfida verso noi stessi” racconta la stessa artista. Abbiamo incontrato Chiara Dynys proprio per ripercorrere il suo lavoro e avere una piccola anteprima sui prossimi progetti.
Vorrei iniziare parlando del concetto di soglia; di recente sono stato alla mostra Visioni Metafisiche al Museo Bagatti Valsecchi e ho riflettuto che anche la tua arte vede e cerca di mostrare qualcosa di metafisico…
Hai proprio ragione! Io dico sempre che il mio è un lavoro metafisico. In pochi, di primo acchito, si accorgono della cosa, ma il mio, prima ancora di essere un lavoro di forme e prospettive, vuole queste forme e prospettive proprio come il termine di paragone mancante della metafora, che traghetta, traspone da una realtà ad un’altra. Più che essere un sogno realizzato, le mie opere provano a squarciare la mente e a portarla a sognare.
Il termine sogno mi pare appropriato, perché mi sembra che la tua prospettiva, rispetto a quella di altri artisti, sia positiva.
Hai usato una parola molto importante per il mio lavoro, prospettiva. Spesso il mio intento è quello di far attraversare al fruitore lo spazio, visivamente o fisicamente. Come dimostrano anche i Kaleidos esposti al museo MA*GA di Gallarate e La Blancheur, cabina canoviana mostrata presso la Villa Reale di Monza. E la finalità non è mai solo critica o distruttiva. Anche quando, come negli esempi di sopra, parlo della nostalgia di un’integrità, c’è sotteso, il tentativo di raggiungere un risultato positivo.
In effetti molti artisti del ‘900 propongono una metafisica negativa. Montale direbbe che sono artisti che chiedono che non venga chiesta loro la parola che va oltre il non poter dire che non possono dire oltre. Oppure, come nel caso dell’Arte Povera, ci dicono: questo è quanto abbiamo da offrirvi noi artisti.
Approfitto di questo spunto per sottolineare che il fatto che la mia sia una metafisica positiva si può notare anche dai materiali che utilizzo. Sono tutti dei materiali, per usare un termine desueto (sorride) belli, che sprigionano forza: il vetro, il vetro fotosensibile, gli specchi. E la mia ideazione dell’opera è sempre spudorata: la materia da cui parto è sempre preziosa. In questo mi distinguo dal minimalismo: l’essenzialità è nella forma, e direi che più che essenzialità si tratta di archetipicità, ma mai nel materiale.
Ho natato inoltre che giochi molto sui materiali…vedo, nel tuo lavoro, che il contatto con la bambina che è in te non si è interrotto.
Sì, ne è un esempio il progetto Right to play a cura della fondazione Rocco Guglielmo e ospitato nelle sale della Fondazione Mimmo Rotella. Anche il tema del gioco si inserisce nella cornice di poetica metafisica di cui abbiamo parlato prima. Da quest’intervista sto prendendo coscienza che la cupezza proprio non mi appartiene. Persino il tema del martirio di San Sebastiano nelle mie sculture brilla di una luce che sembra provenire dalle illustrazioni di Gustave Doré.
Questo tema della luminosità meta-fisica può fare da raccordo e condurci al focus principale di questa intervista, l’installazione Gate of Heaven presso la Porta di Milano al Terminal 1 dell’aeroporto di Malpensa.
Questa è una sfida che ho deciso di accogliere. Quello spazio è difficile, tutto va velocissimo, i viaggiatori corrono e sfrecciano verso i loro voli; soprattutto, può essere uno spazio ostile a un’opera meditativa come quella che ho deciso di proporre, che richiede di prendersi del tempo e fermarsi, proprio quando il senso comune direbbe che è meno indicato farlo. Ci tengo ad aggiungere un ringraziamento speciale a Luciano Bolzoni, che si occupa di sviluppo, pianificazione, gestione e coordinamento iniziative culturali, musicali ed artistiche negli Aeroporti di Linate e di Malpensa per conto di SEA Aeroporti Milano, senza cui tutto questo non sarebbe stato possibile.
E tuttavia non credo ci possa essere posto migliore in cui portare avanti la tua riflessione riguardo ai concetti di soglia e di non luogo.
Si tratta di un lavoro iniziato con una mostra all’aperto a Villa Panza, dove per la prima volta era stata esposta la Giuseppe’s Door. Il tema della soglia viene qui approfondito e fecondato da quello del passaggio. E quale luogo di passaggio più emblematico di un aeroporto, che per la sua natura transitoria e transizionale è stato, appunto, annoverato dal filosofo francese Augé tra i non-lieux.
Mi è sembrato di intravedere uno scheletro simbolico – la numerologia tradisce sempre il simbolo! – dietro la disposizione di questi tuoi lavori.
Hai visto bene! Sette pilastri con una superficie specchiata in cima sorreggono sette sculture di vetro dalla forma di una porta, così come sette sono le porte della città di Milano. Vetri misteriosi, illuminati da luci di colori diversi, confluiscono verso il gate che sta dietro di loro, illuminato dagli stessi led che stanno sulle piste e che guidano gli aerei durante partenze e atterraggi.
È molto interessante, perché mi sembra che un altro punto focale del tuo lavoro sia sempre il rispetto e la comunione con il luogo che lo ospiterà.
Io adoro creare opere site-specific e che parlino, oltre che dei temi che voglio trattare, dello spazio che le accoglierà. Ne è un esempio Sentieri Interrotti, tra le Case degli Studenti dell’Università di Mendrisio: questi sono di gran lunga i lavori che preferisco.
Gate of Heaven è un’installazione potente. Ieri leggevo con molto interesse le parole del curatore di Gate of Heaven, il critico Giorgio Verzotti: “È dunque un’affinità fra la lucidità analitica non ottimista del sociologo francese Marc Augè e l’atteggiamento dell’artista italiana, salvo che per un particolare. L’arte non è consolatoria, ma può essere salvifica per quella promesse de bonheur che sempre mantiene. La promessa di Chiara Dynys nega l’omologazione, le sue sculture si distinguono l’una dall’altra per i colori, tutti diversi, enfatizzati dai fasci di luce che li colpiscono direttamente nello spazio buio, sottolineando anche la trasparenza del vetro e la reazione diversa di ciascun colore alla luce. Il sociologo analizza impietosamente l’alienazione che governa le nostre relazioni interpersonali, l’artista, praticando quello che potremmo senza tema definire l’ottimismo della volontà, immagina un’alternativa disalienante”. Mi sembra che ci sia un sottotesto importante che scorra nelle vene di tutta la tua opera: quello dell’esaltazione e della protezione dell’individualità.
Sei perspicace! (sorride). Come puoi vedere anche in Gate of Heaven, il modulo delle sculture e della porta si mantiene uguale, e tuttavia il colore salva dall’uniformità. Siamo tutti uguali, ma siamo anche tutti diversi, ed è proprio in questa diversità che sta la speranza che all’analisi di Augè manca. La nostra individualità è la porta verso la metafisica positiva di cui abbiamo parlato all’inizio dell’intervista, rappresentata fisicamente dal gate di acciaio in secondo piano, che con i suoi fari ci invita a partire. E del resto io sono sempre stata un po’ un outsider rispetto ai circoli artistici degli anni ‘80 e ‘90: ho dovuto amare la mia diversità e puntare su di essa.
Quali sono le prossime mostre che hai in programma?
Il 23 novembre inauguro una personale dal nome Delitto Perfetto, curata da Eduardo Cicelyn e ospitata presso la Galleria Casamadre a Napoli, che ha una tradizione di altissima qualità. È una mostra un po’ anomala, come tutte quelle che faccio del resto, a tema Napoli. È un progetto top-secret. Posso solo dire che affonda le sue radici nella tradizione napoletana.