14 febbraio 2022

Gillo Dorfles, L’imprevedibile disarmonia dell’arte – Galleria Aleandri

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La Galleria Aleandri offre una nuova prospettiva sull’attività artistica di Dorfles, troppo spesso oscurata dalla popolarità raggiunta con la critica d’arte dall’intellettuale triestino

Campione di eclettismo – inteso come caratteristica di chi per scelta o per necessità non si specializza in un campo specifico ma sparge le sue energie intellettuali, creative, passionali in più campi – Gillo Dorfles divise la sua esistenza tra interessi diversi che lo portarono a essere neuropsichiatra, critico d’arte e pittore. E proprio trentuno lavori di pittura e grafica occupano in questi giorni la Galleria Aleandri, fornendo una nuova prospettiva sull’attività artistica di Dorfles, troppo spesso oscurata dalla popolarità raggiunta con la critica d’arte dall’intellettuale triestino.

Gillo Dorfles, Guanto e spirale, 1940

Le opere esposte attraversano un arco di tempo che va dagli anni quaranta al 2011. Se alcune opere sono decisamente celebri, è il caso del quasi bretoniano Guanto e spirale (1940), altre pur meno conosciute destano altrettanta meraviglia per freschezza e urgenza, ed è il caso della cartella di disegni 1986, traccie di inconscio disegnate automaticamente fino al ritrovamento di suggestioni formali variamente e vagamente riconoscibili, proprio secondo un classico modus operandi dei surrealisti. E del resto il terreno su cui si forma Dorfles, ed il suo interesse per i processi psichici, come spiega il raffinato ed efficace testo di Giulia Tulino in catalogo, è il milieu triestino di Arturo Nathan, di Leonor Fini, di Umberto Saba e di Italo Svevo, in cui è probabile che le idee di Freud circolassero in anticipo sulle prime traduzioni italiane delle sue opere. Dorfles poi si sposterà a Milano, prevalentemente, dove sarà il teorico del MAC, Movimento Arte Concreta, fondato nel 1948.

Gillo Dorfles, tempere su cartone pressato, 1944

È sorprendente la spontaneità giocosa con cui molti dei disegni di Dorfles – i cui andamenti ricordano ora le fantasie di Licini, ora i circuiti della Struttura al neon di Fontana (che pure aveva partecipato al MAC), ora i ritmi filiformi dei ballerini di Giacomo Balla per il TicTac – nella loro mutabilità e sfuggevolezza semantica lasciano emergere spesso e volentieri riferimenti al proprio autoritratto, alla rappresentazione di se stesso. In questo corre in aiuto dell’artista il mezzo prescelto, ovvero il pennarello colorato, strumento veloce, scorrevole, e dunque ideale per non perdere il senso di immediatezza del flusso psichico.

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