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Giorgio Andreotta Calò, trasformazioni elementari tra natura e architettura
Arte contemporanea
di Luca Vona
Come sedicesimo capitolo di Passaggi, la finestra su strada della Litografia Bulla di Roma presenta un nuovo lavoro grafico di Giorgio Andreotta Calò (Venezia, 1979), fino al 26 settembre 2025. Giorgio Andreotta Calò rappresenta una delle voci più originali e potenti dell’arte contemporanea italiana, capace di articolare un linguaggio poetico che trasforma l’architettura e il paesaggio attraverso l’uso sapiente di elementi naturali.
La sua ricerca artistica si distingue per la capacità di creare installazioni che non si limitano a occupare lo spazio ma lo rigenerano, creando nuovi ecosistemi percettivi dove il visitatore sperimenta una dimensione sospesa tra il reale e l’immaginario.

Formazione e ricerca artistica
Formatosi tra l’Accademia di Belle Arti di Venezia e la Kunsthochschule di Berlino, Andreotta Calò ha sviluppato il suo linguaggio artistico attraverso importanti residenze internazionali, dalla Rijksakademie di Amsterdam (2009-2011) al Centre National d’Art Contemporain di Villa Arson a Nizza (2012-2013). Questa formazione transnazionale ha alimentato una ricerca che si muove fluidamente tra scultura, installazione ambientale e intervento site specific.
La sua pratica artistica si caratterizza per un approccio processuale che incorpora forze naturali come acqua, fuoco e agenti atmosferici quali co-autori dell’opera. Non si tratta di un semplice utilizzo di materiali naturali ma di una vera e propria coreografia di elementi che trasformano lo spazio nel tempo, creando opere in perpetua metamorfosi.

Opere iconiche e metodologia
Tra le sue opere più significative emergono cicli come Pinna Nobilis, i Carotaggi e le Meduse, che rivelano la sua capacità di estrarre frammenti di realtà per reinserirli in nuovi contesti semantici. Le installazioni di Andreotta Calò operano attraverso quello che potremmo definire un processo di “sottrazione e riappropriazione”: l’artista preleva elementi architettonici, paesaggistici o naturali dal loro contesto originario per ricomporli in configurazioni inedite che svelano significati nascosti.
Le Clessidre, in mostra alla Litografia Bulla di Roma, rappresentano un esempio paradigmatico della sua poetica. Come osserva Maria Vittoria Pinotti nel testo critico della mostra, «Sono in tre, lo scultore, l’opera e l’acqua. Si ascoltano a vicenda e alla fine chi testimonia la calma del silenzio è proprio lo scultore». Queste opere nascono dal lavoro sulla struttura lignea della “brìccola”, i pali utilizzati per l’ancoraggio nella laguna veneta, che l’artista trasforma seguendo “i docili, lenti e naturali ritmi” dell’erosione marina. Secondo Pinotti, «Quando Giorgio Andreotta Calò ha iniziato a lavorare sulla struttura lignea della “brìccola” ha inteso eseguire una riflessione su quanto ogni scultura in realtà già contenga in sé la forma, non si deve fare altro che attendere del tempo per liberarla».

Un esempio paradigmatico di questa metodologia è stato rappresentato dall’installazione Senza titolo (La fine del mondo) realizzata per il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 2017. L’opera divideva lo spazio architettonico in due livelli complementari e opposti: il visitatore accedeva dal livello inferiore costituito da una foresta di tubi da ponteggio, mentre al livello superiore si apriva una superficie acquatica riflettente. L’installazione creava una dialettica tra superficie e profondità, tra costruzione e dissoluzione, trasformando lo spazio espositivo in una metafora del rapporto tra civiltà e natura.

Il linguaggio della trasformazione
Ciò che distingue il lavoro di Andreotta Calò è la sua capacità di rendere visibili i processi di trasformazione che normalmente rimangono celati. Le sue opere funzionano come dispositivi di rivelazione che mettono in luce le dinamiche nascoste che governano il rapporto tra elementi naturali e costruzioni umane. L’acqua, elemento ricorrente nella sua poetica, non è mai utilizzata come semplice materiale scultoreo, ma come agente di trasformazione che modifica continuamente l’aspetto e il significato dell’opera.
Il processo creativo dell’artista si fonda su una dimensione profondamente tattile. Come sottolinea Pinotti, «Per Andreotta Calò la scultura si basa sul tatto e nient’altro. Toccare significa definire lo spazio e chiudere il volume”. Questa dimensione sensoriale si riflette anche nelle sue opere grafiche, dove “le tracce del legno sono trasferite nelle carte giapponesi Bunko Shi e Gifu Shoji per mezzo di un’antica ricetta di inchiostro litografico che tende più degli altri ad aggrapparsi tenacemente e saldamente alla materia lignea».

Il dialogo con la tradizione dell’arte grafica trova nella Litografia Bulla di Roma un contesto ideale per l’espressione di questa ricerca. La più antica stamperia litografica d’arte ancora in attività, fondata nel 1818 a Parigi e stabilita a Roma dal 1840, rappresenta uno spazio privilegiato dove la dimensione artigianale e la memoria storica si incontrano con la sperimentazione contemporanea. Come osserva Pinotti, «Il luogo ideale di tali sculture è dove si sceglie di farle stare, nel qui e ora, nelle stanze della Bottega Bulla, dove gli spazi si svelano nell’accostamento di oggetti».
La presenza degli strumenti originali dell’epoca, incluso il torchio xilografico in ghisa del Settecento, e l’atmosfera che conserva ancora oggi l’eco degli artisti e letterati che si ritrovavano nella “bottega” per discutere delle opere, crea quel “luogo soglia” tanto caro alla poetica di Andreotta Calò. La tradizione bicentenaria della famiglia Bulla, oggi guidata da Romolo, Beatrice e Flaminia, offre al lavoro dell’artista veneziano non solo la competenza tecnica necessaria per la realizzazione delle stampe, ma anche quel continuum temporale che risuona con la sua riflessione sui processi di trasformazione e stratificazione della memoria.
Questa metodologia si riflette anche nell’approccio site specific che caratterizza molte delle sue installazioni. Ogni opera nasce da un dialogo profondo con il contesto architettonico e paesaggistico, trasformando lo spazio dato in un nuovo ambiente percettivo.

Il tempo e la metamorfosi
Centrale nella poetica di Andreotta Calò è la concezione del tempo come forza trasformatrice. Come evidenzia Pinotti, «Il tempo per Andreotta Calò non è pari al ritorno della nostalgica forma originaria, bensì si impone come la ricerca di un momento dinamico e spumeggiante». Nelle Clessidre, «Quanto avviene nelle stampe è la rivelazione della forma, ciò che non è visibile agli occhi ora si svela, il tema della durata del tempo vale come immagine del suo perdersi e decadere».
L’artista opera una sintesi poetica tra elementi opposti, creando quello che Pinotti definisce come «Un momento di connessione, una felice fase d’armonia che unisce gli opposti». In questa dimensione liminale, «Tra la terra e il mare, Andreotta Calò ci spinge a calarci in un ambiente in cui la luce verde e cristallina riverbera, è un luogo soglia».

Riconoscimenti e impatto contemporaneo
Il riconoscimento internazionale ottenuto da Andreotta Calò, culminato con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 2017 e premi prestigiosi come il Premio MAXXI (2012) e il Premio New York (2014), testimonia la rilevanza della sua ricerca nel panorama artistico contemporaneo. Le sue mostre personali presso istituzioni di primo piano come Pirelli HangarBicocca di Milano hanno confermato la sua capacità di dialogare con spazi espositivi di grande scala, trasformandoli in ambienti immersivi di straordinaria intensità poetica.
Il lavoro di Giorgio Andreotta Calò si inserisce nel solco di una tradizione artistica che da Land Art e Arte Povera ha sviluppato un linguaggio capace di oltrepassare i confini tra arte e architettura, tra scultura e paesaggio. Tuttavia, la sua ricerca non si limita a riproporre modalità consolidate, ma elabora una sintassi originale che risponde alle questioni contemporanee legate alla sostenibilità, alla trasformazione dei paesaggi urbani e al rapporto tra tecnologia e natura.














