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Good Art Bad Character, a Bologna l’edizione di Opentour dove l’arte “buona” accende i sensi
Arte contemporanea
Proprio come lo spazio dell’Accademia possiede un valore specifico, anche uscire dalle sue mura rappresenta un’occasione di incontro e di scambio tra il dentro e il fuori. Dallo statuto della sua creazione OPENTOUR si è sempre configurato come un miscela tra il lavoro di ricerca accademico e il confronto con gli ambienti professionali. Su questo presupposto continua anche l’edizione 2025, intitolata Good Art Bad Character, il cui titolo gioca in modo satirico sull’idea di quegli artisti capaci di creare arte, pur avendo, a volte, un carattere difficile.
Dal 24 al 29 Giugno 2025, l’Accademia di Belle Arti di Bologna ha quindi presentato l’undicesima edizione di OPENTOUR, dislocata in due principali eventi. Il primo è stato il vasto progetto espositivo di Openshow, che ha visto la partecipazione di oltre 500 studenti e studentesse, i quali hanno invaso gli spazi dell’Accademia con le loro opere. In parallelo si è svolta la rassegna Giovani Talenti in Galleria, a cura di Carmen Lorenzetti e Giuseppe Lufrano, che si è snodata in 29 spazi tra gallerie private e spazi espositivi della città, con la collaborazione dell’Associazione Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea Confcommercio Ascom Bologna. Nonostante il periodo ufficiale di OPENTOUR sia terminato, molte di queste esposizioni rimangono visitabili fino alla fine di Luglio.

In una sorta di viaggio corporeo che parte dalla testa e attraversa corpo e sensi, i tre luoghi espositivi da non perdere sono Galleria Studio G7, Raccolta Lercaro e P420.
Prendendo avvio dalla testa, la mostra The Image-Thinking. Sulle possibili interpretazioni dell’immagine alla Galleria Studio G7, a cura di Giovanna Caimmi e Leonardo Regano, con il coordinamento di Maria Rosa Cuccitto, è la restituizione di un workshop tenuto dai curatori dedicato alla nozione di Image Thinking di Mieke Bal. Gli artisti — Marco Mandorlini, Chiara Niccoli, Agnese Oprandi, Yunru Quan, Enrico Scapinelli — riflettendo sui loro processi di pensiero, critico e creativo, giungono al concetto di immagine, fondamentale per un artista. L’immagine ha capacità analitiche proprie, e “pensa” in modi che il linguaggio verbale non riesce sempre a esprimere, rivelandosi come un modo privilegiato per raccontare esperienze personali o fenomeni sociali, non solo per comunicarli ma per creare un habitat visivo.

Dalla centralità del pensiero alla dimensione corporea si presenta la mostra Affectiveness. Sensi, simboli, speculazioni alla Raccolta Lercaro, curata dalle studentesse e dagli studenti del II anno del Biennio di Didattica dell’arte e mediazione culturale del patrimonio artistico. L’esposizione, fondata sul concetto di affective turn, vede nell’affetto una vibrazione che attraversa il corpo e, applicata alle opere, diventa un attivatore di esperienza sensibile per il fruitore. Si viene accolti con le opere di Elisa Dunia Costa, Samuele Falcone, Lisa Mignemi, Silvia Santucci, che custodiscono delle tracce affettive siano esse dei particolari o olografiche. Nella prima sala, invece, Serena Ugolini, Collettivo Xmachinis, Chiara Gentili, Dilan Perisan riflettono sulla percezione applicata al concetto di affettività, ovvero quello che sentiamo con il corpo e precede il pensiero. In una dimensione culturale, la seconda sala con le opere di Serena Galimberti, Tommaso Patacchini, Lilit Tedevosyan, Giulia Principe, Martina Mazzantini, Joey Koka, media il vissuto collettivo. L’affetto nella sua accezione misteriosa e mistica è indagato nella terza sala con le ricerche di Alex Barraccato, Luca Angeloni, Tunahan Havrandere, Angela Maria Fiore, Agostino Scordo. Nella sala degli specchi i lavori tessili di Sara Garofalo, Ginevra Bandini, Kathleen D’Emilio che parlano di segni e legami persi e ritrovati, comunicano con l’installazione audio-visiva di Rossella Dinuzzi.

La percezione della realtà è affrontata anche alla P420 con la mostra Sensemaking. Atti di manomissione, a cura del collettivo Etcetera — Elisa Bocchi, Gabriele Cavagnino, Valentina Galli, Eleny Kiriakopoulos, Sveva Mazzoli e Aurora Secchia — che, mette in luce come l’umano trovi significato nelle esperienze e negli eventi, soprattutto nei momenti di incertezza. Creare un senso — Sensemaking — è un atto continuo di costruzione e ricostruzione, grazie al quale si percepisce. Gli artisti in mostra tra cui Alessandro Aprile, Elysee Farazmand, Claudia Gentile, Tunahan Havrandere, Riccardo Michelini, Paolo Saputo, Ismaele Soraperra, si interfacciano al disorientamento, visto nella sua declinazione positiva come produttore di senso e non della sua perdita, manomettendo la percezione della realtà.















