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Guardare con occhio critico l’intelligenza artificiale. Undici artisti in mostra a Roma
Arte contemporanea
Dimentichiamoci l’idea di futuro come proiezione lineare, algoritmica e predittiva. Alla Fondazione Pastificio Cerere di Roma, Timeline Shift apre un varco verso modelli alternativi in cui l’AI non è solo tecnologia ma diventa linguaggio critico e strumento di risignificazione. Il titolo – traducibile come “spostamento della sequenza temporale” – è l’invito che la curatrice ci rivolge ad interrompere l’automatismo del progresso tecnologico per immaginare temporalità altre, più soggettive, rituali e decoloniali.

Le opere, installazioni multimediali e ambienti immersivi, in mostra fino al 30 luglio, mettono in crisi il paradigma estrattivo e produttivista che guida lo sviluppo dell’AI contemporanea. Ciclicità, interruzione, collasso o deriva diventano futuri verosimili. Proprio nella possibilità di fallimento – o meglio, di deviazione – si apre uno spazio fertile per ripensare l’umano non più come soggetto centrale, ma come nodo instabile in una rete di relazioni.

Vincitore del primo premio, è il contro-archivio visivo e interattivo del collettivo Lo-Def Film Factory che attraverso Concept Drift (2025), videogioco realmente giocabile diviso in sei capitoli, pone una riflessione sulle dinamiche di sfruttamento coloniale in Sudafrica. Il secondo posto va a Isabel Merchante, con One Day I Saw the Sunset Ten Thousand Times (2025), macchina di calcolo ed entità contemplativa che guarda solo tramonti, esponendo i limiti percettivi dell’automazione. Lo stesso utilizzo meditativo finalizzato alla contemplazione e all’apertura di uno spazio liminale ritorna in CLOUD SCRIPTS (2024) di Kian Peng Ong, installazione generativa che combina l’intelligenza aumentata e simbolismo taoista per immaginare una scrittura cosmica.

Minne Atairu, con Da Braidr (2025) conquista il terzo posto. Startup concettuale che impiega l’AI per valorizzare le economie femminili nere, sovvertendo i codici del marketing tech attraverso un processo di addestramento volto a decostruire le discriminazioni razziali interiorizzate dai software di generazione di immagini. L’intero spazio della Fondazione si trasforma in organismo vibrante, mappa sensibile di futuri possibili. Le opere non si limitano ad abitare l’architettura ma la attraversano destabilizzandola, aprendo varchi in cui il linguaggio computazionale diventa strumento critico, codice politico, materia viva e instabile.
Tra i temi più ricorrenti, il corpo. Glitchato, intimo e inquieto nelle opere di Esther Hunziker (Screen Tests, 2025) e del duo Adam Cole & Gregor Petrikovič (Me Vs. You, 2024) che rivelano ed estremizzano l’incapacità dell’AI di decifrare pienamente la complessità dell’esperienza affettiva, restituendo frammenti di soggettività distorte, ma profondamente umane in tutta la loro fragilità. Nelle opere di Federica Di Pietrantonio (Net Runner 01, 2025) e Amanda E. Metzger (Ever, 2023) la presenza umana diventa ricordo che pone domande urgenti sulla conservazione dell’intimità nell’era dei dati.

Prospettive distinte ma complementari sono quelle del collettivo IOCOSE e Daniel Shanken, che contribuiscono a smontare la retorica trionfale del progresso tecnologico. Con ironia tagliente il collettivo immagina in AI-Ludd (2025) una macchina “luddista”, consapevole della propria condizione, si ribella all’automazione e ne invoca il sabotaggio. Nel suggestivo spazio ipogeo del Pastificio, l’installazione The Pit (2024) di Shanken affronta una delle criticità più urgenti dell’intelligenza artificiale: il model collapse, quel collasso autoreferenziale dei media sintetici che porta alla produzione di immagini via via più inconsistenti e povere di senso. Se AI-Ludd ironizza sulla possibilità di ribellione, The Pit inscena il fallimento stesso del sistema.

All’esterno, il Premio APA a Franz Rosati con DATALAKE:CONTINGENCY (2024-2025), flusso continuo di immagini generate tra finzione documentaria e ambienti post-naturali, visibile anche sugli schermi pubblicitari digitali distribuiti in città.
La mostra decostruisce la concezione lineare del tempo radicata nella società occidentale, per aprirsi a visioni più soggettive e stratificate. Il Re:humanism Art Prize si conferma punto di riferimento e laboratorio di visione critica sul nostro presente digitale.














