20 ottobre 2021

Hans Op De Beeck, o di un’altra percezione

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Una riflessione, quella di Hans Op De Beeck, sul tempo, sui disagi dell’esistenza, sulle speranze, sui sogni, sui timori, sulle illusioni, rendendo, cioè, visibile quello che è apparentemente invisibile, mediante quella percezione che travalica i normali sensi

Hans Op De Beeck, The Boatman and Other Stories (Vanitas XL), Courtesy Galleria Continua

Sono di grande impatto, visivo ed emotivo, le opere realizzate da Hans Op De Beeck (Turnhout, 1969) per l’equilibrata e notevole, personale “The Boatman and Other Stories” che, tra acquarelli e sculture, vede l’esposizione di quasi una ventina di lavori, comprese le splendide “vetrine” Wunderkammer 11 e 12. È proprio l’uomo della barca / il barcaiolo (2020), a grandezza naturale, posto nel foyer dell’ex cinema di San Gimignano, a “traghettare” il visitatore nell’articolato percorso espositivo della Galleria Continua, nella sede di via del Castello 11. In piedi, a torso nudo, intento a sospingere con una (vera) canna di bambù la sua piccola imbarcazione ricolma di tutti i suoi averi, compresi un piccolo cane e una gallina, nonché di generi alimentari, The Boatman conduce la sua barchetta verso chissà quale destinazione, sicuramente alla ricerca di una vita migliore. Nelle recenti produzioni dell’artista belga, è da notare “Other Stories”: egli individua un soggetto centrale e, intorno ad esso, costruisce a raggiera, per l’appunto, altre storie (è stato così pure per The Horseman, anch’esso un nomade, un viaggiatore solitario, presentato sempre nella GalleriaContinua nel luglio 2020).

Hans Op De Beeck, The Boatman and Other Stories, Courtesy Galleria Continua

Storie che, nell’insieme, riflettono sulle fasi temporanee della vita e sulla sua stessa transitorietà. Una riflessione, quella dell’artista, compiuta attraverso sculture calate nella loro realtà, nella loro quotidianità. Astraendole, le sottrae da quello stato di rarità e unicità, per parlare di quell’universalità soggettiva, che attraversa da sempre la storia dell’uomo. Se, per alcune, utilizza il laborioso bronzo (come in Dog, il mesto cagnolino, steso a terra, con il muso poggiato sulle zampe e in Dancer), la maggioranza delle sculture è realizzata attraverso un complesso processo, con l’utilizzo di diversi materiali sintetici, come il poliestere, il poliuretano e la poliammide, resi compatti e omogenei dalla resina epossidica. Seppur iperrealistiche, esse non sono mai dei veri e propri reali ritratti, ma rievocano quella bilanciata bellezza astratta quasi botticelliana. Sculture che, da tempo, hanno rinnegato qualsiasi velleità coloristica (tranne che per i delicati fiorellini dell’albero custodino all’interno della Wunderkammer 12), e dal lattescente sono passate al grigio, quella sfumatura che le pone al di fuori delle aree nette del bianco e del nero. Avvolte e calate in un’atmosfera finanche malinconica e silenziosa, astratte dal contesto generale, isolate e fissate in un eterno istante di ora e adesso, e completate da una accattivante dovizia di puntuali dettagli.

Hans Op De Beeck, The Boatman and Other Stories, Courtesy Galleria Continua

Una riflessione, quella di Hans Op De Beeck, sul tempo, sui disagi dell’esistenza, sulle speranze, sui sogni, sui timori, sulle illusioni, rendendo, cioè, visibile quello che è apparentemente invisibile, mediante quella percezione che travalica i normali sensi. Sculture che sembrano essere state abbandonate da qualsiasi afflato vitale, colte nell’esatto istante di transizione, della re-azione ad una immaginabile causa. Così, quelle mani saldamente intrecciate dei due adolescenti di The Cliff (2019), seduti su una costola di roccia, con i piedi penzoloni nel vuoto, con la ragazza con lo sguardo perso in lontananza, smarrita in intimi pensieri e personali contemplazioni, ed il ragazzo, concentrato sul volto della giovane, immediatamente parlano di un imminente passaggio e cambiamento, tanto inarrestabile quanto inconvertibile, perché insito nelle cose stesse. Irreversibilità ricordata, infatti, dalla grande Vanitas XL (2021) e da Vanitas Table (the coral piece) (2021). Quel preciso istante di passaggio, congelato anche in Dancer (2019): una ballerina brasiliana, acchittata con il suo importante copricapo, con sandali rigorosamente col tacco a spillo, il reggiseno impreziosito di strass e pietre, il pesante trucco formalizzato dalle compatte e decise ciglia, è seduta sull’inconfondibile poltrona Chesterfield, intenta a fumare una sigaretta. È ripresa prima dell’esibizione? Oppure durante una pausa tra un ballo e un altro? Oppure alla fine dello spettacolo? Riflette sulla sua vita? Sulla sua stanchezza? O sulla bolletta ancora da pagare? Di lei non ci viene raccontato altro, se non questo suo momento di sospensione, di tregua, di intimità.

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