-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
I CANEMORTO sono scomparsi: a Roma la Fondazione Nicola Del Roscio diventa un teatro dell’assurdo
Arte contemporanea
Il collettivo di artisti è scomparso. O almeno, così pare, guardando il breve film che introduce la mostra dei CANEMORTO alla Fondazione Nicola Del Roscio, visitabile fino al 18 luglio 2025. Megalomanie, progetto a cura di Davide Pellicciari e Carlotta Spinelli, mette in scena una narrazione multimediale che confonde i confini dell’opera: spazio e linguaggio, realtà e finzione, tutto si fonde in una dimensione rituale e surreale.

CANEMORTO è un trio attivo dal 2007, noto per il suo immaginario grottesco e simbolico. Delle loro identità non sappiamo nulla, se non che operano come un corpo solo, parlano un idioma sconosciuto e si dichiarano devoti a Txakurra, divinità canina che li guida nell’atto creativo. Ironici e radicali, i tre artisti costruiscono da anni un universo autonomo, fatto di maschere, culti e codici inventati, con cui interrogano il ruolo dell’arte e dell’artista contemporaneo. Megalomanie non fa eccezione: è un progetto che porta all’estremo le ambizioni del trio, tra aspirazioni mitiche e gesti performativi che sfidano i limiti del possibile (e del credibile).

L’inaugurazione ha visto la presentazione dell’anteprima italiana de La Recherche de L’Œuvre Absolue, lungometraggio scritto e interpretato dagli stessi
CANEMORTO, diretto da Marco Proserpio e con musiche di Matteo Pansana.
L’opera, realizzata in occasione della personale del trio al Centre d’Art Contemporain
di Villa Arson a Nizza, indaga il segreto che si celerebbe dietro la realizzazione di
un’opera in grado di piacere a tutti, allineandosi con puntualità al tema della mostra.
Ma il delirio iconoclasta di Megalomanie non si ferma al cinema. Il progetto prosegue
nella Project Room della fondazione di via Francesco Crispi, per l’occasione divenuta un vero e proprio laboratorio. Qui, troviamo ciò che resta del lavoro che avrebbe dovuto assicurargli l’ingresso nel Guinness World Records, grazie alle stampe calcografiche più grandi al mondo. Il breve film che ci accoglie documenta l’intero processo ideativo e progettuale, culminato – pare – con l’esplosione e la scomparsa del collettivo a pochi giorni dall’inaugurazione, mentre un periodico all’ingresso ci informa sulle notizie di approfondimento in merito alla vicenda.

Questa narrazione inaspettata e dirompente, che rende il visitatore altamente partecipe al binomio realtà-finzione, continua durante il percorso espositivo. Troviamo così nella sala principale le dieci grandi lastre in alluminio su cui erano state effettuate le incisioni, accartocciate e sparse, e alcune corrispettive stampe residuali alle pareti. Sempre a seguito della presunta esplosione, sono state rinvenute dieci esatte miniature delle lastre originali, ognuna osservabile al microscopio, la cui origine resta tuttora inspiegabile.

La Project Room della Fondazione Del Roscio si conferma spazio duttile, congeniale agli interventi site-specific, diventando ogni volta una soglia instabile tra mostra e processo. In questo senso, il lavoro dei CANEMORTO trova qui il suo habitat naturale: una zona franca dove i codici si mescolano e i linguaggi si contaminano senza filtri.

Megalomanie è un progetto che esaspera la tensione tra autenticità e rappresentazione. CANEMORTO continua a interrogare la figura dell’artista, mettendone in scena le derive megalomani con lucidità visionaria. Non c’è mai solo provocazione nel loro lavoro, ma un bisogno costante di alzare il volume, di forzare i limiti, di mettere in discussione l’idea stessa di autenticità. E se alla fine del percorso la domanda resta: «È accaduto davvero?», la risposta migliore forse è che non importa. Perché ciò che conta è la costruzione del mito e il modo in cui riescono a coinvolgerci, nonostante (o proprio grazie a) la loro sparizione.














