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Il cuore di Istanbul, secondo Gian Maria Tosatti
Arte contemporanea
“Dove sta il segreto di Istanbul? Nella miseria di chi vive accanto alla sua grande storia, nel suo condurre segretamente una vita chiusa di quartiere e di comunità, nonostante fosse così aperta agli influssi esterni, oppure nella sua vita quotidiana costituita di rapporti infranti e fragili, dietro la sua chiara bellezza monumentale?”. Sono le parole dello scrittore Orhan Pamuk, che definisce Istanbul “la città della malinconia”. Un sentimento che domina le stanze dell’appartamento del palazzo in stile liberty, nel cuore del quartiere curdo di Tarlabaşı, dove l’artista Gian Maria Tosatti (Roma 1980) ha ambientato la seconda parte del suo Dittico del Trauma, cominciato nel 2020 ad Odessa, all’interno del ciclo che dà il titolo all’installazione, Kalbim Ayna Gibi Boş – İstanbul Bölümü (Il mio cuore è vuoto come uno specchio- Episodio di Istanbul), curato da Devrim Kadirbeyoğlu e Antonello Tolve, e organizzato da The Blank Contemporary Art di Bergamo e Depo, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura a Istanbul, visitabile fino al 25 giugno.
Tra le strade di Tarlabaşı, travolto da una speculazione edilizia e un processo di gentrificazione impressionante, – al quale peraltro l’artista turco Halil Altindere aveva dedicato il film Wonderland (2013) – Tosatti ha scelto un edificio decadente, sopravvissuto alle ruspe, che sembra uscito dalle pagine del romanzo di Pamuk Istanbul (2003). Una scala conduce nell’appartamento semiabbandonato, dove alcune stanze sono ammantate di cenere ed altre mostrano alcuni vecchi mobili, un grammofono e una serie di bicchieri di cristallo, scheggiati dal rumore assordante dei lavori stradali.
L’unica abitante è una ragazza sorda (la cantante e performer Ayşe Köksal) che apre le finestre, accende il grammofono e ne rivolge la tromba verso l’esterno, per diffondere le arie d’opera nel quartiere. “È come osservare una stella morente. Essere esposti ai suoi ultimi bagliori, dall’osservatorio privilegiato del palazzo in cui stiamo costruendo l’opera. Un’opera che si oppone, con la disperata vitalità della poesia, all’avanzare del deserto” spiega l’artista, che ha saputo dare una poetica e drammatica voce alla malinconia di Istanbul, scegliendo il quartiere curdo, un ghetto del quale, tra qualche decennio, potrebbe non rimanere più traccia.