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Intervista a SISYU: dove la calligrafia va oltre il segno
Arte contemporanea
In occasione della mostra Onironautica 3, progetto multidisciplinare di Nello Taietti curato da Vera Agosti presso la Fondazione Luciana Matalon, le fotografie dell’artista dialogano con le opere di SISYU, artista giapponese poliedrica. Le sue creazioni fondono la tradizione millenaria dello Sho — l’arte della calligrafia giapponese — con linguaggi contemporanei come la scultura, la pittura e la reinterpretazione delle stampe ukiyo-e. Nelle sue opere, la calligrafia si espande oltre il segno e diventa materia: sculture di ferro e installazioni luminose che segno, luce e ombra in un unico gesto.

Come è iniziato il tuo percorso artistico e quali sono state le influenze più significative?
«Il mio percorso artistico è cominciato il giorno in cui ho lasciato l’azienda in cui lavoravo dopo essermi laureata. Ci sono rimasta per tre anni, ma a un certo punto ho capito che non era il mio posto. Quella decisione è stata il primo vero atto di scelta nella mia vita. Fino ad allora avevo creduto di star scegliendo autonomamente, ma in realtà mi stavo solo lasciando trasportare. Il giorno dopo aver lasciato il lavoro, ho iniziato a guardarmi dentro: “Cosa mi piace davvero?” “Cosa mi rende felice?” Mi facevo queste domande, ma non riuscivo a trovare risposte. Non sapevo più chi fossi. Eppure, ho continuato a interrogarmi ogni giorno. In questo processo, tutto ciò che avevo portato con me — orgoglio, ambizione, fiducia e presunzione, le aspettative degli altri, il buon senso, le regole, i limiti — è crollato rumorosamente. Lasciar andare tutto ciò che mi aveva sostenuto è stato estremamente doloroso. Poi, una volta svuotata di tutto, ho percepito chiaramente dentro di me la parola “calligrafa”. Nel momento stesso in cui ho compreso di voler diventare una calligrafa, ho sentito il cuore alleggerirsi. Non sapevo perché dovesse essere proprio la calligrafia, una delle più antiche tradizioni giapponesi. Ma ho scelto di fidarmi di quella sensazione — la prima volta in vita mia in cui mi sono sentita leggera — e ho deciso di vivere come calligrafa. Ancora oggi penso che la cosa migliore che mi sia mai accaduta sia stata scoprire che questa era la mia strada.»
Le tue opere hanno soggetti che si portano dietro significati profondi, lasciando intendere un grande studio dell’arte classica giapponese. Un esempio sono le stampe di ukiyo-e rivisitate, un altro è l’opera Feasting Cross, Feasted Crow, dove la suggestiva figura di un corvo in fin di vita incombe. Quando crei una nuova opera, parti da un concetto preciso e studiato o il processo nasce dall’istinto e dall’improvvisazione?
«Da quando ho scelto di diventare calligrafa, ho deciso di vivere affidandomi all’intuizione, non alla logica. E lo stesso vale per la mia pratica artistica. Quando creo, lascio che siano le mani a muoversi seguendo l’istinto. Spesso mi chiedono quale significato abbia il mio gesto, ma nemmeno io lo so all’inizio: non riesco a esprimerlo a parole, rimane qualcosa di indefinito. Continuo semplicemente a muovermi, a dare forma a ciò che sento. Le opere nate in momenti diversi sono come “punti” sparsi. A un certo punto, quei punti iniziano a connettersi e diventano linee. Quando le linee prendono forma, nasce un’immagine più concreta. Solo una volta terminata l’opera guardo dentro di me per capire perché è nata. Dopo questo processo di introspezione, mi prendo del tempo per scegliere il titolo e scrivere il commento che accompagna il lavoro. Per quanto riguarda Feasting Cross, Feasted Crow, l’opera rappresenta un corvo morente, un soggetto che raramente si vede raffigurato nelle opere tradizionali giapponesi. Il becco è spezzato e l’atmosfera è cupa. Le opere scultoree che completano l’opera dando profondità e ricordando sangue rappreso. Il corvo ha generalmente una connotazione negativa per il loro essere predatori di animali di piccola taglia, la realtà è che spesso, a loro volta, diventano prede di altri uccelli facendo continuare il semplice ciclo della vita. Il dipinto per me rappresenta quella labile linea tra la vita e la morte, il destino già scritto di quel corvo.»

Nell’immaginario comune, il Giappone è spesso visto come un paese all’avanguardia, dominato dalla tecnologia, dai grattacieli e dal ritmo frenetico delle grandi metropoli. Come si fondono nella tua arte la calligrafia tradizionale giapponese e l’espressione contemporanea?
«Vorrei iniziare parlando degli strumenti. Il mio pennello preferito è realizzato con peli del mento di capra, considerati i più morbidi in assoluto, e ne utilizza solo una piccola quantità. I peli sono lunghi circa dieci centimetri, il che rende il pennello — già difficile da maneggiare — ancora più complesso. Senza abilità e concentrazione, i peli si piegano, si torcono o si spezzano. Questa padronanza è frutto della mia formazione nella calligrafia tradizionale, che ho iniziato all’età di sei anni, esercitandomi fino a otto ore al giorno, ogni settimana, per decenni. È l’accumulo di concentrazione, intuizione e tecnica: la base di tutto ciò che faccio. Su queste fondamenta ho potuto creare “forme d’espressione che nessuno aveva mai visto prima”. Per esempio, ho superato l’idea convenzionale che la carta debba essere “distesa su un tavolo o sul pavimento”. Invece, utilizzo un unico foglio di washi posto in verticale, sul quale lavoro da entrambi i lati — un esperimento che nessuno aveva mai tentato dal vivo. Inoltre, nelle mie opere i caratteri, che per loro natura dovrebbero essere piatti, si trasformano in forme tridimensionali che rendono visibili il movimento e la pressione del pennello. Questa trasformazione è nata dall’esigenza di far coincidere perfettamente l’idea da esprimere con la forma fisica del lavoro.
Ogni innovazione, però, nasce dal dialogo con la tradizione. Il terreno su cui mi trovo è l’estensione delle preghiere e della dedizione di innumerevoli maestri del passato. Nulla di ciò che creo esisterebbe senza di loro, e per questo provo una profonda gratitudine. Ed è vero che il Giappone è un paese ipertecnologico ma anche profondamente legato alla tradizione, dove l’eredità storica e l’innovazione convivono. Ma è anche vero che il Giappone non è cambiato da un giorno all’altro. L’innovazione si è creata a piccoli passi, e lentamente si è creata una nuova tradizione. Nelle mie opere vado avanti lentamente, aggiungendo piccole innovazioni rispetto al passato, in questo modo la tradizione si stabilizza ed è sostenibile. L’innovazione di cui parli è stata creata così.»















