16 dicembre 2025

Italia e Cina, la distanza è solo apparenza: intervista doppia a Bramante e Pozzi

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Una mostra di Davide Bramante e Luca Pozzi all'ICCF di Pechino, a seguito di una residenza in Cina, apre una riflessione sulla distanza solo apparente tra le due culture: ne parliamo con i due artisti

Luca Pozzi, Dark Collection For Eternal Peace, Beijing

All’ICCF Academy Art Center del Raffles City di Pechino si è tenuta l’inaugurazione della mostra Sviluppi del Contemporaneo per l’Ambasciata d’Italia e l’Istituto Italiano di Cultura di Pechino, dedicata alle opere realizzate in residenza da Davide Bramante (Siracusa, 1970) e Luca Pozzi (Milano, 1983), esposte anche negli ambienti dell’Ambasciata d’Italia e dell’Istituto Italiano di Cultura di Pechino. L’esposizione nasce all’interno di un ampio programma curatoriale volto a rafforzare la presenza della ricerca artistica italiana nella capitale cinese.

Da un’idea dell’Ambasciatore d’Italia a Pechino, Massimo Ambrosetti, con il coordinamento generale del Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Pechino Federico Roberto Antonelli, il progetto è organizzato e curato dal presidente di Nuova Artemarea, Guicciardo Sassoli de’ Bianchi Strozzi, insieme con Manuela Valentini e Ren Jingge, con l’assistenza di Matilda Cribiori e con l’organizzazione in Cina di Caterina Feng dell’Italy China Council Foundation Academy.

Courtesy of Davide Bramante

Questa mostra rappresenta la seconda tappa di un programma di residenze che, nell’estate 2025, aveva coinvolto Enzo Cacciola e Vincenzo Mascia, segnando l’avvio di un percorso concepito per favorire il dialogo tra artisti italiani e tessuto culturale pechinese. L’esperienza precedente ha posto le basi per un nuovo tipo di relazione strutturata sul contemporaneo con la capitale cinese, sulla base dei profondi e capillari rapporti culturali già in essere fra l’Italia e la Cina, rafforzati dai grandi progetti espositivi promossi dall’Ambasciata d’Italia a Pechino e dalla rete diplomatico consolare italiana. Ricordiamo le celebrazioni e le grandi mostre a Pechino e in diverse città cinesi per il VII Centenario di Marco Polo nel biennio 2024-2025, con progetti correlati e specifici, dall’antico al contemporaneo, con le massime istituzioni italiane e cinesi. Proprio nel 2025, infatti, ricorrono i 55 anni dei rapporti diplomatici fra Italia e Cina (1970-2025).

Il progetto di residenze Sviluppi del Contemporaneo si inserisce dunque nella proposta di consolidare i rapporti di conoscenza reciproca sulle specificità dell’arte contemporanea fra i due Paesi, mettendo in mostra alcune delle ricerche più interessanti proposte dagli artisti italiani, e come queste si sviluppino in nuovi esiti, con nuove trasmissioni estetiche, una volta entrate in contatto con la cultura cinese.

Courtesy of Luca Pozzi

Le opere di Davide Bramante e Luca Pozzi

Le fotografie di Bramante – riconducibili alla serie My own rave, iniziata nel 1998 e ancora oggi in progress – sono realizzate mediante la tecnica dell’esposizione multipla in fase di ripresa (non digitale). Un modus operandi che diventa, pertanto, uno strumento per cogliere l’anima mutevole dei luoghi. Gli scorci di Milano e Roma, le geometrie di Firenze, Bologna e Noto, così come le pulsazioni verticali di Pechino e Shanghai, non convivono come semplici strati visivi ma come veri campi di esperienza.

Con Bramante è possibile dire che la fotografia si comporta come un “residuo di energia” più che come una semplice registrazione, la quale, a sua volta, anziché documentare, compone. Ogni città appare come un organismo corale, attraversato da memorie, velocità e tensioni che generano una geografia interiore.

Luca Pozzi, Dark Collection For Eternal Peace, Beijing

Pozzi costruisce invece un linguaggio interdisciplinare alimentato dalla cosmologia multi-messaggera, dalla fisica teorica e dal patrimonio della storia dell’arte unendo, ai media tradizionali, dispositivi tecnologici di ultima generazione. In mostra, la fotografia Supersymmetric Partner (Le nozze di Cana) del 2009 si comporta come un telescopio invertito: l’artista riattiva la grande tela del Veronese esposta al Louvre saltandoci davanti e proiettandosi così all’interno di una rete visiva in cui ogni personaggio diventa un nodo per la creazione di nuove connessioni possibili sospese tra spazi e tempi distanti.

Invece, con Wilson Tour Carracci – Story of the Foundation of Rome, l’interazione attraversa il fregio monumentale del 1590 custodito a Palazzo Magnani a Bologna, trasformando la narrazione storica in un sistema di eventi manipolabili, questa volta attraverso il lancio reale di una pallina da tennis. Elemento alieno, sportivo e al tempo stesso ludico che mette in luce simmetrie, pause e slittamenti della composizione offrendo una rilettura alternativa del passato occidentale in chiave contemporanea.

Courtesy of Luca Pozzi

A questo dialogo si aggiunge un’installazione site specific composta da due piattaforme a levitazione elettromagnetica della serie Background Inside Platform through Palladio Influence, che rende ancora più evidente la modalità con cui Pozzi fonde storia architettonica e fenomeni fisici. I piedistalli bianchi, modellati sulle piante di altrettante celebri architetture palladiane, trasformano la stabilità rinascimentale in matrici operative. I cristalli neri di cui sono composte creano una soglia sulla quale fluttua una piccola sfera di neodimio specchiante che rende visibile un equilibrio precario ricco di tensioni tra presente, passato e futuro.

Una riflessione, quella di Pozzi sul grande architetto rinascimentale, che corre spontaneamente e in parallelo con gli studi in corso per le prossime celebrazioni e mostre dedicate proprio a Palladio a Pechino, organizzate dall’Ambasciata e dall’Istituto Italiano di Cultura di Pechino.

Courtesy of Luca Pozzi

Equilibri e tensioni nei lavori di Pozzi li ritroviamo anche in Yin-Yang Loops tra due palline da ping-pong in trazione magnetica connesse da una barra di alluminio mandorlato piegata a mano. Un lavoro che consolida la relazione tra il gesto fisico dell’artista e la fragilità dell’ecosistema in cui vive. Abbiamo posto alcune domande agli artisti per sapere di più della loro esperienza nel mondo dell’arte in Cina.

Courtesy of Davide Bramante

Sguardi sulla Cina: la parola agli artisti

Cosa avete appreso da questa esperienza di residenza in Cina? Cosa vi ha lasciato?

Davide Bramante «Quello che ho davvero compreso, più di quanto potessi immaginare, è la rapidità con cui la Cina continua a trasformarsi. Ero stato a Pechino quasi vent’anni fa e, tornandoci, ho trovato una città che non riconoscevo più. Al di là dei luoghi storici – quelli che custodiscono la memoria e che oggi sono anche mete turistiche – tutto il resto è cambiato. Pechino è ormai un’altra città, completamente nuova rispetto a quella della mia prima esperienza. Durante la residenza ho realizzato nuovi lavori, proprio come mi ero proposto: spero possano essere all’altezza di quelli creati diciannove anni fa».

Luca Pozzi «Sono partito senza troppe aspettative, ma con la voglia di essere ponte tra culture e linguaggi distanti. Quello che ho scoperto è che la distanza, per certi versi, è solo apparente e che nella nostra cultura c’è già tanto di quella cinese e viceversa. In parte, perché gli scambi non si sono mai interrotti nel corso dei secoli. E in parte, perché, in fondo, quello che cerchiamo entrambi è un senso di armonia, un modo equilibrato di stare al mondo, ciascuno con i propri strumenti, ciascuno ovviamente con la propria sensibilità.

Da una parte, noi, con le nostre radici rinascimentali umanistiche e il Bauhaus (che loro amano profondamente). Dall’altra, loro, con il senso di appartenenza etica e sociale del Confucianesimo e del Taoismo o Neo-taoismo più cosmico e universale (che noi pratichiamo senza neanche saperlo: tutta la psicanalisi junghiana, per esempio, deriva dalla lettura in chiave occidentale del loro libro millenario dei mutamenti).

Dopo questa esperienza ho confermato la mia sensazione di quanto le culture più antiche, e quella cinese ne è stracolma, nascondano già i semi della tecnologia contemporanea più sfrenata. E di come, in fondo, le dualità uomo versus natura e reale versus virtuale siano ancora approssimazioni culturali contemporanee che in passato avevamo già ampiamente risolto.

Passeggiare nella Città Proibita di Pechino con questi occhi mi ha permesso letteralmente di trasformare ogni spirale scolpita che vedevo in un algoritmo ed ogni drago dipinto nello spirito “quantistico” di quello che loro chiamano “Qi”, che noi occidentali purtroppo ricordiamo solo grazie alle parole del maestro Shifu di Kung Fu Panda. Tra l’altro, ho scoperto che Shifu in cinese significa “Maestro”. Quindi, tradotto letteralmente, dire maestro Shifu è come chiamare una persona “maestro Maestro”. Fantasia portami via!».

Courtesy of Davide Bramante

Avete notato differenze sostanziali tra il sistema arte italiano e il sistema arte cinese?

DB «Non so se in questa occasione ho davvero incrociato il sistema dell’arte cinese in senso strutturato, ma ho avuto l’opportunità di relazionarmi con i curatori con i responsabili di musei di nuova generazione, fortemente interessati alla ricerca dell’arte italiana contemporanea.

Al vernissage sono poi arrivati diversi visitatori cinesi, molto curiosi e partecipi, e ciò che mi ha colpito è stato il loro forte interesse per la cultura italiana. Molti di loro parlavano la nostra lingua e avevano una conoscenza sorprendentemente ampia della nostra cultura in generale. È stato un incontro inatteso che ha certamente molto da dire del dialogo culturale possibile tra i due Paesi».

LP «Non vorrei generalizzare vista l’intensa ma breve esperienza. Credo esistano molti livelli diversi, con meccanismi diversi, a seconda che si guardi per esempio al sistema dell’arte cinese pubblico o privato. Quello che ho notato è che nel privato a Pechino c’è una grande voglia di trovare parallelismi tra l’arte occidentale e quella cinese, con il sincero desiderio di creare un vero e proprio contesto comune, una nuova mappa in grado di connettere i nostri grandi movimenti culturali dalla seconda metà del Novecento fino ai nostri giorni.

A livello governativo invece mi è sembrato che il sistema dell’arte segua delle direttive a medio/lungo termine piuttosto specifiche, incentrate su una visione identitaria orientata all’armonia e all’interdipendenza ecosistemica di tutte le cose, con una particolare attenzione al mondo rurale.

Non credo che l’arte pubblica cinese sia un’arte solamente politica, ma sicuramente le responsabilità culturali sono prese con grande serietà e portate avanti senza subire l’influenza di logiche speculative legate al mercato dell’arte».

Courtesy of Luca Pozzi

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