31 marzo 2020

Kunsthaus Bregenz: Bunny Rogers con ‘Kind Kingdom’

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Con una mostra interamente site specific l'artista americana Bunny Rogers, classe 1990, trasforma lo spazio dell'edificio di Peter Zumthor

Bunny Rogers
Bunny Rogers, Trash Mound, 2020, Kunsthaus Bregenz, marzo 2020, Foto: Markus Tretter © Bunny Rogers, Kunsthaus Bregenz

Morte, perdite e lutto e un’angoscia diffusa sono temi tristemente e fortemente presenti nelle cronache e nelle vite di molti in questi giorni. Prima che tutto ciò avesse inizio, in realtà poco più di due mesi fa, la giovane artista americana Bunny Rogers (1990, Houston, Texas) inaugurava su questi temi la sua personale “Kind Kingdom” al Kunsthaus di Bregenz (fino al 13 aprile).

Quando penso a una mostra voglio creare una vetrina, ma poi diventa un armadio: Rogers attinge al suo vissuto interiore e si mette in gioco in prima persona con le sue fragilità per toccare il tema della morte e le diverse espressioni e fasi del lutto nell’immaginario collettivo occidentale. In una sottile e perfetta consonanza tra livello fisico e simbolico, l’artista lascia sbocciare la sua personale Vanitas contemporanea.

Bunny Rogers, Cement Garden, 2020, Ausstellungsansicht 2. Obergeschoss, Kunsthaus Bregenz, 2020, Foto: Markus Tretter, Courtesy of the artist © Bunny Rogers, Kunsthaus Bregenz

Il percorso espositivo

Concepita come opera site specific, “Kind Kingdom” aderisce perfettamente alla pelle dell’edificio progettato dall’architetto svizzero Peter Zumthor, di cui l’artista ha cambiato odore, temperatura, luce e perfino tasso umidità mostrando una capacità rara di dominare lo spazio con grande disinvoltura.

L’esperienza di visita è immersiva e delicatamente sconvolgente – i luoghi fisici della mostra corrispondono a stati emotivi, mondi interiori. Il percorso prende avvio con Memorial (2020): nel buio di una luce bluastra e su un prato di vera erba spicca un grande feretro ricoperto di cumuli di foglie rinsecchite, corone e mazzi di rose blu appassite. Su un cavalletto c’è il ritratto dell’artista: già nell’installazione Farawell Joanperfect del 2017, per il Louisiana Museum of Modern Art, a Humlebaek,  Rogers aveva messo in scena il proprio funerale. Una strategia di sublimazione ed esorcizzazione, ma anche un modo per aprire allo spettatore quegli angoli più oscuri del proprio armadio – l’artista non ha infatti mai nascosto i suoi passati problemi di depressione.

Bunny Rogers, Memorial, 2020, Ausstellungsansicht EG, Kunsthaus Bregenz, 2020, Foto: Markus Tretter, Courtesy of the artist © Bunny Rogers, Kunsthaus Bregenz

La mostra è orchestrata come un climax che trova il suo culmine al secondo piano con Trash Mound (2020). Qui lo scenario si evolve: aumenta la luce, e insieme ad essa l’odore di decomposizione del prato. L’intero spazio espositivo è un desolante paesaggio di bottiglie, lattine, bicchieri di plastica, piatti con resti di torta, frammenti di palloncini neri afflosciati. La festa è finita. Tutto è “saltato in aria”. Il dolore reale è “sporcato” dalla sua stigmatizzazione nell’immaginario collettivo popolare. Da sacchi di immondizia fuoriescono infatti elementi di un repertorio sentimentalistico kitsch-di massa, che celebra, spesso morbosamente, le morti illustri; riviste su Lady D, guanti bianchi, orsetti, CD di Célin Dion (My Heart Will go on) e di Elton John.

Bunny Rogers, Trash Mound, 2020, Ausstellungsansicht, 1. OG, Kunsthaus Bregenz, 2020, Foto: Markus Tretter, Courtesy of the artist © Kunsthaus Bregenz

Il risultato è una messa in scena d’autore potente, immediata e convincente; in diversi elementi riecheggia un tema con cui Rogers siè confrontata ossessivamente nella sua opera, il massacro della Columbine High School in Colorado, negli Stati Uniti, nel 1999. Ma la mostra per il KUB va oltre, indicando possibili vie di elaborazione. Il dolore sembra ricomporsi in Cement Garden (2020): un consesso di sculture di cemento dal tratto minimalista, in cui sono racchiuse impalpabili rose.

Bunny Rogers, Cement Garden, 2020, Ausstellungsansicht 2. Obergeschoss, Kunsthaus Bregenz, 2020, Foto: Markus Tretter, Courtesy of the artist © Bunny Rogers, Kunsthaus Bregenz

“Kind Kingdom” termina con un finale di purificazione che appare profetico alla luce del momento storico attuale. Il quarto piano del museo, rivestito di 25mila piastrelle, è diventato un’enorme Locker Room: un grande spogliatoio, simile a quelli di tante scuole e palestre. Nebbia e umidità invadono lo spazio, ci si muove sospesi, unico suono quello delle gocce d’acqua che scendono ritmicamente dalle docce. Come il momento del dolore, nell’opera di Rogers anche quello della purificazione è collettivo. Per quanto difficoltoso e perfino imbarazzante, “metterci a nudo” davanti agli altri sembra essere un passaggio indispensabile e necessario.

Bunny Rogers, Locker Room, 2020, Ausstellungsansicht 3. Obergeschoss, Kunsthaus Bregenz, 2020, Foto: Markus Tretter, Courtesy of the artist © Bunny Rogers, Kunsthaus Bregenz

“King Kingdom”, al momento chiusa a causa dell’emergenza Covid, continua “virtualmente”, come voluto dall’artista, con una serie di fotografie che ne testimoniano il progressivo decadimento, pubblicata nel sito del museo, dove sono disponibili diversi materiali sulla mostra, tra cui un talk con l’artista.

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