21 ottobre 2021

La poesia della materia di Burri, alla Fondazione Ferrero

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Dai sacchi alle plastiche, passando attraverso i legni, le muffe, i cellotex e i catrami: a guidare le evoluzioni di Burri è la tensione costante all’equilibrio. Una nuova mostra svela le "discontinuità coerenti" del grande artista

Burri Ferrero
Alberto Burri, Rosso Plastica, 1962, cm. 81,5x100 ©Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello, by SIAE 2021

Ferite, combustioni, cicatrici, ossidazioni. C’è tutto questo nelle sale di Burri. La poesia della materia, la nuova mostra inaugurata alla Fondazione Ferrero, ad Alba, per ripercorrere in un labirinto ordinato la ricerca dell’artista dei cretti. Tutta la ricerca, senza eccezioni, dalla prima opera figurativa creata in prigione, nel Texas, fino ai risultati degli anni ’90 – quei lavori astratti in oro e nero, quasi classici, che riecheggiano la perfezione della materia cruda.

Dai sacchi alle plastiche, passando attraverso i legni, le muffe, i cellotex e i catrami: a guidare le evoluzioni di Burri è la tensione costante all’equilibrio, la trasformazione da chaos a kosmos, una sfida che si gioca, dall’inizio alla fine, nell’arena dei materiali compositivi. Ma non solo. Filo rosso del curatore Bruno Corà è la poesia sottesa all’opera di Burri, con una sfilata di 45 opere che urlano versi, immagini, suoni – senza mai gridare.

Scriveva Ungaretti: «Amo Burri, perché non è solo il pittore maggiore d’oggi, ma è anche la principale causa d’invidia per me: è d’oggi il primo poeta». E non fu il solo ad accostarsi alla sua indagine, a quella materia che racconta lacerazioni. L’opera di Burri fu apprezzata da Libero De Libero, ne parlò Leonardo Sinisgalli, e ancora Emilio Villa, autore colto, fuori dal coro. «Quando il poeta lavora è come un pittore della parola», spiega il professore Corà, «governa lo spazio della pagina con le sue voci interiori, le sue emozioni, che naturalmente restituisce come poesia. Burri ha fatto lo stesso con la pittura».

E dire che Burri, delle proprie parole, sembrò quasi non fidarsi per descrivere il suo lavoro («Non mi sono d’aiuto quando provo a parlare della mia pittura», diceva, «Questa è un’irriducibile presenza che rifiuta di essere tradotta in qualsiasi altra forma d’espressione. […] Questa è quanto essa significa: esistere così come dipingere»), e alle chiose di accademici e studiosi predilesse, sempre, quelle dense dei poeti. Ma seppe comunque scrivere poesie. Anzi raccontarle. Solo, a suo modo.

“Burri. La poesia della materia”. Exhibition view, Fondazione Ferrero, Alba. Photo © Murialdo
“Burri. La poesia della materia”. Exhibition view, Fondazione Ferrero, Alba. Photo © Murialdo

Otto sale cronologiche e tematiche, alla Fondazione Ferrero, esprimono pause, scoppi, silenzi, metafore, improvvise digressioni. Ci sono tutte le figure possibili in quelle sue lacerazioni, tutte le sonorità che rimano in un percorso discontinuo, mai uguale a sé stesso, eppure coerente nella sua indagine senza fine. Come quel grande Sacco e rosso SP 2 del 1958, che unisce alla juta solo olio e vinavil su tela; o ancora Nero, del 1961, con l’assemblaggio di plastica, acrilico e sabbia che danno vita a un’unica poesia.

«Alberto Burri amava sorprendersi, sorprendere gli altri, creare stupore», prosegue Corà nella sua presentazione. «Voleva dimostrare che anche qualcosa che non ha nessun valore può diventare prezioso. Poi si stancava. Soprattutto quando qualcuno lo identificava. “Ah, tu sei il pittore dei sacchi?”. No, non solo. E allora cambiava, cambiava. Dai sacchi passava alle combustioni, usava il fuoco invece del pennello. Era, nella sua attitudine, molto discontinuo, ma in realtà molto coerente. E questa introduzione continua di mezzi e di materiali ha prodotto una forma di pittura che non si era mai vista prima».

Ma non finisce qui la retrospettiva su Burri offerta fino a gennaio sul territorio di Alba. Dalla Fondazione Ferrero la mostra prosegue nelle sale di Palazzo Banca d’Alba con Burri. Il Cretto di Gibellina, un’esposizione a cura di Bruno Corà, Tiziano Sarteanesi e Stefano Valeritutta dedicata all’opera più imponente dell’arista informale – probabilmente anche la più celebre, grazie alla sua estensione su grande scala. È il Cretto di Gibellina, quella colata di cemento quasi salvifico che copre un terreno aspro, ormai ridotto in macerie. È l’emblema di Burri, poeta suo malgrado, che fa rimare contrasti e crepe. È la forza che, in 80mila metri quadrati, trasforma un disastro senza voce in poesia della materia.

“Burri. La poesia della materia”. Exhibition view, Fondazione Ferrero, Alba. Photo © Murialdo
burri ferrero
“Burri. La poesia della materia”. Exhibition view, Fondazione Ferrero, Alba. Photo © Murialdo
“Burri. La poesia della materia”. Exhibition view, Fondazione Ferrero, Alba. Photo © Murialdo

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