25 luglio 2025

La riconciliazione come unica opzione possibile, a Cortona On The Move

di

La 15ª edizione di Cortona On The Move sceglie di occuparsi di ferite e guarigione. Di esplorare gli spazi tra le rotture e le riparazioni, tra il conflitto e l'unità, per comprendere cosa significa trovare un terreno comune quando il terreno stesso sembra spesso cedere sotto i nostri piedi. Mostre, talk e dibattiti animeranno la cittadina del mitologico Dardano, fino al 2 novembre

Cortona On The Move. Ph. Francesco Fedeli

La riconciliazione è un sacramento. Il sacramento del perdono poiché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente «il perdono e la pace». Il progetto curatoriale della 15ª edizione di Cortona On The Move – COME TOGETHER –, ideato dal direttore artistico Paolo Woods il giorno prima delle elezioni presidenziali americane, si muove sotto l’egida della parola RICONCILIAZIONE. 

Una riconciliazione che comincia da sé stessi, nel cammino per andare a Cortona. 

Raggiungere Cortona non è solo un viaggio geografico, ma un atto di volontà. A luglio, con 37 gradi, dopo almeno due treni e un pullman, devi davvero volerci arrivare. Devi sentirne il bisogno, l’urgenza, la motivazione. Devi aver il coraggio di guardare e ascoltare, di non chiudere ancora una volta gli occhi di fronte a un mondo che sta andando a rotoli. Devi saper affrontare le complessità e avere chiaro che la riconciliazione non è solo un compromesso, ma richiede cambiamenti di paradigma e il coraggio di nuovi modi di essere.

Cortona On The Move. Ph. Francesco Fedeli

Questa nuova edizione chiosa Woods: Come Together sarà bello, ma anche crudo, disordinato   e  ruvido.  Si    tratta della forza  e  del coraggio che ci spingono a tentare di ricucire le relazioni incrinate, sia all’interno delle famiglie, sia attraverso i confini, sia nel silenzioso e disperato tentativo di riconciliarsi con il proprio io. Osservando storie in cui la guarigione è possibile, anche se incompleta e imperfetta, Come Together vorrebbe offrire una  visione  del  mondo  non  solo  così  com’è, ma  anche  come  potrebbe  essere”.

Attraverso 23 mostre e lo sguardo di 76 artisti da tutto il mondo, dalla Palestina all’Iran, dalla Francia al Canada, dagli USA alla Russia, dall’Ucraina all’Italia, sono stati esplorati gli spazi tra le rotture e le riparazioni, tra il conflitto e l’unità, dando valore ai processi di guarigione e trasformazione che portano alla riconciliazione e cercando modi per superare le fratture sociali, politiche ed economiche che segnano il nostro mondo.

Inferno & Paradiso, Alfredo Jaar. Courtesy Galleria Lia Rumma, Milano & Napoli, e l’artista, New York.
© Foto di Hannah Reyes Morales

Tra gli artisti protagonisti di questa edizione del festival, Alfredo Jaar, alla Fortezza di Girifalco, con la mostra originale Inferno & Paradiso, coprodotta con Photo Elysée, Museo per la Fotografia di Losanna, in cui 20 tra i più grandi fotoreporter di oggi sono stati invitati a selezionare due immagini dal loro archivio: la più straziante e quella che ha dato loro più gioia. Già solo questo progetto merita il viaggio. Una mostra straziante nel segmento più doloroso dell’Inferno, ma che dà anche speranza nel momento in cui passano le immagini del Paradiso visto dagli occhi dei fotoreporter scelti dall’artista cileno. 

Durante la presentazione della mostra Jaar: «Per ogni esposizione, guardo al contesto e cerco di rispondere ad esso attraverso l’arte. Ma cos’è l’arte? La mia definizione preferita è di uno scrittore nigeriano di nome Chinua Achebe che ha scritto che l’arte è il nostro tentativo di cambiare l’ordine della realtà che ci è stata dato. L’esposizione Inferno & Paradiso è un tentativo di rispondere a queste due domande: capire il mondo e cercare di cambiare l’ordine della realtà. E credo profondamente che questo sia ciò che la maggior parte dei fotogiornalisti che lavorano oggi possono fare attraverso le loro immagini, cambiare il mondo attraverso le loro immagini. Il problema è che queste immagini raggiungono noi ma non i nostri politici e in questo senso la politica ci ha miseramente deluso».

Dalla serie Blood Bonds: Reconciliation in Post-Genocide Rwanda © Jan Banning

Sempre alla Fortezza Girifalco, Jan Banning con la mostra Blood Bonds: reconciliation in post-genocide Rwanda. La mostra ci catapulta direttamente nel 1994, al genocidio in Rwanda in cui quasi un milione di persone persero la vita di fronte allo sguardo ignaro dell’occidente. Il genocidio del Rwanda non è stato perpetrato da eserciti ma da vicini di casa armati di machete, bastoni e martelli. La maggior parte delle vittime era Tutsi, ma naturalmente c’erano morti anche tra gli Hutu. Ciò che fa Jan insieme allo scrittore Dick Wittemberg con il quale ha trascorso un mese in Rwanda è cercare esempi di riconciliazione. Il progetto è quello di indagare sulle persone che hanno partecipato, a partire dal 2005, al programma di socioterapia gestito dalla OGM CBS Rwanda. Piccoli gruppi di 10-15 persone, spesso composti sia da sopravvissuti, sia da esecutori dell’eccidio. Cercarli e ritrarli insieme, dopo essersi raccontati, perdonati e riconciliati è il cuore del progetto. Il lavoro che fa Banning è straordinario e commovente al tempo stesso. Si è quasi increduli di fronte all’immensità del perdono, anche quando ti hanno ucciso quattro su sette figli come è accaduto a Celestin. Il Cortona on the Move già alcuni anni fa presentò un progetto incredibile dell’artista Jonathan Torgovnik (Intended Consequences) sulle vittime degli stupri durante il genocidio e sui figli nati dalle barbarie di quei cento giorni.  

A Palazzo Baldelli la mostra di Maya Valencia, Ca Sa Padrina – Letter to my Grandmother’s House, in collaborazione con Institut d’Estudis Baleàrics ruota attorno all’addio dell’autrice alla casa di famiglia, situata nel quartiere Son Espanyolet a Palma de Maiorca. Nell’edificio che si vede nelle immagini, i suoi nonni hanno vissuto tutta la vita. Dopo la loro morte, l’artista ha cercato di elaborare il dolore della perdita degli affetti e dell’abitazione. La Valencia ci racconta l’intimità intima della sua casa, i momenti di gioia, di dolore, di convivialità. Nello stesso tempo ci mette di fronte a un problema che molte città stanno affrontando: il mercato straniero degli investimenti immobiliari che costringe le persone ad andarsene e ad abbandonare il loro luogo natio. Avere una casa, dice l’artista, è diventato un lusso. Ca sa Padrina è un atto di resistenza contro gli effetti della gentrificazione. 

Dalla serie Ca Sa Padrina – Letter To Grandmother’s House © Maya Valencia

Merita una menzione speciale al fotografo spagnolo Daniel Ochoa de Olza che con il progetto The Gap / La Frontera, una penetrante indagine visiva sul muro al confine tra Stati Uniti e Messico vince il Cortona On The Move | BarTur Grant, il nuovo premio per la fotografia documentaristica supportato dal Visual Storytellers Fund. 

In un mondo dove l’odio è diventato moneta corrente e la frattura sociale una condizione permanente, Cortona On The Move non offre soluzioni, ma visioni. E in quelle visioni, spesso imperfette, ruvide, lacerate, c’è forse l’unica risposta possibile: la riconciliazione non come fine, ma come pratica quotidiana, come esercizio di immaginazione etica. È un percorso da attraversare con lo sguardo vigile e il cuore aperto. Perché, in fondo, Come Together non chiede di capire, ma di sentire. E nel sentire, forse, ricominciare a credere che un altro mondo – più giusto, più umano – possa ancora esistere.

Nota personale.

Questa edizione del Cortona On The Move non è bella. 

È bellissima.  

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui