09 ottobre 2023

La scena artistica contemporanea di Israele raccontata dalla direttrice del Tel Aviv Museum of Art

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L'intervista alla direttrice del museo d'arte di Tel Aviv è la prima di una ricognizione su arte contemporanea, sistema artistico e politico di Israele, in un momento in cui il patrimonio e l'intero Paese sono sotto attacco

Tel Aviv Museum of Art- Herta and Paul Amir Building - Photo by Amit Geron

Nota di redazione: L’intervista è stata realizzata prima dell’offensiva militare di Hamas contro Israele

In Italia quando si sentono notizie riguardanti Israele sono due i principali argomenti trattati: la drammatica situazione sociopolitica e le numerose innovazioni tecnologiche che sono entrate nel quotidiano di molti di noi. Si parla molto raramente di Israele in relazione all’arte e se succede, la notizia riguarda ritrovamenti archeologici e quasi mai di Israele in rapporto all’arte contemporanea, motivo per cui nasce questa Halon (trad: finestra) che si affaccia sul mondo dell’arte israeliana. Attraverso questo ciclo di interviste scopriamo con gli attori principali della scena contemporanea israeliana le unicità di un sistema, già di per sé complesso, che in questo specifico caso soffre di un particolare isolamento rispetto alla scena internazionale. Indaghiamo le criticità e i punti di forza del sistema dell’arte di una delle nazioni più contradittorie del nostro tempo.

Main Building, entrance hall, 2019 Credit Elad Sarig

Per avere una visione esaustiva della scena artistica israeliana è importante, anche se in modo parziale, conoscere i paradossi di cui vive. Paese che nasce faticosamente nel 1948, malgrado la sua breve vita, custodisce una storia che affonda le radici in un passato remoto conteso tra più popolazioni. Israele, malgrado si trovi in Medio Oriente, è uno stato di stampo occidentale; motivo per cui fin dai primissimi anni del XX secolo le autorità hanno sempre prestato una particolare attenzione alle istituzioni culturali. Un esempio tra tutti è il Tel Aviv Museum of Art (TAMA) che venne fondato del primo sindaco della città, Meir Dizengoff, nel 1932. Inizialmente ad ospitare il TAMA erano le mura domestiche del sindaco, oggi invece è un’istituzione che non solo trova sede nel cuore palpitante della città, ma è diventata un importante punto di riferimento anche a livello internazionale. «Essere oggi nella lista dell’Art Newspaper come uno dei 50 musei più influenti al mondo che riesce ad avere più di un milione di visitatori l’anno è un risultato importante. La missione del TAMA è di portare artisti di grande livello, infatti negli anni, per citarne alcuni, abbiamo organizzato le mostre di: Jeff Koons, Alexander Calder, Hiroshi Sugimoto e Yayoi Kusama. Allo stesso tempo vogliamo raccontare la storia dell’arte israeliana. Vogliamo essere agenti attivi nella promozione dell’arte contemporanea di questo paese, abbiamo difatti un ruolo fondamentale in questo senso».

Tania Coen-Uzzielli Hadas Parush

A parlare è Tania Coen-Uzzielli, direttrice dal 2019 del Tel Aviv Museum of Art. Nata e cresciuta a Roma, si è trasferita in Israele dove ha conseguito la laurea triennale e magistrale in Storia dell’Arte e Archeologia. Tra i vari incarichi da lei ricoperti prima di diventare direttrice del TAMA è stata head of Curatorial Affairs dell’Israel Museum di Gerusalemme e curatrice del padiglione israeliano della XVI edizione della Biennale di Architettura.

In Israele viene prestata molta importanza all’archeologia. Malgrado ciò, è giusto affermare che ci siano molti progetti volti a promuovere artisti contemporanei?

Israele è un paese molto ricco a livello archeologico. Il Ministero della Cultura e la Soprintendenza Archeologica sono molto attenti a questo aspetto e meno alla promozione dell’arte contemporanea. È vero però che ci sono comunque moltissimi programmi volti a promuovere artisti.

Ad esempio?

Un esempio è il TAMA, che non collabora solo con nomi di fama internazionale, ma lavora anche in loco per la promozione di giovani artisti israeliani. Nello specifico ogni anno al museo si riunisce un gruppo di amanti e promotori dell’arte chiamato Scegliamo l’arte. Questo gruppo elargisce una donazione al museo e durante l’anno gli facciamo incontrare artisti, gli spieghiamo tendenze, andamenti e il nostro punto di vista sulla scena artistica contemporanea. In seguito, il museo compra opere di artisti israeliani contemporanei. In questo modo siamo agenti attivi nella promozione dell’arte.

Cosa indebolisce invece questo sistema?

Ciò di cui soffre di più la scena artistica israeliana è il suo isolamento a livello internazionale. Gli artisti, infatti, fanno fatica a esporre all’estero. Sono molto poco conosciuti e le gallerie non riescono ad avanzare a livello internazionale. Questo è il motivo per cui In Israele esiste un programma chiamato Artis il cui obbiettivo è promuovere gli artisti israeliani all’estero. Tra le varie iniziative quella di portare curatori internazionali in Israele, in modo tale da innescare determinate dinamiche con lo scopo di favorire la conoscenza a livello internazionale di artisti israeliani. Sono anni ormai che un artista israeliano non viene presentato alla Biennale di Venezia nel Padiglione Centrale. La ragione di questo isolamento è purtroppo il risultato di come il governo israeliano si presenta alla società internazionale e nello specifico alla comunità intellettuale.

A proposito delle complessità che Israele deve affrontare sia a livello internazionale e nazionale, mi viene in mente una frase di Camus che recita “Se il mondo fosse chiaro l’arte non esisterebbe”. In una realtà difficile e spesso poco chiara come quella israeliana come vengono riflesse queste criticità nel sistema dell’arte?

L’arte ha l’interessante caratteristica di riflettere i sentori e i malori della società. Non bisogna sempre fare politica, però analizzando l’arte si nota come in superfice galleggino i problemi di una comunità. Infatti, una volta era d’uso presentare l’arte israeliana attraverso il prisma di come la società in Israele si è evoluta. La narrazione, quindi, inizialmente era legata al sogno utopico sionista. In seguito, l’attenzione si è spostata verso l’archeologia e il tentativo di affrancarsi dall’ebraismo, per poi muoversi verso la ricerca degli artisti israeliani nell’indentificarsi nella società artistica internazionale e nello specifico attraverso le correnti degli anni ’50 e ’60. In ultimo si nota come gli artisti si siano riappropriati dei problemi intrinsechi all’identità israeliana.

E oggi?

Ad oggi l’arte israeliana viene interpretata attraverso una chiave di lettura differente; motivo per cui, al TAMA abbiamo reinstallato da poco una mostra che rilegge la collezione di arte israeliana attraverso l’interpretazione del filosofo Gaston Bachelard dei quattro principi universali: acqua, fuoco, terra ed aria. Quando le opere vengono presentate in questo modo sembra che siano avulse dal contesto storico sociale, ma se si riflette sui singoli elementi viene naturale collegare il fuoco alla guerra, la terra al conflitto territoriale, l’acqua alla siccità di cui Israele soffre ed infine l’aria rimanda inevitabilmente ad una dimensione spirituale. Questi principi assolutamente universali, ci aiutano a comprendere come l’arte sia legata in modo indissolubile con la società e la storia.

TAMA piaza and the Paulson Building credit Elad Sarig

Israele viene definita “Startup Nation”, difatti viene prestata particolare importanza al progresso tecnologico ed informatico; come si relaziona questo fenomeno con il mondo dell’arte?

Israele viene definita Startup Nation, bisogna però pensare alla startup non solo come modello tecnologico, ma anche come modello di pensiero. Per una società creativa, che si mette in discussione, che vive di paradossi e conflitti, il modello startup come modo di pensare è diventato una tecnica di sopravvivenza per andare oltre gli ostacoli. L’arte, in questo contesto, si ritrova non solo nell’ utilizzo di nuove tecnologie, ma è anche legato a questo approccio alla vita che considero essere il motore immobile di tutta la società e di fatto anche delle istituzioni culturali.

Visitando il TAMA è immediato notare le differenze tra l’approccio del museo israeliano e quello delle istituzioni museali italiane con il pubblico; in cosa sono carenti le istituzioni museali italiane rispetto a quelle israeliane e viceversa?

Le istituzioni museali italiane hanno ancora delle carenze di accessibilità. Spesso sono un po’ arcaiche nella concezione del presentare l’arte e nell’idea della fruizione di questa, quindi, funzionano meno bene come veicoli educativi e di promozione. D’altra parte, Israele può imparare tantissimo sulla conservazione dei beni culturali, essendo un paese giovane non ha ancora sviluppato una tradizione in materia.

Che cosa si auspica per il futuro del museo?

Spero che la società d’Israele venga curata, il paese in questo momento si trova in una situazione cruciale, mi auguro quindi che il museo possa essere un agente vivo per la sanatoria di questo paese che si trova in un momento drammatico. Inoltre, mi auguro che il museo continui a far intersecare sempre di più l’arte locale con l’arte internazionale, sperando che questo processo possa essere d’ispirazione per altre istituzioni.

1 commento

  1. una buona partenza per un PAESE che guarda al FUTURO ed è giovane come ISRAELE, purtroppo l’attacco subito dimostra la necessità di includere anche gli scambi CULTURALI fra le POLITICHE di PACE
    nonostante da 20 anni collaboro in sede UNESCO al progetto voluto e creato dopo l’attacco terroristico alle TORRI GEMELLE solo nel MAGGIO 2023 sono entrata alla WHITE HOUSE grazie all’ARTIFICIAL INTELLIGENT ed ho ricevuto una lettera dal Presidente BIDEN con invito a collaborare al progetto ANTISEMITISMO
    il MONDO assiste incredulo ad un attacco alla sicurezza che dimostra la fragilità ed incapacità anche della DIPLOMAZIA
    non solo dei POLITICI e dei SERVIZI SEGRETI
    personalmente da anni propongo documentary in memoria degli EBREI salvati dai CINESI, filmati prodotti dai figli di AMERICANI sopravvissuti al genocidio ospitati in CINA, non sono mai riuscita ad ottenere un minimo di interesse in ITALIA, viceversa il film “LA VITA é BELLA” interpretato da BENIGNI è stato tradotto in cinese e promosso dal MINISTERO della CULTURA CINESE da me inviato ai MUSULMANI alla WORLD INTERFAITH HARMONY WEEK la settimana proposta dal Re di Giordania alle Nazioni UNITE ed approvata all’UNANIMITA’ nel 2010, da tutti gli STATI, nel 2024 uscirà il nuovo libro intitolato “500 MUSLIM most INFLUENCE in the WORLD” per la prima volta (cosa positiva) sono stata invitata a collaborare-una cristiana DONNA fra MUSULMANI

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