22 gennaio 2022

“L’alba blu” di Giovanni Gaggia. Intervista all’artista

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Prorogata la mostra “Ho visto un’alba blu”, a cura di Livia Savorelli, che conclude il progetto di Giovanni Gaggia con l’Associazione Culturale Arteam tra Albissola Marina e Savona

Giovanni Gaggia, Adesso, 2021, particolare dell'opera (work in progress), ricamo su coperta della Marina Militare

Nell’autunno 2019 Giovanni Gaggia (Pergola, 1977), il prolifico marchigiano fondatore di Casa Sponge, ha svolto ad Albissola Marina, scelto dall’Associazione Culturale Arteam, la residenza d’artista per l’Antico Giardino Laboratori di prossimità, che si svolge ogni anno su idea e cura di Livia Savorelli.
Progetto nutrito e partecipato che ha visto Gaggia con la Savorelli in rapporto alla Fondazione Diocesana Comunità Servizi – Caritas Savona Noli e in collaborazione con enti come il MUSA – Civici Musei Savona, la Fondazione Agostino De Mari, il MuDA – Museo Diffuso Albisola, la Sezione di Savona di Italia Nostra e, naturalmente nel territorio, il Museo della Ceramica di Savona, che ad oggi ne ospita una mostra personale.
“Ho visto un’alba blu”, inaugurata ad ottobre e in proroga fino al 14 febbraio prossimo, è un concentrato della sua ricerca. Vi sono esposti dall’installazione Cuore a Dio, mani al lavoro, composta da 125 cuori in ceramica, realizzati durante la residenza, al video di Quello che doveva accadere, sunto del suo altro ampio progetto corale pluriennale che comprende anche un arazzo ricamato in braille e un libro d’artista, dedicato alla simbolica Strage di Ustica.
Dalla mostra emerge l’aspetto performativo e relazionale che lo identifica, come quello altrettanto rituale del ricamo, del disegno e la creazione ceramica, che in questo contesto oltretutto ha tradizione particolare… Risaltano l’attenzione alla coralità e disponibilità anche laboratoriale – notevoli tra le altre le attività svolte ad Albissola con il Laboratorio L –, quanto la pratica più personale, legata ai gesti con cui recupera saperi internazionali antichi, “ricucendo” in un certo senso la realtà contemporanea con impegno civile.

Abbiamo incontrato Giovanni nella sua Casa a Pergola, per scandagliare l’universo poetico e funzionale di questa sua esperienza.

Giovanni Gaggia, Cuore a Dio, Mani al lavoro dalla residenza a Casa Rossello, Albissola Marina (SV)

Da dove arrivi e dove stai andando?
Il lungo processo generativo del progetto ligure, passa per tutti i passaggi e gli elementi da te citati, fino a giungere all’esplosione all’interno della totalità degli spazi del Museo della Ceramica di Savona. L’impegno passa di uomo in uomo, di mano in mano e di segno in segno, amplificando così il valore politico dell’opera d’arte. Sono i medesimi elementi che contraddistinguono il mio viaggio di artista. Se oggi ne dovessi scegliere due, in questa giornata invernale dove la neve ci avvolge, due sarebbero i poli: la partenza, che è il disegno, e la danza, come tappa che appare quasi come la meta; tra di loro tutto il resto. Ciò che intendo far emergere da ogni mia fase, in particolare in quest’ultima, sono il valore civile e l’attenzione estetica. I cuori sono belli, come belli sono gli uomini e le donne che con me hanno deciso di intraprendere questo straordinario viaggio che da intimo si è trasformato in collettivo.

Il titolo della mostra attiene a un testo – canzone dei CSI − cantato da un altro Giovanni, che a sua volta con le parole ha creato scenari e consapevolezza − e ancora prima, il titolo del progetto di residenza e della grande opera che entra a far parte della collezione permanente del Museo, Cuore a Dio, mani al lavoro, trae origine dal motto della albissolese Santa Maria Giuseppa Rossello patrona dei ceramisti liguri. Che valore dai alla citazione?
Le citazioni rappresentano la mia formazione, la mia stratificazione. Le parole di Giovanni Lindo Ferretti mi accompagnano dall’adolescenza. In parte condivido il suo stesso cammino di uomo. Ho deciso di vivere isolato, ho davanti ai miei occhi tutti i giorni l’Appennino, ho un profondo rispetto per la terra ma sempre con uno sguardo al cielo. Questi sono gli elementi che mi piacerebbe emergessero dalla mia “Blu”. La terra nelle mani, il lavoro, la comunità, il blu del mare e del cielo. A fine percorso troviamo la linea dorata, la luce, nel ricamo e nella ceramica. L’ultimo passaggio è dalla materia e dal lavoro verso una visione più elevata dell’esistenza, la spiritualità.

Giovanni Gaggia, Ho visto un_alba blu, installazione, Museo della ceramica Savona

Il lavoro che ha portato alla mostra è riferito al Blu, colore di riconoscimento della ceramica ligure ma dai connotati universali, d’evocazione spirituale, e che oltre a rappresentare elementi come il cielo e il mare, indica il passaggio dal giorno alla notte, e viceversa fino all’alba, rappresentativo del sogno come di quel momento dell’intuizione lucida dopo il sonno. Possiamo intendere l’alba blu, come risveglio dal torpore della società? Un “aprire gli occhi dall’orlo increspato”? Hai voluto dare significati ulteriori alle tue scelte?
“Ho aperto gli occhi dall’orlo increspato. Ho visto un’alba blu, ho visto un’alba blu” recita Ferretti. Per me rappresenta un momento specifico della giornata, quando i primi raggi del sole toccano la notte e per un attimo il cielo si tinge di un intenso blu ciano. Questo momento, nel percorso espositivo si palesa e si concreta metaforicamente, un secondo prima di tornare al mare nel video che chiude il percorso espositivo, quando ci si trova di fronte l’arazzo con la parola ricamata ADESSO. È per me l’ultima possibilità prima dell’oblio.

Giovanni Gaggia, Ho visto un’alba blu, installazione, Museo della ceramica Savona

Ancora più simbolicamente il blu è il colore conciliante per eccellenza, quello della pace tra i popoli… non a caso è utilizzato per l’Unione Europa. Secondo te che futuro ha il concetto di collettività in questo periodo difficilissimo per le relazioni?
ADESSO si poggia su una coperta della marina militare. È ricamata da mani di donne nella piazza del mio paese. Queste sono tutte componenti che fanno diventare l’opera un urlo corale, guardando verso l’Afghanistan attraversando il nostro mare. Nella collettività sta l’unico futuro possibile, è necessario impegnarsi per tentare di generare processi condivisi volgendo lo sguardo al futuro, per una comunità consapevole.

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