14 novembre 2022

L’altro orologio della natura: la parola a Flatform, trovatori del molteplice

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Ospite speciali al festival Intersección di La Coruña, il duo italiano Flatform, di base tra Berlino e Milano, ci racconta la sua ricerca, dalla filosofia medievale all’antropocene, tra soggettività e molteplicità

Flatform a Intersección. Courtesy Intersección

La parola “trovatore” deriva dalla lingua occitana. Una delle sue possibili spiegazioni etimologiche è che derivi dal verbo “trovar” che significa “trovare”, e che fa riferimento a colui che trova, un cercatore. Flatform, un duo italiano di artisti e ricercatori con base tra Berlino e Milano, propone un repertorio denso, fangoso e, sorprendentemente, umoristico. I due componenti del gruppo si completano e si contrastano a vicenda: uno viene dal sud, l’altro dal nord, ma fanno capire che sono una cosa sola. Infatti, insistono – e a ragione – che preferiscono essere intervistati come un unico essere amebico e non essere nominati separatamente. Due voci diventano una sola; una morte dell’ego, una fusione di beni, un’unione sacra.

Flatform, Storia di un albero, 2020. Courtesy Intersección

La carriera professionale di Flatform è stata celebrata durante il festival cinematografico e artistico Intersección, tenutosi a La Coruña qualche settimana fa. A loro è stata dedicata una sezione speciale, dato che le immagini di Flatform «Hanno una poesia che nasce da un interesse costante nel prestare attenzione a quegli altri tempi che alla fine si intersecano con le nostre vite, e nel dare loro un posto o una forma visibile in quella meravigliosa illusione che è l’immagine in movimento. Il protagonismo è condiviso ed equamente distribuito, così da diventare spaziale, collettivo, multitemporale, con lo spettatore umano che scompare un po’, anche se non del tutto…le opere di Flatform fanno esercitare la nostra attenzione, un’attenzione che fino a non molto tempo fa non faceva affatto parte del paradigma. Lo sguardo in questo caso è al tempo stesso avido e attento», spiega Noa Castro Lema.

Come duo, si misurano tra i poli e le diverse geografie non solo del loro Paese di nascita, ma anche del mondo circostante. Esplorano e incontrano paesaggi e cartografie socialmente e politicamente complessi. I loro interventi li hanno portati nella remota comunità di Funafuti, la capitale dell’isola oceanica di Tuvalu. Giocano con il paesaggio e con lo sguardo sul paesaggio. Attraverso i loro video meditativi, Flatform rende evidente che «La natura guarda anche noi, non siamo solo noi a guardarla».

Flatform, That wich is to come is just a promise, 2019, Courtesy Intersección

Questa è una delle colonne portanti più forti del loro lavoro nel suo complesso. Cespugli, alberi e campi agricoli sono i protagonisti delle loro creazioni video. Gli esseri umani e le nostre tracce architettoniche indelebili passano invece in secondo piano.

«Si tratta di uno sguardo in azione», spiega Flatform del suo lavoro. Attivano lo sguardo dello spettatore attraverso un intervento curioso che rivela la latenza dei membri partecipativi e attivi del nostro mondo che spesso passano inosservati. Grazie a una tecnica di montaggio che gioca con il nostro senso simmetrico e normativo dello spazio-tempo, i contenuti delle loro creazioni diventano inequivocabilmente vivi. Insistono sul fatto che lo sono già, ma sono loro a raccontarlo allo spettatore.

Flatform, Quantum, 2015, Courtesy Intersección

Tornando ai contrasti e ai complementi, c’è un gioco tra la serietà dei temi esplorati da Flatform – la crisi climatica, l’insostenibilità dell’attività umana, il pensiero binario, l’antropocene – e la leggerezza con cui li spiegano. Si percepisce un umorismo giocoso nel tono del loro lavoro. Dicono: «Lavoriamo con la natura e la natura è qualcosa di molto complesso. Deriva un po’ dalla filosofia medievale e dall’impossibilità di definire la natura. C’è quindi un certo cinismo, ma non si tratta di questo, bensì di un’empatia e di una compassione nei confronti di alcuni aspetti della natura, della sua molteplicità e complessità».

Continuano: «Siamo molto consapevoli di come gli esseri umani si sono comportati con la natura e intendiamo approfondire questo aspetto. Un altro aspetto legato alla natura giocosa e quasi cinica dei nostri film è quello che consideriamo un tipo di nodo: lo straniamento. Lo usiamo per aprire nuove possibilità e considerazioni su ciò che accade in natura. Lo straniamento ci dà la possibilità di rappresentare il monumentale, e così è possibile vederlo nella sua totalità fisica e mentale. Si tratta di guidare lo sguardo ad attraversare tempi e luoghi lontani. Il monumentale nella sua totalità: per noi questa è la natura».

Flatform, Non si può nulla contro il vento, 2010, Courtesy Intersección

La natura che soffia e sussurra. Totemica ma invisibile, onnipotente ma sottovalutata. I loro film evidenziano le contraddizioni e gli errori umani attraverso l’assurdità e il gioco spazio-temporale. Ad esempio, Quantum (2015), presenta una ripresa statica di un villaggio italiano. Il Nessun dorma della Turandot di Giacomo Puccini, un’aria archetipica e quasi patriottica italiana, risuona mentre una serie di invasivi riflettori scenici rendono evidente la piccolezza del villaggio, che improvvisamente sembra un minuscolo modellino. L’artista multimediale americano Zach Blas utilizza un’altra aria patriottica, Con te partirò di Andrea Bocelli in Contra-Internet (2015-2019), che evoca la stessa atmosfera maschile e satirica.

exibart.es mette in discussione le intenzioni tassonomiche di Carlo Linneo, il naturalista svedese del XVIII secolo, padre delle definizioni binarie e della codifica dicotomica tra Artificialia e Animalia. Non sono invece la stranezza, l’assurdità, l’imprevisto – aspetti intrinseci del suo lavoro –le cose che emana la natura?

Flatform si dice fortemente d’accordo: «Siamo uno, e la soggettività ci impone di essere due, ma in una relazione cerchiamo di diventare di nuovo uno, così l’eterogeneità della natura è una. Il momento esatto, quello stato in cui l’uno è multiplo e il multiplo è uno. Lo vediamo nella filosofia medievale e abbiamo voluto affrontare la questione binaria perché è legata a molte cose vicine all’essere umano: la guerra, chi ha ragione e chi ha torto… è un processo politico, ma in natura ci interessa la figura di Benoît Mandelbrot che dice che tutto è uno all’inizio e durante lo sviluppo. Björk cita spesso la teoria dei frattali di Mandelbrot».

Flatform, 57.600 seconds, 2009, Courtesy Intersección

Tornando al tono dei loro progetti idiosincratici, scopriamo che exibart.es non è la prima entità che si è interrogata sull’aria stravagante ed eccentrica del loro lavoro. «Sì, alcune cose sono piuttosto umoristiche, è una reazione che ci aspettiamo. Non è il nostro obiettivo, ma ci piace che possa essere interpretato in questo modo. Ricordo un momento in cui uno dei membri della giuria della Biennale di Venezia si mise a ridere durante la presentazione di Non si può nulla contro il vento! Aveva scambiato un albero, un elemento naturale, per un personaggio parlante che usciva dall’inquadratura come se stesse camminando. Non è la prima volta che riceviamo questi commenti. Non è la fonte della nostra considerazione, ma siamo soddisfatti delle varie risposte».

La nozione del “tempo” è molto importante nel loro lavoro. Esplorano le differenze di tempo e di prospettiva tra una miriade di esistenze non umane – un termine usato in molti dei testi critici scritti sul lavoro di Flatform. Flatform ha un orologio diverso dal nostro.

«Beh, il tema del tempo è enorme, perché esploriamo molte epoche diverse. C’è il tempo vissuto e c’è il tempo cronologico. Entrambe le cose sono vere. Siamo quindi in una situazione quantitativa costante, perché ieri è stato ieri. Non si tratta di una contraddizione perché, come vediamo in natura, il tempo è una molteplicità. C’è un tempo totalmente creato da noi e un altro che è una combinazione naturale… uno è convenzionale e l’altro è più legato alla natura. Cerchiamo di utilizzare questo aspetto nel nostro lavoro, per includere entrambi senza posizionarci e definire uno come buono e l’altro come cattivo… entrambi coesistono».

Questa polifonia melodica e talvolta atonale è insita nel suo approccio ai conflitti tra umanità e natura. Il tempo quantitativo e cronologico è un fattore che allontana l’essere umano dal resto dell’esistenza sul nostro pianeta. Forse uno degli obiettivi di Flatform è quello di riportarci in sincronia attraverso la fusione di vari tempi e prospettive che si sovrappongono.

«Nel nostro lavoro, costruiamo tempi diversi nella stessa immagine. Questo è ciò che chiamiamo “composizione” o immagine sinfonica. Non crediamo che la realtà sia singolare, ma solo ciò che si vive. Esiste come scena e come insieme; come diceva Jacques Lacan: nel “reale” tutto esiste allo stesso tempo, nulla è assente. Come in matematica, il mondo precedente non era comprensibile, non era vicino alla nostra mente, e quello che stiamo cercando di fare è tornare a uno stato più genuino».

Flatform, Movimenti di un tempo impossibile, 2011, Courtesy Intersección

Vista la proliferazione del termine “post-umanesimo”, volevamo conoscere l’opinione di Flatform il cui lavoro impiega soggetti non umani. Ciò che non è umano non è forse uno strano modo di dire “tutto il resto”?

«Lavoriamo sulla base di un pensiero che in un certo senso è molto semplice: gli organismi viventi pensano perché se si vive si pensa e se si pensa si vive. È semplice, ma non accade se voi pensate di pensare e l’altro organismo potrebbe non farlo. È un po’ come la differenza tra emozioni e sentimenti: l’emozione è la fase iniziale, una relazione o una reazione con l’ambiente. Se analizziamo questo fenomeno, possiamo chiamarlo “sentimento”. Forse non possiamo dire che tutti gli organismi viventi abbiano un pensiero strutturato, ma certamente hanno una reazione all’ambiente. Relativamente ed emotivamente, ma non sentimentalmente».

L’affettività, cioè la capacità di influenzare e di essere influenzati, può essere il punto di unione tra le molteplicità di esistenze sul pianeta. «Non c’è una gerarchia e, per tornare al post-umano, ci sono state tante definizioni! C’è quello che propone Rosi Braidotti e poi ce ne sono altri più legati all’idea del futuro dell’umanità, i cyborg e così via. Ma sempre dal punto di vista umano: un umano che può diventare post-umano. È come il gatto che si rincorre la coda, sono sempre le idee dei processi lineari. Il tempo della natura, invece, non è lineare, ma se la pensate così, significa che avete presente solo il punto di vista umano. Il risultato, come sottolineano Braidotti e Donna Haraway, è che non si tratta di un problema di umani che riflettono sulla natura umana: è altrettanto importante pensare oltre la centralità dell’umano».

[L’intervista è stata pubblicata su exibart.es]

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