29 novembre 2025

Le colline del Prosecco cantano grazie a Shezad Dawood: nasce Antifona

di

Presentata il 15 novembre nella chiesa romanica di Pieve di Feletto (Treviso), l’opera di Shezad Dawood vincitrice del Premio ‘Colline ad Arte’ immerge il pubblico in un ascolto radicale del territorio, tra scienza, ecologia e arte

Shezad Dawood

Con Antifona, una straodinaria opera sonora immersiva dal forte impatto sensoriale, lartista britannico Shezad Dawood si aggiudica la prima edizione del premio Colline ad Arte”. Promosso dall’Associazione per il Patrimonio delle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, il premio nasce da unidea di Sabrina Donadel, giornalista e produttrice TV, sviluppato e curato, per questa prima edizione, insieme a Valeria Szabó Facchin, fondatrice della Nicoletta Fiorucci Foundation a Londra, oggi curatrice e patron attiva nel supporto di artisti con Studio Expanded. «Colline ad Arte nasce come un omaggio alla terra veneta: una terra che non solo ha generato artisti straordinari, ma che custodisce da secoli un dialogo tra paesaggio, storia e immaginazione. Antifona è un lavoro mistico e allo stesso tempo rigoroso: catturando la voce segreta delle piante, lopera ci ricorda che la natura non è un semplice sfondo, ma un organismo pulsante, un archivio vivente. Unintuizione che dialoga sorprendentemente con le più avanzate ricerche della fisica quantistica – e che Antifona rende udibile, come se le colline stesse parlassero con noi.» racconta Szabó Facchin.

Durante la residenza, Dawood ha lavorato insieme alletnobotanico Michal Mos, raccogliendo una serie di registrazioni bioelettriche delle piante. Grazie a sensori capaci di tradurre le micro-variazioni di potenziale elettrico in dati sonori, le piante si sono trasformate in impulsi ritmici e frequenze variabili, rivelando un paesaggio vibratorio altrimenti impercettibile. Terminata la fase di raccolta, i segnali sono stati ripuliti e filtrati, per poi essere affidati alla compositrice e musicista Teresa Winter, figura di riferimento della musica elettronica inglese. Abbiamo incontrato lartista e i curatori per una conversazione che ha rivelato retroscena, intuizioni e visioni, aprendosi a temi più ampi come ecologia, ascolto e futuri possibili. 

Shezad, durante la tua residenza ti sei interfacciato con la comunità locale. C’è stato un incontro in particolare che ha trasformato il modo in cui percepisci ora il territorio delle colline del Prosecco?

«Ci sono stati molti incontri significativi, ma uno in particolare ha cambiato il mio modo di percepire le colline del Prosecco. Penso subito a Vincenzo, un contadino che non aveva interesse nellarte contemporanea prima del progetto, ma che ha sempre avuto un legame profondo con la terra. Quando io e Michal siamo arrivati, era molto curioso del nostro lavoro. Nel suo terreno cera un pero a cui era particolarmente affezionato: lo aveva letteralmente salvato quando costruirono i terrazzamenti. Così abbiamo fatto parlare” quellalbero con lui, e Vincenzo si è visibilmente commosso. È stato toccante vedere questa connessione, il suo senso di cura, e allo stesso tempo il contributo della comunità: sua moglie, ad esempio, ci ha poi indicato le specie vegetali che stavamo cercando, orientandoci all’interno del territorio del Prosecco. È stato prezioso scoprire quanto anche persone non necessariamente interessate allarte contemporanea possano diventare parte attiva del processo. Lo stesso è accaduto con Stefano ad Andreola, che spesso ci ha ospitati nel suo vigneto e ci ha raccontato come, tra le vigne, non rimuovano i fiori spontanei ma cerchino di preservare la flora circostante. La natura più addomesticata” dalluomo si intreccia con quella più selvaggia di questo territorio incredibile: penso, per esempio, alla Via dellAcqua o ai dintorni del Santuario di Collagù. È stato emozionante vedere come comunità, folklore, cristianità e lavoro umano convivano allinterno di un unico paesaggio vivo».

Parli spesso di un ascolto attento, quasi meditativo, e i visitatori della Pieve sono invitati ad immergersi completamente nel suono del mondo naturale. Che cosa significa per te ascoltare davvero un paesaggio? Come cambia la nostra percezione quando smettiamo di osservarlo solo con gli occhi e iniziamo a sentirne la voce?

«Per me ascoltare un paesaggio è un vero e proprio cambio di paradigma. È qualcosa che ci è sempre stato accessibile, ma raramente ci fermiamo abbastanza a lungo da accorgercene davvero. Quando ti fermi, quando rallenti il passo, capisci che diventi progressivamente meno centrale nello scenario che hai davanti: luomo perde centralità, e questo per me è fondamentale. Con questopera ho voluto dare voce non solo al paesaggio, ma alle singole piante, ai funghi, ai singoli alberi, e cercare di intuire ciò che hanno da comunicarci. In questo modo diventiamo più consapevoli di una comunicazione intra-vegetale che esiste da sempre – siamo semplicemente arrivati in ritardo a riconoscerla. Credo che levoluzione umana debba muoversi in questa direzione: comprendere quale sia davvero il nostro posto nel cosmo, e accettare che non sia al centro».

Shezad Dawood, Antifona. Prima presentazione

La prima presentazione di Antifona si è svolta nella Pieve romanica di San Pietro di Feletto. In che modo larchitettura ha modellato il tuo lavoro e cosa ti interessa dellincontro tra i suoni delle specie naturali e uno spazio sacro permeato da secoli di memoria?

«La Pieve di San Pietro di Feletto è una chiesa del XII secolo progettata per seguire il ciclo del sole ed interamente ricoperta di affreschi. In uno di essi, Gesù è raffigurato come un lavoratore della terra, un uomo immerso nella natura in senso ampio. Se ci pensiamo, molte storie del cristianesimo ruotano attorno a pescatori, contadini, pastori: figure profondamente radicate nel mondo naturale. È una riflessione molto importante che, purtroppo, abbiamo progressivamente dimenticato nel corso della storia. Non interpreto lincontro tra i suoni delle specie naturali e lo spazio sacro come un dialogo tra paganesimo e cristianesimo in senso binario, ma piuttosto come un incontro tra uomo, natura e divino. Per me questa è la vera trinità. Solo comprendendo la relazione profonda fra queste tre sfere possiamo superare un pensiero dicotomico e avvicinarci a un approccio più olistico della realtà a noi circostante. È questo approccio sincratico che cerco di portare nella mia pratica artistica quotidiana, coinvolgendo comunità e natura in un’unico ecosistema di relazioni».

Il Premio ‘Colline ad Arte’ mira a connettere arte contemporanea e sostenibilità. In molte delle tue opere parli dellimportanza di immaginare futuri alternativi, e non posso non pensare al tuo impegno continuo per la protezione delle specie vulnerabili – dai coralli, come in Ghost Reef, alle piante, come in Senescent Generator. In che modo queste tematiche hanno contribuito a creare Antifona? Credi che larte possa davvero plasmare nuovi modi di percepire – e quindi proteggere – un paesaggio?

«Senescent Generator è stato il primo progetto in cui ho collaborato con Michal Moss e Teresa Winter su un lavoro sonoro. È un progetto scultoreo e acustico concepito per essere, nel tempo, inglobato e riconquistato dalla natura stessa: nei prossimi cinquantanni le piante cresceranno attraverso la scultura. Per me la parte più importante del progetto non è la scultura in sé, ma il processo a lungo termine che la trasformerà. Storicamente siamo abituati a compartimentalizzare, a pensare alle cose in modo isolato. Io credo invece che sia necessario pensare per relazioni, e, nel caso di Senescent Generator, alla relazione viva tra la scultura e l’ambiente vegetale che la abiterà. Per ‘Colline ad Arte’, ho subito pensato che quel territorio dovesse parlare” attraverso una nuova collaborazione con Michal e Theresa. La storia del Veneto è profondamente legata alla musica: mi è venuta in mente la policoralità di Giovanni Gabrieli tra Cinquecento e Seicento, con la conseguente frammentazione del coro. Ho cercato di creare qualcosa di simile in Antifona, allinterno della Pieve creando una comunità di voci vegetali che hanno finalmente l’occasione di essere ascoltate dall’uomo. Noi abbiamo lopportunità – e direi ormai la responsabilità – di prenderci cura delle specie vulnerabili. È un dovere morale, considerando ciò che le piante fanno per noi: letteralmente, permetterci di vivere su questo pianeta. Come artista, mi interessa facilitare un messaggio di reciprocità: un servizio reciproco tra noi e le specie naturali. Loro ci permettono di respirare, e noi abbiamo la responsabilità di proteggerne lecosistema.»

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui