02 dicembre 2025

Nel mondo ibrido di Raqs Media Collective l’arte è uno spazio di possibilità

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Conversazione a tutto tondo con Monica Narula dei Raqs Media Collective, a margine di una mostra al PAC di Milano che esplora le pratiche artistiche dell’India contemporanea

India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre

Fin dalla loro nascita a New Delhi nei primi anni Novanta, i Raqs Media Collective – collettivo formato da Jeebesh Bagchi, Monica Narula e Shuddhabrata Sengupta – hanno costruito una delle pratiche più riconoscibili e influenti nell’arte contemporanea globale. La loro ricerca si muove tra arti visive, teoria critica, scrittura e curatela, mettendo costantemente in discussione i confini disciplinari e contaminandoli.

Raqs indaga le temporalità non allineate del presente, i processi storici che continuano ad agire sotto la superficie del contemporaneo e le tensioni politiche e simboliche che attraversano lo spazio pubblico. Non a caso il termine “Raqs”, che in persiano e urdu indica la danza o il movimento circolare, allude a una forma di “contemplazione cinetica” del mondo: uno sguardo che ruota, si muove, disfa e ricompone.

La loro pratica si sviluppa su più livelli, sospendendo la distinzione tradizionale tra “artista” e “curatore”. Nei loro progetti assumono di volta in volta ruoli diversi: artisti che producono opere, curatori, ricercatori, editori. È un approccio ibrido che attraversa media diversi: installazioni, film, media digitali, testi teorici e progetti espositivi, mantenendo sempre attiva una riflessione critica sul nostro tempo.

In occasione dell’inaugurazione di India. Di Bagliori e Fughe, visitabile fino all’8 febbraio 2026 al PAC – Padiglione Arte Contemporanea di Milano, abbiamo intervisto Monica Narula.

Raqs, Kato Hajime

Cosa racconta Bagliori e Fughe della vostra idea di India? Quale visione avete voluto portare al PAC?

«In genere, quando un’opera viaggia da un Paese all’altro, arriva già “rifinita”, conclusa, istituzionalizzata. È quello il tipo di lavoro che attraversa i confini: opere che hanno già trovato una collocazione nel mercato, nei musei, nelle grandi mostre.
Per questa mostra, invece, per noi era importante il contrario: dare spazio a opere in divenire, pratiche che stanno ancora cercando una forma, che non hanno ancora raggiunto quella piena compiutezza che di solito legittima la circolazione internazionale.

Molti degli artisti più giovani oggi non seguono una linea unica, non cercano una narrazione unitaria. E questo è stato uno dei motori principali della mostra: capire come un “barlume” possa rifletterne un altro. Qualche anno fa ho scritto un saggio proprio sull’idea del “glimmer”, il barlume e dell’allontanarsi come via di fuga dai circuiti e dalle definizioni del capitale. Se tutto è già definito per te, allora l’unico gesto possibile è immaginare una via di fuga. E la fuga, in arte, è spesso legata al divenire, non è qualcosa di concluso, è un percorso.

Per questo abbiamo scelto artisti anche giovani che stanno ancora sperimentando, che cercano. Quindi il concetto di “autentico” non nel senso estetizzante del termine, ma autentico nella ricerca di una trama non ancora definita.

Penso che questo sia stato davvero l’aspetto più interessante in questo processo di lavoro con gli artisti più giovani».

India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre

Rispetto alla dimensione del Paese e alla sua vivacità culturale, le gallerie sono ancora poche, concentrate per lo più tra Delhi e Mumbai. Poche anche le fondazioni e i centri culturali, che sono quasi esclusivamente privati come il Nita Mukesh Ambani Cultural Centre – NMACC, inaugurato in 2023 a Mumbai. Quanto è facile per un giovane artista affermarsi in India?

«Sì, le istituzioni pubbliche ancora oggi in India funzionano ancora molto poco. Fortunatamente stanno nascendo progetti più orizzontali, come il Serendipity Festival (NdA, il festival è alla sua decima edizione e quest’anno si terrà a Goa dal 12 al 21 dicembre): un format molto contemporaneo, che permette alle persone di vivere due settimane di arte, musica, comunità.
Sono ecosistemi più agili e sono fondamentali, perché offrono un modo diverso di pensare e fare arte rispetto alla sola logica del mercato.

Gli artisti non arrivano tutti dallo stesso tipo di condizione economica o di casta nel Paese.
Per esempio un giovane artista che partecipa alla mostra “Bagliori e Fughe”, viene da una famiglia contadina. Non aveva alcun privilegio economico, non conosceva l’inglese, eppure ha creato opere straordinarie, come quella stanza di clorofilla verde. Lo abbiamo invitato anni fa a Delhi per partecipare a 5 Million Incidents (NdA, una serie di eventi della durata di un anno tra il 2019 e il 2020, organizzati dal Goethe-Institut/Max Mueller Bhavan di Nuova Delhi e Calcutta in collaborazione con i Raqs Media Collective), dove ha realizzato la sua prima grande installazione lavorando con l’argilla. Ora è in residenza in Europa. La spinta è evidente e lui è un artista in pieno divenire, sarà molto interessante vedere dove andrà.

Penso che per un giovane artista sia cruciale trovare un equilibrio tra sé, il proprio lavoro e il contesto. Il contesto è importante, un artista ha bisogno di essere sostenuto, di essere “visto”, nel senso di avere una collocazione, essere riconosciuto. Anche questo dà fiducia».

India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre

Ha ancora senso parlare oggi di “arte contemporanea indiana” o pensa che sia una categoria costruita soprattutto da uno sguardo occidentale?

«È una domanda ricorrente e la risposta è ambivalente: sì, ha ancora senso, perché la nazione resta una narrazione utile per orientarsi nel mondo. Ma allo stesso tempo, ogni generazione pensa che questa domanda sia già stata superata…e invece ritorna.

La verità è che il mondo cambia, ma il bisogno di etichette resta. “Artista contemporaneo indiano” è ancora un modo per collocare le persone in una mappa globale che funziona per semplificazioni».

India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre

Voi curate mostre e Biennali in tutto il mondo: in che modo la vostra pratica curatoriale si confronta con le differenze – pratiche, culturali o politiche – tra i diversi paesi in cui lavorate?

«Per noi curare una mostra non è semplicemente portare le opere degli artisti e installarle. Come dicevamo prima, noi cerchiamo di creare un contesto, non solo esporre. Per questa mostra volevamo creare un contesto attraverso il tempo, il dialogo, la presenza.

È la prima volta che la Casa degli Artisti, il centro di residenza artistica internazionale di Milano, lavora con noi in questo modo. Anche per loro è stato un esperimento: aprire gli studi, accogliere gli artisti, costruire insieme. Crediamo che sia stato interessante per entrambi.

Anche l’allestimento rispondeva alla logica del contesto. Prendiamo per esempio il lavoro di Mohit Shelare: volevamo qualcosa che non potesse essere colto da un unico punto di vista. Il suo murale, collocato sopra una stretta balconata, si snoda lungo un percorso di diversi metri. Da lontano vedi una cosa, da vicino un’altra. L’opera non si concede subito, solo camminando lo spettatore scopre la storia e ne è coinvolto: l’atto di camminare diventa parte del lavoro.

Questa è stata la linea dell’intera mostra: rifiutare l’idea che lo sguardo possa comprendere tutto con un solo colpo d’occhio.

Nel 2021 all’Accademia di Vienna per la mostra Hungry for Time abbiamo lavorato su come produrre orizzontalità diverse, non solo verticalità. Ecco, questo è un discorso che continua anche qui al Pac di Milano».

India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre
India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre

In questo periodo storico in cui l’arte si muove dentro crisi globali: politiche, ambientali, tecnologiche, come definiresti lo stato di salute dell’arte contemporanea in India?

«È una domanda difficile. Da un lato ci sono artisti internazionale il cui lavoro viene mostrato ovunque e questo crea una presenza globale necessaria: altrimenti sembrerebbe il “Paese invisibile” da 1,4 miliardi di abitanti. Dall’altro, però, c’è una tensione: le opere che arrivano nelle istituzioni globali spesso rispondono a ciò che queste ultime si aspettano dall’India.
Non sempre ciò che è più vivo a livello locale trova spazio nella cornice istituzionale globale.

E in India è ancora complicato vedere dal vivo certe pratiche. Le energie ci sono – moltissime, vivacissime – ma spesso restano negli studi, nelle case, negli spazi informali. Una mostra come questa sarebbe quasi impossibile da realizzare in India oggi, non per mancanza di artisti, ma per mancanza di istituzioni che possano sostenerla.

La tensione tra locale e globale è necessaria: ogni contesto ha possibilità diverse e non tutto ciò che è possibile in un luogo lo è nell’altro.

Per esempio, molti stanno aspettando la prossima edizione della Biennale di Kochi. Conoscendo la pratica di Nikhil Chopra e leggendo come la stanno impostando, ho la sensazione che certe cose possano accadere solo lì.

Ogni luogo ha un’energia propria, una forma di accoglienza o di resistenza. Non si può ignorare. Per questo è così importante che esistano molti luoghi e molte narrazioni possibili: le istituzioni globali tendono a riprodurre un modello, ma il mondo è più ricco. E lavorare davvero con un luogo significa connettersi con esso, non imporre un formato predefinito».

India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre

Lavorate insieme da tanti anni, intrecciando arte, teoria e politica. In che modo è cambiato nel tempo il vostro modo di collaborare e di guardare al mondo attraverso la pratica artistica?

«Trent’anni insieme sono un tempo lunghissimo, praticamente tutta la mia vita. E continuo a pensare che questa durata abbia un valore enorme, con tutto ciò che comporta: i momenti belli e quelli difficili, perché fa parte della vita stessa — della sua politica e della sua poetica — e entrambe contano allo stesso modo.
Credo sia fondamentale: il modo in cui costruiamo significato nel mondo passa attraverso il modo in cui impariamo a vivere insieme agli altri.

Oggi però le cose sono cambiate. Lavoriamo in modo diverso: ognuno di noi porta avanti alcune attività da solo. Io insegno a Zurigo, gli altri a Delhi, e le nostre vite professionali hanno preso strade parallele. Ma, come artisti, il nostro modo di guardare al mondo resta condiviso. Anche quando non siamo d’accordo, troviamo un terreno comune e forse oggi c’è persino una fiducia maggiore l’uno nell’altro, in una forma nuova.

È interessante, perché negli ultimi anni abbiamo dovuto imparare a essere separati pur restando insieme: una condizione diversa, che ci ha permesso di scoprire nuove forze e nuove direzioni. Vivere per anni tutti nello stesso luogo, a Delhi, ci aveva segnato in modi che solo dopo abbiamo compreso.

Nonostante tutto, continuiamo a trovare un modo per restare uniti. Questo conta.
Dire “non riesco a trovare una via” non è un’opzione, perché la vita è proprio una continua ricerca di vie possibili».

India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre

Quali sono i progetti futuri dei Raqs Media Collective?

«Il prossimo progetto sarà al Migros Museum di Zurigo, grazie all’invito di Marco Scotini, il Direttore artistico dello spazio FM Centro per l’Arte Contemporanea, all’interno del Disobedience Archive.
La nostra proposta è una Canopy for Broken Time, una sorta di riparo per un tempo spezzato: una struttura concettuale e fisica che ospiterà l’archivio all’interno del museo. Si inaugura il 6 febbraio 2026 e speriamo di vedervi lì.

Stiamo anche lavorando molto con studenti e giovani curatori: è una parte fondamentale del nostro lavoro. Le energie che arrivano dalle nuove generazioni in India – da Est a Ovest – sono incredibili. La Biennale di Kochi, in questo senso, è un modello straordinario: ciò che colpisce di più è il modo in cui tutta la città partecipa: persino i tassisti ne parlano con orgoglio. Non è comune trovare un coinvolgimento così diffuso, è un contesto raro. Anche gli spazi della Biennale e la maggior parte dei lavori, sono di grande qualità. La location stessa contribuisce moltissimo.
Aprire la Biennale proprio lì è stata, secondo me, un’idea brillante. Kochi è un luogo ricco, stratificato, con un fascino particolare, in un certo senso ha qualcosa della magia di Venezia.

E poi c’è il pubblico: il fatto che mezzo milione di persone vada a visitarla è straordinario e l’interesse continua ad aumentare. È un segnale molto positivo.

Come dicevamo prima, l’India ha bisogno di molti più spazi in cui le pratiche artistiche possano svilupparsi e trovare ascolto. È un Paese enorme e le gallerie da sole non bastano, così come non bastano le istituzioni pubbliche. Servono luoghi che permettano di immaginare narrazioni che vadano oltre gli schemi già stabiliti, perché è in quegli scarti che può accadere qualcosa di inatteso.

Quello che voglio dire è che più sperimenti, più gli esperimenti diventano trasferibili: non solo come pratiche, ma come attitudine. Ed è questa, credo, la parte più stimolante dell’esperimento».

India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre
India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre
India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre
India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre
India. Di Bagliori e Fughe, veduta della mostra, a cura di Raqs Media Collective, PAC Milano, 2025, ph. Nico Covre

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