16 agosto 2019

Alla National Gallery, nuovi particolari sul capolavoro di Leonardo

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Il capolavoro di Leonardo da Vinci alla Nationa Gallery di Londra

Una sguardo a dir poco approfondito ha rivelato nuovi particolari sulla Vergine delle rocce, il famosissimo dipinto su tavola di Leonardo da Vinci, esposto alla National Gallery di Londra. Il museo inglese, infatti, in occasione della prossima grande mostra immersiva dedicata al genio vinciano, ha commissionato a un team di ricercatori, storici dell’arte e scienziati, uno studio sull’opera realizzata in due fasi, tra il 1491 e il 1499 e tra il 1506 ed il 1508. E adesso, grazie ad avanzatissime tecnologie di imaging, sono emersi altri dettagli che ci dicono qualcosa in più sulla complessa storia del capolavoro, del quale esiste anche un’altra versione, ritenuta quella principale, leggermente più grande e trasposta su tela, conservata al Museo Louvre di Parigi.

Bisogna dire che la National Gallery non ha badato a spese per “Leonardo: Experience A Masterpiece”, mostra che aprirà il 9 novembre ed è stata organizzata nientemeno che da 59 Productions, il team di produzione della cerimonia di apertura delle Olimpiadi del 2012, oltre che della mostra su David Bowie al Victoria & Albert Museum, arrivata poi anche in al Mambo di Bologna, come vi raccontavamo qui.

L’esposizione dedicata a Leonardo da Vinci trasformerà completamente il piano terra della National Gallery, per farci entrare concretamente nell’incredibile arte di Leonardo e si annuncia pop al punto giusto, con una immaginabile profusione di tecnologie immersive. Ma sembra che la parte storica e di ricerca non sia stata messa in secondo piano. «Questa mostra rappresenta un’affascinante nuova avventura per la National Gallery, che unisce la più recente ricerca tecnica sulla Vergine delle Rocce a un’esperienza coinvolgente e avvolgente, offrendo ai visitatori l’opportunità di esplorare il processo creativo di Leonardo», ha dichiarato al Telegraph Gabriele Finaldi, direttore della National Gallery.

La versione attualmente al Louvre, pensata per una pala d’altare dedicata all’Immacolata concezione – unica pala d’altare realizzata da Leonardo a Milano – sarebbe stata venduta direttamente dal grande maestro a Ludovico il Moro, il quale, a sua volta, l’avrebbe offerta a sua nipote Bianca Maria Sforza, come dono per le nozze con l’imperatore Massimiliano I, nel 1494. Le ipotesi sulle vicende che portarono l’opera nelle collezioni reali di Francia sono svariate ma l’unica certezza è che, nel ‘600, secondo quanto riportato da Cassiano dal Pozzo, doveva trovarsi al Castello di Fontainebleau dove, per altro, era conservata anche La Gioconda.

La seconda versione dell’opera, quella della National Gallery, fu realizzata successivamente e in momenti diversi. Si sa che fu esposta nella cappella dell’Immacolata Concezione della chiesa di San Francesco Grande, a Milano, almeno fino al 1781. Nel 1785, l’opera venne venduta al mercante d’arte e pittore neoclassico scozzese Gavin Hamilton che la portò in Inghilterra. L’opera finì nella collezione di Lord Landsdown, poi in quella dei conti di Suffolk e, infine, alla National Gallery che la acquistò per la somma di 9mila sterline nel 1880. Contrariamente alla versione francese, che per i danni subiti fu trasportata su tela, questa è sempre stata in buone condizioni, anche se subì diversi restauri, l’ultimo dei quali nel 2008.

Le due versioni della Vergine delle Rocce. A sinistra, quella del Louvre, a destra, quella della National Gallery

Per gli studi, i ricercatori hanno combinato tre tecniche. La prima è stata la riflettografia a infrarossi, che ha rivelato, per la prima volta, nel 2005, la presenza di una pittura di fondo molto diversa dall’originale. Tale tecnica utilizza la luce a infrarossi per vedere le pennellate coperte dagli strati di vernice successivi. Poi la tavola è stata sottoposta a una scansione a fluorescenza a raggi X, una tecnica che i ricercatori usano per identificare i singoli elementi che brillano quando sono bombardati dalla luce a raggi X. In questo modo, si è scoperto che i primi disegni furono realizzati con un pigmento a base di zinco. La terza tecnica utilizzata è stata l’imaging iperspettrale, che riesce a catturare, in un’immagine, tutte le informazioni di un singolo spettro elettromagnetico, dai raggi ultravioletti all’infrarosso, facilitando l’identificazione di molti oggetti.

Le prime pennellate invisibili, tornate alla luce con questa tecnologia di imaging, mostrano come Leonardo avesse originariamente posizionato Maria tutta sul lato sinistro dell’immagine, di fronte a Gesù bambino e con un angelo a destra. La composizione finale è stata quindi significativamente ruotata, rispetto alla preparazione. La fase preparatoria rappresentava, allora, un significativo allontanamento dall’iconografia del primo dipinto, mentre con la versione finale il Maestro decise di renderla più simile. Una scelta dettata dal caso, dallo stile o dalla contingenza politica? Alle ipotesi degli storici dell’arte, adesso, toccherà capirne i motivi.

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