01 giugno 2020

Georges de La Tour a Milano. Intervista a Francesca Cappelletti

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È di nuovo aperta a Milano, a Palazzo Reale, “Georges de La Tour: l’Europa della luce”, la prima mostra in Italia dedicata al grande Maestro francese

de la tour milano
Étienne de La Tour (1621 - 1692) (Studio of) Georges de La Tour (1593 - 1652) (Studio of) The Education of the Virgin, c. 1650 oil on canvas 33 in. x 39 1/2 in. (83.82 cm x 100.33 cm) Purchased by The Frick Collection, 1948. Accession number: 1948.1.155

I 28 musei prestatori da 3 continenti hanno tutti accettato di prorogare il prestito delle 33 opere di Georges de La Tour sino al 27 settembre prossimo, permettendo dunque di visitare la sua mostra al Palazzo Reale di Milano per altri 4 mesi, con le misure di sicurezza stabilite dalle autorità governative e regionali. Un’occasione da non perdere per questa prima mostra in Italia dedicata al grande Maestro francese. Come ebbe a sottolineare Roberto Longhi, in Italia non è conservata nessuna opera di La Tour e sono circa 40 le opere che gli sono state attribuite con certezza, di cui a Palazzo Reale ne sono esposte 15 più una attribuita.

Promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, da Palazzo Reale e MondoMostre Skira, la mostra è a cura di Francesca Cappelletti che abbiamo intervistato.

Lei comincia il suo saggio in catalogo con la fotografia del 1964, scattata da Cecil Beaton per “Vogue” che raffigura Jayne Wrightsman elegantemente vestita da casa. L’articolo di Vogue si intitola The art of dressing home e il contrappunto è affidato alla Maddalena penitente di Georges de La Tour, appeso alle spalle della collezionista e acquistato l’anno prima sul mercato antiquario francese. Perché questa illustrazione è emblematica della riscoperta e alla fortuna di Georges de La Tour e quali questioni che lo riguardano riassume? 

«Quando mi sono imbattuta in questa immagine, mi sembrava che rappresentasse efficacemente uno dei momenti più significativi della fortuna di La Tour nel Novecento. Se dopo la mostra del 1934, Les peintres de la réalité en France, il pittore comincia a essere veramente riscoperto, studiato e collezionato in Francia, nel secondo dopoguerra molte delle sue opere prendono la via delle grandi collezioni americane. Un’altra delle Maddalene, esposta oggi nella prima sala a Palazzo Reale, proviene dalla National Gallery di Washington, dove arrivò nel 1974, dopo la mostra epocale monografica sul pittore al Musée de l’Orangerie. Durante la preparazione della mostra dell’Orangerie venne scoperta anche la Maddalena penitente oggi a Los Angeles. Nel 1971 Benedict Nicolson pubblicò la Rissa dei musici, noto fin dal 1958, che l’anno seguente fu battuto da Christie’s a Londra e venne acquistato da Paul Getty. Il dipinto, uno dei capolavori di la Tour, è da allora al Getty Museum di Los Angeles ed è uno degli eccezionali prestiti alla mostra di Milano».

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Georges de La Tour Donna anziana, 1618 – 1819 ca. Olio su tela, 91,4 x 60 cm Fine Arts Museums, San Francisco, Stati Uniti

 

Il catalogo delle opere di La Tour comprende oggi circa una quarantina di opere. Perché questo artista è “un imputato” difficile su cui investigare per voi storici-detective dell’arte, al fine di rintracciare le sue opere? Quante, a suo avviso, ne mancano ancora all’appello?

«La Tour è un artista difficile per gli studiosi per l’assenza di fonti contemporanee che lo riguardino, prima di tutto. È vero che, dal momento della sua riscoperta, grazie a Hermann Voss, nel 1915, molti documenti lorenesi sono stati avvicinati al catalogo dei quadri che man mano si andava costituendo, e anche che altri documenti sono stati via via scoperti, ma si tratta in grandissima parte di materiali archivistici che riguardano vicende biografiche e transizioni familiari. Sappiamo dove viveva, quanti figli ha avuto, quanto fosse interessato al denaro e alla posizione sociale e anche al buon funzionamento della sua bottega di pittore, ma ci sono pochi riferimenti alle opere, cosicché anche la cronologia diventa difficile da stabilire, con pochi appigli certi. Siamo legati più che altro alle firme e alle date (rare) apposte sui dipinti, dal 1645 in poi, quindi nell’ultima parte della sua vita, considerando che morì nel 1952. Faccio un esempio. Per restare alle già citate Maddalene: ne esistono quattro esemplari, straordinari, ma a parte una citazione di un dipinto con questo soggetto che nel 1636 era stato lasciato presso un convento in attesa di dirimere una questione sul pagamento, non abbiamo nessun’altra notizia. Questo ci fornisce una traccia per datare agli anni Trenta una o più composizioni di questo soggetto, ma nulla di più!

A proposito di opere ancora mancanti all’appello, ci sono certamente gli Apostoli di Albi dei quali al momento conosciamo solo le copie, per esempio. Tre degli originali, che testimoniano della raffinatezza esecutiva, oltre che di quella aspra armonia dei suoi esordi, sono esposti alla mostra di Milano. Considerando anche le repliche autografe che certamente produceva da alcune composizioni, credo che potremmo ritrovare qualche altra versione dell’Educazione della Vergine, per esempio; inoltre, nell’inventario di uno dei suoi più grandi collezionisti, il maresciallo La Ferté Senneterre, si trovava anche un Cristo deriso di notte, che non è difficile immaginare nelle corde di La Tour».

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Georges de La Tour
I giocatori di dadi, 1651 ca.
Olio su tela, 95,5 x 130,5 cm
Preston Park Museum and Grounds Stockton-on-Tees, Regno Unito

Quali sono i nodi più dibattuti oggi della vita e dell’opera di La Tour?

«Uno dei nodi centrali è certamente la sua formazione e il problema del viaggio in Italia. Dove ha imparato questo modo di dipingere, da dove gli arriva la potenza drammatica dei suoi notturni? In Lorena aveva fatto ritorno Jean Le Clerc, che a Roma era stato nella bottega internazionale di Carlo Saraceni e dalla Lorena all’Italia avanti e indietro si erano mossi anche Jacques Bellange e Jacques Callot. Nelle loro incisioni si trova molto dei soggetti e del mondo di La Tour: la miseria e la violenza, la vita dura della strada e delle campagne e la desolazione di una terra percorsa dagli eserciti. Non ci sarebbe quindi niente di insolito nell’ipotizzare un viaggio in Italia, di vedere Georges a Roma nel secondo decennio, riflettere sulle tele della cappella Contarelli o sulle zingare, di Caravaggio e, a quell’epoca, dei caravaggeschi, se così vogliamo continuare a chiamare Valentin, Vouet, Ribera… Eppure. Eppure, è così necessario un contatto diretto con il maestro e con alcuni degli stranieri più inquieti e originali che animavano la scena romana? Il più affine sembra Gerrit Honthorst, il Gherardo delle Notti delle fonti italiane, ritornato a Utrecht nel 1620, dove molto presto smetterà di dipingere le scene al lume di candela che in Italia lo avevano reso celebre».

Qual è stato, a suo avviso, il contributo più importante di La Tour alla storia dell’arte?

«La Tour, da una posizione non centrale, da un punto di vista non solo geografico, ma anche teorico direi, ha riscritto le regole della scena popolare e della scena notturna. Le poche volte che si parla di lui nei documenti seicenteschi, i suoi soggetti vengono citati come “une nuit”. È la notte la sua specialità, di notte si concentrano le sue figure, pensano, piangono, leggono, nel buio che oscura il mondo fisico e apre nuovi spazi alla vista. Sono spazi conquistati all’oscurità; gesti e oggetti “salvati” dalle tenebre costringono all’attenzione lo spettatore, catturato come il pittore, da una interpretazione così sofisticata della realtà, come scrive Pierre Landry nel catalogo della mostra del 1972. Per quanto riguarda la scena popolare, anche nella rappresentazione dei suoi miserabili, spesso mendicanti ciechi suonatori di ghironda, la Tour scrive un altro, impressionante capitolo della pittura “dal naturale”. L’assenza di compassione, la visione quasi crudele della sofferenza sembra andare quasi di pari passo con la celebrazione di questo mondo di sconosciuti, di personaggi senza nome ai quali la pittura restituisce una storia».

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Gerrit van Honthorst, detto Gherardo delle Notti
Vanitas, 1618 ca.
Olio su tela, 101 x 82 cm
The Ashmolean Museum of Art and Archaeology, Oxford, Regno Unito

Come si articola il percorso espositivo della mostra a Palazzo Reale?

«Il percorso è, per quanto possibile, cronologico: abbiamo detto che purtroppo non è facile stabilire una cronologia delle opere ma, trattandosi della prima mostra dedicata all’artista in Italia, penso fosse necessario presentarlo in maniera comprensibile. All’interno del percorso ci sono però delle eccezioni: per esempio, la mostra comincia con la sensazionale Maddalena di Washington che abbiamo già citato, in una sezione che comprende opere straordinarie, come la Vanitas di Oxford, nella mostra attribuita a Gerrit Honthorst da Gianni Papi e l’Allegoria della Logica di Paulus Bor. La figura femminile isolata, immersa nel buio, è declinata nel mondo post-caravaggesco in modi sottilmente diversi, la malinconia e la meditazione diventano attitudini spirituali prima che religiose. A questa prima sezione seguono gli Apostoli di Albi, che gli studiosi concordano nel porre all’inizio del percorso dell’artista; erano nel 1795 attribuiti a Caravaggio, come altre opere di La Tour nelle loro prime menzioni settecentesche. Con la sezione seguente diamo conto di questa lettura: da Saraceni a Honthorst a Bor e a Adam de Coster ci addentriamo nella pittura “notturna” europea, un orizzonte ampio e molto originale, per la maggior parte rappresentato attraverso opere poco viste in Italia e mai messe a confronto con le scene di taverna di La Tour. Dopo uno snodo intorno al Suonatore di Bergues, una rappresentazione monumentale della povertà, la mostra si concentra sulla notte e le sue implicazioni: dal dramma biblico al virtuosismo del Ragazzo che soffia su un tizzone, per concludersi sul San Sebastiano curato da Irene e sul San Giovanni Battista di Vic-sur Seille, opera estrema e concentratissima».

 

Quali dipinti spiccano e perché?

«Molti li abbiamo già citati: una vera concentrazione di capolavori, arrivati da molto lontano e che sarà impossibile rivedere insieme in Italia per molto tempo. Al di là della ricerca, resa finalmente visibile dalla mostra, del racconto dell’opera di La Tour e degli scenari europei nei quali si svolge, con affinità e improvvisi strappi di originalità, ogni quadro è una rarità e ha una precisa ragione per essere arrivato a Milano all’interno del percorso: dalla più volte citata Maddalena, ai due Vecchi di San Francisco, alla Rissa del Getty, al Giobbe rimproverato dalla moglie di Epinal. Gli studiosi e il pubblico hanno la possibilità di osservare Il denaro versato di Leopoli, per esempio, un dipinto che ci mostra La Tour alle prese con una vertigine prospettica, una composizione instabile: le figure sono raccolte intorno a un tavolo, scambiano denaro intorno a un libro dove vengono riportate le somme. Compare la candela, protagonista di tante altre future opere; è l’inizio di una sperimentazione che durerà trent’anni e ci sono tutte le incertezze e i colpi di genio di un grande artista».

 

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