20 gennaio 2020

Barriere da abbattere con i muscoli: la danza per Susanne Franco

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Musei nuovi per nuove coreografie: il racconto della conferenza di Susanne Franco all'ICA di Milano, dall'idea di deposito alla svolta esperienziale

Dance Well, Bassano del Grappa

Oggi, invece di parlare di performance, oggi vi parlo di una persona che parla di performance. Susanne Franco, professoressa di storia della danza e storia del teatro a Ca’ Foscari a Venezia, ricercatrice nel campo della danza e curatrice. Ci parla di stare al mondo come progetto coreografico. Ci parla di coreografie che nascono dallo sguardo, di coreografie per contagio. Ovvero quello che sta succedendo oggi, grazie all’incontro tra danza e museo.

Un nuovo museo, verso l’esterno

Il museo non più inteso come grande custode silenzioso del presente e del passato, della cultura materiale e di quella visiva, dedicato a studiosi e visitatori ammutoliti ma il museo come contenitore e luogo d’azione in cui la cultura diventa materiale per definire il futuro, la storia e la democrazia. Oggi nel museo la cultura si spartisce col pubblico che ne diventa agente, la danza diventa strumento e veicolo di quest’avventura che coinvolge il pubblico.

Franco ci mostra una definizione di museo del 2007 e pare davvero il secolo scorso: si tratta ancora di un modello “deposito e catalogo” che sembra venir meno – nella definizione del 2019 credo – per lasciar spazio alle persone, a un pubblico con cui rinegoziare il discorso, abbattere le barriere. I musei si aprono verso l’esterno, integrano pratiche partecipative, il white cube si mangia il black box, nel giro di poco più di dieci anni la fruizione è cambiata e continua a cambiare. La seconda definizione pare ancora utopica, ma è decisamente più vicina al presente.

L’experiential turn, nelle parole di Susanne Franco e nei gesti di Rainer e Forsythe

Con la disgiunzione di danza e coreografia, a cui fa riferimento il titolo della conferenza, la danza si affranca dal balletto, dal teatro, dal tecnicismo e anche dalla specificità di essere danzatori. The mind is a muscle infatti è un – anzi il – lavoro di Yvonne Rainer, coreografa e artista, del 1966. Un assolo senza musica, per tre danzatori, un trio danzato attraverso i movimenti del quotidiano, riprodotto e ripetuto con grande libertà. Da cercare se non l’hai mai visto.

Da quel momento la danza entra, anzi invade la platea e ne chiede ancora, non vuole più il teatro ma penetra nel museo. Non è più chiara la distinzione tra coreografo e artista, perché, per citarne uno su tutti, William Forsythe decide di riempire una stanza di anelli sospesi al soffitto, invece che di danzatori. Si chiama Fact of Matter, è un lavoro del 2009 alla Biennale Danza di Venezia. Danza, anzi gioca, esperisce il suo corpo, chi entra. E chi entra gioca come vuole con gli oggetti coreografici fatti per spostare il corpo nello spazio e nel tempo. L’obbiettivo – il challenge come lo chiamerebbero i bambini di oggi – è attraversare le stanza usando solo gli anelli. Franco ci racconta questo experiential turn, è il pubblico a realizzare il concetto dell’artista.

Ci parla di esperienze internazionali e di altre molto nazionali come Dance Well – movement research for Parkinson di Bassano del Grappa. Qui la danza si trasforma in un processo site specific, senza finalità terapeutica: è pratica artistica in un museo, gratuita e aperta a tutti. I malati diventano danzatori, l’arte nutre la pratica e crea una nuova modalità di relazione fisica e nuovi canoni di bellezza. Diventa veicolo di una nuova identità, di benessere fisico e di inclusione. Coreografi e artisti internazionali vengono in residenza al Centro Scena Contemporanea di Bassano per studiare, collaborare e creare con questa nuova classe di danzatori.

Ci parla di tanto altro Susanne Franco ma lo spazio è finito. Grazie, grazie, grazie.

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