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Estate live: intervista a Muna Mussie
Arte contemporanea
Con le inaugurazioni dei progetti Bologna St. 173. The August sun, high in the sky, beats down, da Archive a Milano, di Bientôt l’été, durante la Live Arts Week di Bologna e Curva Cieca, in anteprima a Santarcangelo, si conferma essere la lunga estate di Muna Mussie, artista eritrea attiva tra Bruxelles e Bologna. L’abbiamo incontrata per farci raccontare le sue ricerche attuali e future.
Dalla residenza artistica ad Archive è nata l’esposizione “Bologna St. 173. The August sun, high in the sky, beats down”, inaugurata a Milano il 18 giugno. Ci racconti il processo da cui è nata la mostra?
«Nel gennaio 2021 sono stata invitata da Chiara Figone, fondatrice di Archivebooks, e la curatrice Zasha Colah ad abitare Archive Site un nuovo spazio a Milano che ospita diverse forme d’arte con una particolare attenzione sul fare femminile e sulla riscrittura della memoria storica e personale. Per me è stata l’occasione di riprendere in mano il testo “Bologna. Testimonianze di lotta degli eritrei esuli in Europa” (Edizioni Punto Rosso), che narra del Congresso-Festival dell’E.F.L.E. (Eritrea per la liberazione in Europa) che si è tenuto tutti gli anni a Bologna dal 1974 al 1991 dove migliaia di eritrei provenienti da ogni parte del mondo si riunivano a sostegno della lotta per la liberazione dell’Eritrea dall’Etiopia. Tutto ha cominciato a mutare nel momento in cui ho pensato allo spazio di Archive come a un possibile contenitore di memoria; ho iniziato a ridisegnarlo occupandolo di ricordi che hanno preso via via forma. In definitiva la mia idea era ricreare lo spazio che ospitava il Festival Congresso eritreo a Bologna. Infatti la mostra si chiama “የቦሎኛ ጎዳና | شارع بولونيا | Bologna St. 173 e የቦሎኛ ጎዳና | شارع بولونيا | Bologna St. 173”, che è il nome di una via che si trova ad Asmara e che il neo Governo eritreo – proclamato da Isaias Afewerki nel 1991, al termine della guerra d’indipendenza – ha voluto dedicare alla città di Bologna per ricordare il ruolo fondamentale che ha avuto per gli Eritrei durante i lunghi anni di lotta».
Dal 20 giugno invece sei stata impegnata a Live Arts Week con la performance “Bientôt l’été”. In cosa consiste il progetto?
«Il parco del lungo Reno è la cornice naturale dove “Bientôt l’été” succede: una traversata del fiume, un viaggio simbolico e reale. G. Olmo Stuppia è un elegante Caronte, una sorta di gondoliere in muta da surf con la prontezza e concretezza di un pescatore siculo che si presta a trainare uno a uno i propri viaggiatori sull’altra sponda del fiume; il tratto è breve ma l’elemento acqua può alterare la percezione, la dilata, le dà profondità. Al di là del fiume, sull’altra sponda, si trova un doppio, una Caronte al femminile in tuta da surf, in attesa di accompagnare il visitatore dentro un’altra natura, più selvaggia. Con “Bientôt l’été” cerco di parlare di nomadismo mentale, di erranza e traslochi multipli, di mondi-case che si rincorrono, che si somigliano, si fondono e collidono, collassando nel pensiero intimo (virtuale) di ciascuno».
Durante lo scorso inverno sei stata in residenza a Zona K a Milano per il progetto “Curva Cieca”: qual è il rapporto tra immagine e parola nella tua arte?
«”Curva Cieca” nasce in seguito alla performance “Curva”, prodotta da Xing e presentata a Raum nel 2019 in collaborazione con Massimo Carozzi, dove era la prima volta che lavoravo da sola in scena. Durante la creazione di “Curva” ho vissuto un’esperienza che mi ha scossa: nell’immaginare la messa in scena della performance, con l’immaginazione potevo visionare tutto, tranne la mia immagine. In quel momento ho realizzato che il mio corpo, la mia immagine, pur essendo tutto ciò che possiedo, risultano essere tutto ciò che non posso realmente vedere: la mia immagine mi è tanto intima quanto ignota. A partire da questo assunto ho iniziato a pensare a una performance con Filmon Yemane, un ragazzo ventisettenne eritreo non vedente dall’età di 12 anni, che quotidianamente fa esperienza concreta della perdita della propria immagine. In residenza a Zona K ho capito che per rappresentare questa mancanza dovevo mettere in relazione le nostre reciproche mancanze: io non ho padronanza del tigrino, la mia lingua materna, a differenza di Filmon che ha frequentato le scuole in Eritrea. Lui invece non ha la vista, strumento per me elettivo per creare arte. Ho chiesto a Filmon di insegnarmi delle parole in tigrino che avrei tradotto successivamente in immagini e movimento. Una formula compensatoria partita da un piccolo abbecedario di lingua tigrina: enunciando parole legate al mondo della natura, animale e a quello casalingo ci siamo spinti man mano alla ricerca di termini più astratti per analizzare il rapporto tra parola, segno, lingua, corpo, immagine e significato. “Curva Cieca”, presentato come studio a Santarcangelo Festival e che debutterà in forma definitiva a Short Theatre di Roma a settembre 2021, è un dispositivo metadidattico che usa la forma didascalica per indagare uno spazio intimo: la narrazione biografica porta a riflessioni filosofiche e irrora il piano della rappresentazione dove un corpo ligio tenta di aderire a un’immagine costantemente sfuggente».
Nella tua bio si legge “Muna Mussie ricerca accordi precari su ipotesi di s-confino”: qual è l’esigenza dietro il tuo lavoro?
«Mi voglio confrontare costantemente con le urgenze che chiamano la mia attenzione. La stabilità è un’illusione e l’instabilità una garanzia che spaventa, ma è più vivace. Voglio dare il giusto respiro al fare che è in relazione costante con il movimento tellurico sui cui posano i miei piedi. L’esigenza del mio lavoro e l’esigenza della mia vita sono la stessa cosa: intrattenere con passione il tempo della mia vita».
Le tue prossime ricerche su cosa si concentreranno?
«A ottobre alla Biennale Democrazia di Torino presento “Oblio,” legato all’idea di riappropriazione attiva dell’oblio storico e personale attraverso un rito che vedrà coinvolte una ventina di donne, progetto a cura di Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e Justin Thompson. A gennaio in occasione di Artefiera 2022, nella cornice di “Oplà” a cura di Silvia Fanti, presento “Persona”, un rito privato dove invito le persone ad abbandonare la propria maschera ideale per svelare l’umano troppo umano che è in ognuno di noi».