03 dicembre 2023

La Body Art tra performance e scultura raccontata da Giovanni Morbin

di

Quattro grandi progetti dalla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia al Museo Civico Archeologico di Bologna tra il 2023 e il 2024 dedicati alla ricerca di Giovanni Morbin in occasione del suo ‘pensionamento’

Giovanni Morbin, Bodybuilding, 1997, performance, Lubiana, documentazione, ph. Frank Fedler, courtesy dell’artista

Un progetto che parte simbolicamente da una data. Il 1 novembre, quando Giovanni Morbin va in pensione, cui fa da contraltare però proprio un’intensa attività espositiva. E cosa fa un body artist in pensione? Morbin presenta la più ampia ricognizione mai dedicata alla sua ricerca, che dalla fine degli anni Settanta si struttura tra la performance e la scultura. Una ricerca che più di un focus sul suo lavoro diventa un racconto sull’evoluzione della body art.

Un mix tra gesti rivoluzionari e sperimentazioni artistiche, la carriera di Giovanni Morbin, capace di unire performance e sculture è una profonda contemplazione del contesto contemporaneo, linfa vitale del suo percorso artistico. Nato a Valdagno (VI) nel 1956, Morbin ha seguito un percorso che dall’Accademia di Belle Arti di Venezia lo ha portato a diventare un pioniere del body art, traendo ispirazione dalla corrente dell’Azionismo viennese degli anni Sessanta.

Giovanni Morbin, Concerto a perdifiato, 2018, performance, Dro, documentazione, ph. Roberta Segat, courtesy dell’artista

Il suo imminente pensionamento dall’attività di docente all’Accademia di Belle Arti di Verona segna un punto di transizione. Ecco che Morbin, lontano dall’idea convenzionale di un artista visivo in pensione, abbraccia questa fase come una (ri)partenza. Difficile immaginare un artista visuale in pensione, eppure Morbin sfida questo stereotipo, intrecciando il concetto di ritiro dalla carriera accademica con una nuova ondata di attività espositiva ancora più intensa.

Attraverso i progetti espositivi di Ozionismo, manifesto orizzontale a Vienna, Ibridazioni a Lubiana, Campo di ricerca a Venezia e Indispensabile. Non so stare maninmano a Bologna, l’artista offre una ricognizione senza precedenti della sua ricerca artistica. Sono tutte mostre che non solo fungono da palcoscenico per le innovazioni concettuali dell’artista, ma esplorano anche l’essenza stessa dell’arte come dispositivo di espressione. In questo contesto, ci si interroga sul significato di essere un artista visivo in pensione, una figura che, lontana dal rallentare, abbraccia la prospettiva di un nuovo inizio.

Giovanni Morbin, Ozione 1, 2023, stampa digitale su carta cotone montata su dibond, 150 x 100 cm, courtesy dell’artista

Se dovessi dargli un nome, che titolo daresti a questa tua serie di progetti? Qual è il filo conduttore?

«Userei come titolo Forme di comportamento, il mio lavoro è molto legato alla performatività ma spesso questo atteggiamento produce delle forme che non sono oggetti fine a sé stessi ma che diventano strumentazioni per suggerire comportamenti altrui. Creo forme ed oggetti generati dai comportamenti e che allo stesso tempo servono ad altri comportamenti.»

Giovanni Morbin, Mano, 2002, sangue su carta cotone, 100 x 130 cm, ph. Andrea Rosset, courtesy dell’artista

Il tuo progetto espositivo, Ozionismo, manifesto orizzontale, ha inaugurato alla Galerie Michaela Stock di Vienna. Quali sono le basi concettuali di questa mostra e in che modo il concetto di ozione si contrappone all’azione nella società contemporanea?

«Dal 1 novembre sono in pensione, così ho cominciato a ragionare ironicamente su questo momento di passaggio. La domanda che sorge spontanea è cosa fa un artista quando va in pensione? Smette di lavorare? E se questo artista è un artista concettuale, cosa fa smette di pensare? Mi è così venuto in mente di dar vita ad un progetto che siglasse questa nuova era. Da qui è nata l’idea di creare una serie di oggettualizzazioni che potessero evidenziare le pratiche affini all’idea. Ozionismo è un termine filosofico che mi piaceva utilizzare perché crea un’assonanza con l’Azionismo viennese, una corrente che mirava a criticare la società attraverso performance di forte impatto in opposizione all’oggettualità dell’opera d’arte.

Allo stesso tempo l’ozione è un atto creativo che si contrappone all’azione e alla retorica del fare. Sono tutti lavori che ragionano sulla posturalità di un corpo ed illustrano il non fare niente,un gesto creativo che mira al superamento dell’obbligo dell’agire che caratterizza la nostra società. Un esempio è la scultura del Manomissore, ovvero un volume in cemento osseo che rappresenta lo spazio che si crea all’interno di due mani riprese nell’atto di non fare nulla.»

Giovanni Morbin, After Szeemann, 2014, aspirapolvere Vorwerk Kobold 120, polvere, 75 x 35 x 75 cm, ph. Valentina Cavion, collezione AGI, Verona

Il secondo progetto, “Ibridazioni”, è stato presentato alla Galerija Vžigalica di Lubiana. Puoi raccontarci di più sulla retrospettiva e sulla serie delle Ibridazioni?

«La mostra si presenta come una serie riassuntiva di tutte le Ibridazioni che dal ’95 connotano una particolare sezione performativa. Azioni ibride che non dipendono più solamente da me, è infatti sempre presente un elemento esterno che condiziona sia la possibilità di esecuzione dell’azione sia la sua riuscita, perché il fallimento è compreso. A esempio la performance Bodybuilding, in cui ho cementato la mia mano a un muro di un edificio nello spazio pubblico e sono rimasto in piedi per otto ore (la durata della giornata di lavoro standard), diventando un elemento costruttivo.

In questo caso tutte le opere sono storiche, qualcuna presentata come site specific, altre ripetute nel corso negli anni. Per l’occasione ho fatto un nuovo lavoro che si chiama Sempreverde, una performance che prende questo nome perchè da un lato è sempre attuale, dall’altro si lega all’idea del colore verde, che mi affascina particolarmente. Per un’ora e mezza ho falciato l’erba con una macchinetta che non chiudeva lo sportello ma buttava l’erba tagliata su di me, ricoprendomi di pulviscolo erbaceo. Alla fine dell’azione mi dirigevo poi alla galleria passando dal centro di Lubjana.»

Ibridazioni, Galerija Vžigalica a Lubiana

La Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia ospiterà Campo di ricerca. In che modo questa mostra, esplora la vastità dei tuoi campi di ricerca, spaziando dall’azione a opere oggettuali?

«In tutte le mostre c’è sempre qualcosa di nuovo perché io lavoro con i comportamenti e i comportamenti non possono che essere sempre attuali. Il progetto è costituito da una trentina di lavori realizzati a partire dalla fine degli anni Ottanta, da nuove opere realizzate site-specific per gli spazi della Fondazione e performance immaginate per la città lagunare. Il titolo della mostra di Venezia è Campo d’azione, perché presenterà diversi lavori che sono ospitati al di fuori degli spazi tradizionali della mostra. Lavori inediti da scoprire nelle calli di Venezia. Mi interessano molto i limiti percepibili delle opere nonostante la loro esistenza, ovvero quello che è un assioma delle arti visive ‘L’opera esiste se si vede’, ecco non è sempre così. Il titolo sembra voler definire un luogo, il territorio della mostra, ma non è facile definirlo ed è per questo che io lo voglio rendere a suo modo infinito.»

Ibridazioni, Galerija Vžigalica a Lubiana

Il tuo progetto Indispensabile. Non so stare maninmano al Museo Civico Archeologico di Bologna è un’interessante fusione tra arte contemporanea e reperti archeologici. Come hai affrontato il confronto con gli attrezzi e gli strumenti preistorici in questo progetto, evidenziando l’opera come dispositivo con funzioni finalizzate alla manipolazione e all’azione diretta?

«Anche in questo caso c’è un atteggiamento antologico, una miscellanea di novità e della mia produzione, non è un’antologica ma attraverso la produzione temporale mostra uno spaccato di alcuni lavori.

Tutto avviene nella suggestiva sede del Museo Civico Archeologico di Bologna, infatti il progetto nasce dal confronto con alcuni dei reperti archeologici conservati nel museo. In particolare il confronto avviene con gli attrezzi e gli strumenti che l’uomo ha realizzato, sin dalla preistoria, per espletare le necessità pratiche che via via si sono presentate. La prima cosa che saltava agli occhi è che molti di questi reperti sono il negativo dell’originale, la manipolazione degli oggetti. Ci sono molti dei miei lavori che nascono da questa finalità espressiva “strumentale”, per esempio il Consertore, uno strumento che aiuta a tenere sostenuta la posizione delle braccia conserte, creato in bronzo, materiale per la scultura ideale. Manmano è invece un calco realizzato comprimendo del cemento a presa rapida con le proprie mani per il tempo minimo alla sua solidificazione: è impronta, testimonianza di una forza applicata, un attrezzo non funzionale.»

Ibridazioni, Galerija Vžigalica a Lubiana

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