29 gennaio 2024

Restauri Svelati: il volume che fa il punto sulla formazione accademica

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Restauri svelati: presentato il volume racconta i dieci anni di vita dei corsi accademici di restauro, attraverso le schede di 162 opere del nostro patrimonio artistico tornate a splendere

È stato presentato il 19 gennaio, nell’Accademia di Belle Arti di Bologna, con l’intervento del ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, grazie alla lungimiranza della presidente Rita Finzi e della direttrice Cristina Francucci. È un grande volume, per la quantità di pagine e per la visione e la competenza che lo caratterizza, basti considerare quanto sia stato auspicato anche da Giorgio Bonsanti, il grande studioso del restauro e della sua storia. È stato ideato e curato da Alfonso Panzetta, noto per significative indagini archivistiche e importanti scoperte nell’ambito della storia della scultura, che da anni coordina la Scuola di Restauro dell’Accademia bolognese. È frutto di una bellissima storia: massima attenzione per i beni culturali, che sono beni comuni, e creazione e formazione di una squadra coesa e agguerrita, composta dagli 81 laboratori attivi nelle Scuole di restauro delle Accademie di Bologna, Como, L’Aquila, Macerata, Milano, Napoli, Palermo, Verona. Insomma, è lo straordinario Restauri svelati (edizioni Fioranna), che celebra con immagini e schede di 162 opere i dieci anni di vita dei corsi accademici di restauro e ne documenta la pratica etica di rivitalizzazione e tutela del patrimonio artistico italiano, che li ha portati, fino a oggi, a restaurare circa 38mila opere d’arte.

Luoghi di mano e di pensiero: le Accademie

Ma è certamente anche la storia di un rilancio, da parte del curatore di Restauri svelati e delle accademie, di un monitoraggio analitico e costruttivo, dopo il primo, effettuato nel 2013, promosso da Giovanna Cassese con il volume Accademie Patrimoni di Belle Arti e con gli Atti del Convegno Patrimoni da svelare per le arti del futuro, sulla conoscenza e salvaguardia dei beni culturali di tutte le accademie di belle arti italiane. Perché in realtà il tema del patrimonio e della sua salvaguardia per Cassese – oggi Presidente del CNAM – si è sempre collegato a quello delle scuole di restauro AFAM, che dal suo punto di vista devono assolutamente ottenere i dottorati di ricerca in sintonia con le dinamiche universitarie e sostenere l’impegno siglato dalla convenzione di Faro nel 2005, convenzione del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società.

«Le Accademie possiedono il know how delle tecniche, nostro tema identitario», ha dichiarato Cassese. «Per noi è stato naturale tornare a insegnare restauro nelle accademie, perché nei grandi laboratori di pittura, scultura, scenografia, decorazione, già dal ‘700 si insegnavano anche le tecniche del restauro, e l’unione di sapere manuale e sapere teorico appartiene alle accademie molto più che alle università. Del resto, le accademie avevano corsi sperimentali di restauro, nati spesso in relazione ai propri patrimoni, ben prima della riforma che ha accreditato le scuole. Luoghi di mano e di pensiero, come ebbe a dire Andrea Emiliani, che scrisse pagine memorabili sulla necessità di tutelare il patrimonio artistico e il paesaggio italiano».

Restauri svelati: la storia, i numeri, i propositi

Ma tornando all’enorme impegno che sottende la produzione di Restauri svelati, è Alfonso Panzetta che rammenta per exibart l’itinerario percorso: «L’impegno di questo libro nasce nel 2021 a un tavolo tecnico di restauro del MIUR, presieduto da Giovanna Cassese, che sollecitava qualche idea che potesse valorizzare il sistema delle scuole dell’AFAM. Fu allora che esposi un mio punto di vista, diverso da quello corrente, perché da anni pensavo al patrimonio restaurato nei laboratori delle accademie, di cui si parlava solo in relazione alla formazione dei restauratori e mai in relazione alla ricaduta importantissima sulla salvaguardia del patrimonio stesso.

Pensai che per celebrare i dieci anni di lavoro delle scuole di restauro si dovessero rendicontare le opere e gli interventi. A quel tavolo tutti approvarono la mia idea, che io stesso in realtà giudicavo utopistica anche perché sarebbe occorso un gravoso impegno corale e non vi sarebbe stata alcuna certezza sulle risorse economiche. Tutto rimase in sospeso fino a febbraio del 2022, in cui La Cassese mi chiama e mi segnala che il MIUR ha stanziato dei fondi per azioni di sistema, dunque per iniziative davvero in sintonia con la mia idea. Il bando scadeva il 28 febbraio, abbiamo tentato. L’Accademia di Bologna due giorni prima la scadenza del bando inviava il progetto proponendosi come capofila, con l’entusiastica adesione della Presidenza e della Direzione. Abbiamo ottenuto i fondi, hanno erogato esattamente quanto avevamo chiesto e alla fine di aprile, cioè dopo due mesi, la copertura economica era totale», ha continuato Panzetta.

«Il lavoro è cominciato a maggio del 2022 ed è durato un anno e mezzo, con una serie di riunioni on line con ognuna delle Scuole di Restauro delle otto Accademie accreditate, per stabilire criteri e tempi e coinvolgendo 210 colleghi, tra restauratori, storici dell’arte, direttori, diagnosti, coordinatori, fotografi.

Occorre sapere che sul territorio nazionale i laboratori sono 81, a loro abbiamo chiesto di documentare solo due restauri eccellenti quindi 162 interventi, ma l’impegno era quello che tutti i laboratori fornissero l’elenco preciso di tutte le opere d’arte restaurate, e ne viene fuori una cifra da far tremare i polsi, circa 38mila unità ma per difetto. Tutto patrimonio pubblico, che mai avrebbe avuto un finanziamento dedicato, perché per restaurare un Caravaggio o un Botticelli i soldi si trovano, ma per tutto il resto…penso alle opere dei depositi dei musei, alle opere della ricca meravigliosa provincia italiana rurale, a quelle opere che costituiscono in realtà il tessuto connettivo del patrimonio dei beni culturali.

Questo implica un rapporto stretto con le Soprintendenze, che agli inizi erano dubbiose sulla giustezza degli accreditamenti alle nostre scuole di restauro, poi, nel tempo, il rapporto è profondamente cambiato, ci siamo guadagnati la stima sul campo, intanto facendo capire che non rubiamo il lavoro e il mestiere a nessuno, perché ci occupiamo di quel patrimonio, ripeto, che mai avrebbe finanziamenti.

I funzionari delle Soprintendenze frequentano assiduamente l’Accademia, per verificare, per consigliare, contenti di quel versante sperimentale che il restauro accademico nutre. Noi a Bologna ad esempio abbiamo una Convenzione con la Pinacoteca Nazionale e la convenzione unisce noi e la loro restauratrice in un progetto unitario di restauro del patrimonio della Pinacoteca, in un momento in cui i suoi laboratori di restauro si stanno svuotando perché i restauratori vanno in pensione e non vengono rimpiazzati e i concorsi sono sempre pochi.

Ovvio che, di conseguenza, altre istituzioni richiedono convenzioni con noi. Penso ai musei di Rimini o di Modena. D’altronde noi ci occupiamo di arte antica, moderna e contemporanea, un versante nevralgico, quest’ultimo, essendo i restauratori gli ultimi depositari dei saperi relativi alle tecniche e ai materiali dell’arte.

Da quando qui a Bologna otto anni fa promuovemmo il convegno sul restauro del contemporaneo (l’unico convegno di restauro sul contemporaneo in Italia, partner l’IBC) affrontiamo molteplici scenari, dal restauro delle installazioni alla street art. Quest’anno a febbraio verrà affrontato un tema nevralgico, la lacuna nell’arte contemporanea, che apre problematiche davvero complesse, mentre testimonianze di artisti invitati al convegno ci relazionano di protagonisti dell’arte di un certo spessore e un certo mercato che ormai non si muovono più senza consultarsi con un restauratore. E a questo proposito, nel nostro volume sono illuminanti le analisi di Giorgio Bonsanti sulle connotazioni e il ruolo del “restauratore del futuro”, inevitabilmente ancora più implicato nelle problematiche climatiche e ambientali.

Infine, vorrei sottolineare che a dieci anni di vita delle scuole di restauro apparentemente non c’è più nessuna differenza tra quelle dell’AFAM – Ministero dell’Università e della Ricerca e quelle del MIC – Ministero dei Beni Culturali. Apparentemente. Invece c’è una differenza. Ed è nell’atteggiamento dei rispettivi ministeri. Il MIC eroga finanziamenti per le SAF – Scuole di Alta Formazione, il MIUR in questi dieci anni non ha finanziato con un solo euro le scuole dell’AFAM. Ci auguriamo davvero che questa tendenza venga radicalmente invertita».

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