24 luglio 2001

A spasso per Bologna in cerca del Blù

 
“Perché li fotografi?”: me lo hanno chiesto alcuni ragazzi di passaggio sul ponte in fondo a via Stalingrado. “Perché sono belli” ho risposto, quasi sentendomi in dovere di rendere conto di una sorta di violazione di proprietà privata. Eppure ero per strada, su un suolo pubblico, a fotografare opere di spray art...

di

…e l’unica mia preoccupazione sarebbe dovuta essere di evitare che i passanti mi impallassero l’inquadratura. Ma la sensazione che la strada appartenesse a ragazzi come quelli era forte.
Via Stalingrado, la zona universitaria, via Mascarella e via Belle Arti, il centro sociale Livello, sono ragazzi come quelli ad abitare qui, di giorno e di notte.
Bologna è piena di cani randagi adottati da ragazzi e studenti e capita di vederli passeggiare insieme lungo i muri: Bologna è piena di muri.
Parole, pensieri, messaggi, figure e persino versi: i muri parlano della cultura giovanile, di stati d’animo e ideali. Camminando capita di imbattersi nelle splendide opere dei writers della cultura hip hop e capita che, vedendoti fotografare, i negozianti ti vogliano abbassare le serrande, per farti vedere anche la loro sinuosa, criptica, grande scritta colorata, che una mattina si ritrovarono dipinta e che oggi mostrano non senza soddisfazione.
Scrive A.B.O.: “Di solito la città offre un sistema di segnali emessi dai mezzi di informazione di massa e dalla pubblicità, il cui monopolio appartiene non certo all’uomo medio, ma alla classe egemone…Se la città si presenta some un sistema di segni organizzato, questi graffiti sono una risposta, il tentativo di riappropriarsi dello spazio urbano e dei suoi codici, per autogestirli. L’autogestione si muove ribaltando completamente le norme che reggono, nella società capitalistica, la creazione cosiddetta artistica: il carattere individuale e la proprietà personale del lavoro artistico. Qui la creatività avviene in maniera anonima e collettiva, i graffiti si sovrappongono e gioiosamente si oppongono tra loro… La scrittura si pone come richiamo e chiamata a raccolta, come tentativo di dirottare la concentrazione dell’uomo dalla produzione di oggetti esterni a lui alla produzione di gesti spontanei, dove affiorano esigenze e bisogni repressi come l’esprimersi in maniera libera e creativa”.
Didattico… però in genere il graffitismo, proprio per questa sua connotazione anonima, finisce per essere considerato troppo “fenomeno collettivo” e ben poco “fenomeno individuale” e data la mia ignoranza sul “collettivo”, tanto vale che provi a cimentarmi con l’individuo.
Qualche giorno prima, fermo ad un semaforo, il mio sguardo si era fissato su una figura grigio-blu, dipinta sull’alto parapetto del ponte in fondo a via Stalingrado.
Una mano veloce, eppure raffinata, aveva tracciato una goffa figura pelata, gli occhi bianchi e un ghigno esasperato. Ombre e luci erano rese attraverso la maggiore o minore quantità di colore spruzzato, ma anche il segno era stato portato a modellare e le campiture cromatiche tradivano questa gestualità aggraziata (!) ed armonica.
La figura teneva in mano un telecomando, accingendosi a premerne l’unico pulsante. “Fa boom” diceva lo strano essere alle auto di passaggio, fissandole dall’alto ed un po’ di traverso.
Poco più avanti una scritta a stampatello: “Le promesse…” e, poco più oltre, “…sempre le stesse”.
Né bianco né nero, quello era il mondo di Blù. Strano approccio al murale quello di questo visitatore notturno delle strade bolognesi. L’ho cercato altrove e l’ho trovato varie volte… nei suoi murales. Non c’è violenza nel suo passaggio, non c’è aggressività; piuttosto una strana malinconia, una tragica constatazione delle cose, resa attingendo ad una iconografia post human e decadente.
Uomo e macchina convivono e dialogano; parlando ciascuno la propria lingua si comprendono.
Alcune forme o simboli appaiono ricorrenti: la figura umana o umanoide, la macchina o i simboli della tecnologia, ma soprattutto la piramide. La piramide è un simbolo antico che rimanda al confine tra vita e morte, al fuoco, all’aspirazione verso il cielo. Dalla testa delle figure umanoidi di Blù spuntano forme piramidali spigolose e dal loro ventre molte altre piramidi escono, ed il corpo si spezza o si trasforma in un’eterna metamorfosi. La piramide di Blù sembra voler simboleggiare la perfezione matematica e geometrica, il monolite che il corpo umano non riesce ad assimilare ed espelle come corpo estraneo. La piramide è rottura degli equilibri, sintetizza la perfezione cui anela l’uomo e, nello stesso tempo, la sua stessa fine, l’accadimento oltre il quale la vita diventa vana, diventa morte (=la piramide come soglia, limite dell’oltremondano).
Non so chi sia Blù né, forse, in fondo voglio saperlo. Guardo quelle strane figure che abbracciano gli angoli dei muri e ne sfruttano le forme non violentandole mai. Perfino le scritte dei writers sono terreno fertile, ispirazione per nuove figure che si fanno varco, attraverso cui le scritte fluiscono come un fiume di colore. Blù disegna l’uomo moderno parassita che come un virus colonizza spazi; egli riesce ad assomigliarsi allo spazio che abita, si adatta all’interlocutore, si confonde con la macchina. Da Pirandello a Zelig e ritorno, la storia è sul muro.
Ma nel confronto con la tecnologia l’uomo è l’eterno perdente, questa è una morale ricorrente; il cyborg di Blù soffre il trapianto tecnologico: è la crisi di rigetto che fa scoppiare la testa o spezzare le reni. Allora so che l’umanità latente chiederà dolorosamente di essere riscattata, tornerà il ricordo. E’ un istinto, un patrimonio genetico che non può essere assimilato dalla macchina. Dapprima sopportabile, il risveglio dal sogno tecnologico e dall’illusione della mutazione biologicamente perfetta diventerà lentamente insopportabile, come una musica ossessiva e struggente: “spegni spegni ti prego”.

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Alfredo Sigolo

[exibart]

7 Commenti

  1. Il graffitismo è per me un “fenomeno individuale” perchè ogni figura esprime il parere di chi la disegna. Bello l’uomo blù che dice : ” Spegni, spegni, ti prego.”, espressivo e significativo. Bello l’articolo di Alfredo Sigolo, l’ho letto più volte perchè il leggerlo era gradevole e mi rendeva partecipe a quella creazione artistica.

  2. Tornato casualmente a questo articolo vi ho trovato i complimenti di Maria Pezzica che mi erano sfuggiti. Ringrazio in ritardo e riferisco di una vicenda che sta, in questi giorni, tenendo banco a Treviso. Trattandosi di writers…
    Dalla Tribuna di Treviso
    La polemica tra «Maic» e Gentilini attizza il fuoco del dibattito: i graffiti tornano al centro della disputa
    Sotto quel writer c’è l’arte?
    «Creativi, solitari, scomodi». «No, imbratta-muri»
    Ma a sorpresa un ex lancia un sospetto sulla e-mail al sindaco: «Non l’ha spedita uno dei nostri, noi scriviamo sui muri»

    di Antonio Frigo

    «Quello che ha risposto al sindaco non è un writer, non può esserlo: i writer non perdono tempo e attenzione in polemichette locali, dispute con i politici, battibecchi che li trascinano in un impegno politico e sociale che per loro natura sentono lontano, o comunque staccato dalla loro voglia di lasciare “il segno” della loro attività». L’affermazione, per certi versi spiazzante, viene fatta da Fabrizio Urettini, un ex che, negli anni passati, la lasciato più di un suo segno sulle superfici… utili della città.
    Sottoscrive, restando coperto dal nome d’arte, «Prugna», uno dei writers storici della città, un outsider che ancora lascia la sua «tag» in giro e che proprio per questo non si rivela. Insomma, la polemica tra il fantomatico «Maic» e il sindaco Gentilini, giunta agli onori delle cronache grazie a lettere incrociate e reciprocamente fulminanti, non avrebbe un fondo di verità. Chi vivrà… Resta invece la disputa tra detrattori e sostenitori dei graffiti. Tra chi pensa che si tratti di imbrattatori di muri e chi invece legge, anche in questa forma di comunicazione, il segno della modernità, dell’arte. E a volte del genio. Fabrizio Urettini ha fatto il balzo: ora lavora nel settore della grafica applicata al prodotto di grandi case d’abbigliamento. «E’ una delle tante evoluzioni possibili – spiega -. Qualcuno approda al mondo dell’arte ed espone in gallerie di tutto il mondo, oppure realizza mega sculture per la Nike, oppure entra nel mondo della scenografia ad altissimo livello: alla realizzazione delle scene di “Zora la Vampira”, ad esempio, hanno lavorato moti tra i migliori writers. Chi ha visitato la Biennale di Venezia, quest’anno, ha potuto ammirare all’Arsenale una ricostruzione delle strade di New York con tutto l’armamentario dei writers». «Abbassare a livello locale la polemica – aggiunge -, significa rischiare di abbassare anche il livello della produzione di questi artisti, che vantano diverse ma comuni sensibilità per forme e colori, e che non “puntano” i muri del centro per sfregio o per aggiungere nuove battaglie ad una guerra con le istituzioni, ma puntano a mettere il loro segno in luoghi particolarmente inaccessibili e quindi ad allungare il più possibile la “vita” delle loro opere. Certo, sono finiti i bei tempi del Foro Boario, della Restera…».
    C’è anche chi, come l’avvocato Luigi Fadalti, ha pensato di riservare ai writers uno spazio apposito. «Ho intenzione di lasciare loro una parete esterna della mia nuova casa in città – spiega -. Una parete che potrà essere lavata e rinnovata: mi piace molto il segno che i writer lasciano sui muri, sono artisti veri». «Ma non è detto che uno spazio apposito sia al centro dei desideri dei miei colleghi – spiega Prugna – anche perchè non siamo tutti fatti alla stessa maniera. Quel che è sicuro, è che non ci misuriamo con Gentilini o con le beghe politiche locali: quello dei writers è un movimento che ha un respiro mondiale, non può certo perdersi in queste cose». «Io uso la loro creatività nella mia azienda – dice Bad Bado, imprenditore un po’ eccentrico (piercing e tatuaggi a profusione, anche sotto la grisaglia, la camicia e la cravatta portate per andare a… trattare in banca) che nel settore della moda, assieme a due soci, ha creato la “Broke” – Si tratta di persone che hanno una cultura e una sensibilità artistica superiori. Non credo che abbiano molto in comune con Gentilini, che io conosco, al quale ho persino dato una mano nella sua prima campagna elettorale, ma che con certe posizioni oltranziste su immigrazione e altro è ormai lontanissimo dal mio pensiero. La sua tirata contro i writers ha solo l’effetto di incattivirli: hanno il gusto dell’illegalità, la gioia di stupire, di spiazzare. Nel confronto, insomma, sono vincenti. Del resto, cosa ha proposto l’Estate Trevigiana per i giovani? Divido la mia vita tra Treviso e gli Usa e queste cose le avverto di più. Anche se il piacere dell’ombra tra amici resta; anche se l’abisso di 2000 anni di storia si avverte. Ma che cosa hanno a vedere questi duemila anni con la sensibilità artistica dei writers? Questi ultimi, tra l’altro, non hanno il gusto della disputa politica, ne sono anzi lontanissimi. E hanno gusto, costanza, dedizione eroici. E’ un fuoco sacro». «Arte, questa è arte – chiede il presidente del consiglio comunale Luca Vettor -? Io trovo comunque assurdo che si sporchino i muri. E’ arte? Ci mettano una cornice. Ma che cornice puoi mettere a una firma tracciata su un muro privato o pubblico?»

  3. sì, sono belli quei graffiti. li vedo tutti i giorni perché abito in via Mascarella e volevo fotografarli anch’io. mi sembrano + interessanti delle solite “tag” dei writers… l’autore è anche uno che scrive molto…anche se non credo si faccia troppi problemi estetici, probabilmente fa quello che gli piace e amen
    ciao

  4. forse non avete mai visto del writing come si deve se vi fermate a fotografare quelli, ma se siete contenti voi.. ma sto Sigolo si è mai fermato sotto il ponte di Via Libia nella sua vita? E’ da 15 anni che ci sono opere meravigliose e hanno un ricambio continuo

  5. le solite stronzate di simil resistenza zapatista livelline ( e cmq i veri graffiti che c’erano al livello sono crollati quando è crollato la metà del ponte 5-6 anni fa e sono andati tutti persi), spero di trasformarmi in una macchina, il rigetto è solo un problema mentale

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