20 ottobre 2023

Carmen o della tragedia: una danza contorsionista per attualizzare Bizet

di

La versione scarnificata e prosciugata della Carmen di Bizet secondo Peter Brook, affidata alla coreografa Francesca Lattuada per la Stagione lirica del Teatro delle Muse di Ancona.

La Tragedie de Carmen, foto di Danilo Antolini

È da segnalare, anzitutto, per l’unicità del progetto. Di un teatro pubblico, il Teatro delle Muse di Ancona, che, primo in Italia (in altri Paesi non è una novità), affida la regia di un’opera lirica a due coreografi italiani ma attivi in Europa: Luca Silvestrini per Die Zauberflöte, e Francesca Lattuada per La tragèdie de Carmen. L’audace e inconsueta operazione la si deve all’unione di due menti aperte, la direttrice artistica di Marche Teatro, Velia Papa, e Vincenzo De Vivo, direttore artistico della stagione lirica del Teatro della Muse, da sempre attenti alla multidisciplinarietà dei linguaggi artistici.

La Tragedie de Carmen, foto di Danilo Antolini

Che il canto e la danza siano già da tempo in stretta e felice connessione, lo abbiamo visto in altre opere con la regia di noti coreografi. Tre esempi per tutti: il Don Giovanni e Salomè con la regia di Maurice Béjart, “l’acquatico” Dido and Aeneas di Henry Purcell, della tedesca Sasha Waltz, creato nel 2005 (visto in Italia al Comunale di Ferrara e al Teatro dell’Opera di Roma), Alceste di Gluck firmato da Sidi Larbi Cherkaoui per la Bayerische Staatsoper nel 2019, e da noi ospitato lo scorso anno dall’Opera di Roma. In quest’ultimo, la danza era presente drammaturgicamente per tutto il tempo con la compagnia del coreografo belga-marocchino, che interagiva con i cantanti. Chissà che la strada aperta da Papa-De Vivo possa essere seguita da altri, auspicando anche che le due opere andate in scena possano essere rappresentate nei teatri italiani, e dare avvio ad altri esempi virtuosi di intraprendenza culturale.

La Tragedie de Carmen, foto di Danilo Antolini

Niente gitane, fabbriche di sigarette, contrabbandieri, né sfilate di toreri, né cori. Riducendo l’azione a soli quattro cantanti per un ensemble da camera, nel 1981 il regista Peter Brook – insieme al drammaturgo Jean-Claude Carrière e al compositore Marius Constant autore del riarrangiamento della partitura musicale -, creò una versione stringata della celebre Carmen di Bizet, un dramma compatto di 80 minuti sotto il titolo La Tragédie de Carmen. Riportando il dialogo più vicino al racconto di Prosper Mérimée, la fonte originale di Bizet, reintegrando, ad esempio, il marito scomodo di Carmen, Brook enucleò la verità drammatica della storia, dove il tempo e il luogo erano poco importanti rispetto al focus sul dramma dei personaggi, con al centro una Carmen protofemminista coraggiosa e impavida.

La Tragedie de Carmen, foto di Danilo Antolini

Nel fascinoso spettacolo di Lattuada, coreografa e regista attiva in Francia, la sua impronta è subito all’inizio con due danzatrici contorsioniste – propaggini di Carmen che ritroviamo in altre sequenze, e che Lattuada definisce «Una trinità corporea e spirituale» -, avviluppate a terra in torsioni che inarcano i loro corpi fino a formare un cerchio. Quel vuoto che si crea al centro è l’ingresso negli inferi di un destino già segnato, reso esplicito nella frase dantesca “Lasciate ogne speranza voi ch’entrate”, impressa in alto. Sulla nuda scena solo una larga parete specchiante e maculata, che di apre centralmente a espellere e risucchiare i personaggi concepiti come entità legate l’uno all’altro.

La Tragedie de Carmen, foto di Danilo Antolini

In questo spazio intimo, vibrante, impersonale e senza orpelli (luci e scene di Lucio Diana), gli eterni temi di eros e thanatos risuonano potenti e toccanti nella limpida raffinatezza del canto degli interpreti: il mezzo soprano Martiniana Antonie (Carmen), il tenore Diego Godoy (Don José), il baritono Gianluca Margheri (Escamillo), il soprano Lucrezia Drei (Micaela) e l’attore Filippo Gonnella (nei tre ruoli di Zuniga, Lillas Pastia, e Garcia) per i dialoghi parlati. Su tutti loro la regista marca una gestualità coreografica che parte prima di tutto da dentro, trattenuta nella loro interiorità, poi espressa nelle posture dei corpi nello spazio, nel rigore di movimenti di braccia e di mani oscillanti, di sequenze corali all’unisono, con il ritmo teso e severo, il tratto minimalista e zen di una poetica riconducibile al teatro di Bob Wilson.

La Tragedie de Carmen, foto di Danilo Antolini

La ravvediamo anche nel bianco luminoso e stilizzato dei costumi (di Bruno Fatalot), nella biacca che ricopre i volti dai lunghi capelli lattei, e nelle azioni essenziali, quasi fredde rispetto alle passioni della vicenda. Che qui richiama un archetipo e le grandi questioni dell’umanità ovvero la libertà, l’ineluttabilità del destino, il femminicidio, l’eterno ritorno del tempo della violenza. Nel raggelato finale da Teatro , davanti al muro specchiante che avanza, Carmen, con Don José accanto ed entrambi inginocchiati guardando avanti, va incontro alla morte per mano dell’amante, dopo aver pronunciato il suo credo: «Carmen mai cederà. Libera è nata e libera morrà!».

La Tragedie de Carmen, foto di Danilo Antolini

Spettacolo seducente sia formalmente, drammaturgicamente, che per resa canora e musicale. La bacchetta dell’argentina Natalia Salinas ha diretto con fine sicurezza gli equilibri strumentali, conducendo a una bella prova l’Orchestra Sinfonica “G.Rossini”.

La Tragedie de Carmen, foto di Danilo Antolini
La Tragedie de Carmen, foto di Danilo Antolini

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui