20 febbraio 2023

La freschezza della danza, quattro coreografi contemporanei alla Scala di Milano

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Alla Scala di Milano, le opere di quattro coreografi che, nello spazio di una serata, riescono a restituire la ricchezza e la freschezza del linguaggio contemporaneo della danza

REMANSO, Domenico Di Cristo Darius Gramada Roberto Bolle

Va detto subito che il corpo di ballo scaligero è in stato di grazia. Interpreti eccellenti, versatili, capaci di confrontarsi, con slancio interpretativo e assoluta padronanza tecnica, nelle differenti cifre stilistiche del linguaggio contemporaneo: quello dei quattro coreografi della serata “Dawson/Duato/Kratz/Kylian”. Un programma originale che ha brillato per qualità grazie alla scelta del direttore Manuel Legris di invitare gli autori succitati (con l’unico appunto, forse, di non aver inserito anche il lavoro, celebre o nuovo, di grandi coreografe della scena contemporanea internazionale).

Dawson/Duato/Kratz/Kylian: quattro coreografi alla Scala

Di una purezza cristallina, sulla sfolgorante scena bianca, è “Anima Animus” (creato nel 2018 per il San Francisco Ballet) di David Dawson con quel movimento perpetuo di linee fluide, marcate anche dal disegno dei costumi bianchi e neri segnati da una striscia lungo la schiena, e il virtuosismo dei danzatori che non conosce sosta nelle continue entrate e uscite, gli attraversamenti, i duetti, terzetti, i compositi e articolati gruppi.  Di puro classicismo astratto che ricorda Balanchine e Forsythe, sulla musica di Ezio Bosso l’“Esonconcerto”, il lavoro di Dawson ha trasposto in danza la teoria di Jung sul lato femminile nell’uomo e il lato maschile nella donna, esplorando forze opposte di energia e amalgamandole in un turbinio di estensioni estreme dei corpi, con momenti di adagio, di emozioni trattenute per nuovi slanci in alto e attrazioni a terra.

ANIMA ANIMUS
ANIMA ANIMUS Maria Celeste Losa Rinaldo Venuti Mattia Semperboni

“Remanso”, di Nacho Duato, creazione del 1998 per la Compañía Nacional de Danza e ispirato a un poema di Federico Garcia Lorca sulla musica dei “Valses poéticos” di Enrique Granados (eseguita dal vivo dal pianista Takairo Yoshikawa), ha la struttura di una conversazione intima e leggera, giocata sulla complicità maschile di un trio. Da dietro una parete quadrata, dal colore cangiante, che ricorda il muro da cui emerge un torero nell’arena, Roberto Bolle, Nicola Del Freo e Mattia Semperboni si alternano nel nascondersi, fare capolino con le braccia o le gambe, uscire, avanzare in assoli, duetti e terzetti, in equilibri l’uno sull’altro che creano forme e linee scultoree davanti e sulla parete. Sono ora atletici o fragili, ora morbidi o disimpegnati, sempre musicali nella plasticità dei movimenti, e con un inserto teatrale quando su un braccio teso compare una rosa che Bolle prende fra i denti mentre continua a ballare (va detto che agli applausi finali il suo ripetuto persistere da solo in proscenio è apparso poco generoso nei confronti dei giovani, bravi, colleghi).

REMANSO Darius Gramada Roberto Bolle Domenico Di Cristo(6)

Una novità assoluta il brano di Philippe Kratz, già danzatore di Aterballetto e oggi sempre più in crescita come autore. “Solitude sometimes”, titolo che allude al detto anglosassone “La solitudine a volte è il compagno migliore”, si sviluppa sulla musica di Thom Yorke e del gruppo britannico Radiohead, con i danzatori che, all’interno di quella partitura elettronica, seguono, in gruppo o divisi, un proprio ritmo individuale. Dietro di loro un grande schermo orizzontale con immagini di interferenze digitali. Il loop quasi ininterrotto di movimenti che si addensano, scivolano, si moltiplano, serve a rendere l’idea del trascorrere del tempo, del percorso di trasformazione e rinascita. Kratz s’ispira, infatti, al ciclo della vita e della morte presente nella mitologia egizia, nello specifico nel “Libro dell’Amduat”, antico documento funerario che parla del concetto dell’aldilà.

Scomparendo e ritornando, i danzatori procedono a piccoli passi strascicati – alla moonwalk di Michael Jackson -, fluenti da un lato all’altro del palcoscenico, con improvvise varianti di gesti e movimenti che riprendono le figurazioni dei geroglifici egizi. Tra l’esserci e scomparire, l’andare e ritornare da soli o insieme, i quattordici danzatori dai costumi dorati vivono una sorta di trance con quei corpi che sembrano plasmare il tempo e iscriversi nello spazio.

SOLITUDE SOMETIMES ph Brescia e Amisano © Teatro alla Scala
SOLITUDE SOMETIMES in primo piano Navrin Turnbull
SOLITUDE SOMETIMES Rinaldo Venuti ph Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

La chiusura della serata è con uno dei capolavori di Jiří Kylián “Bella figura” (1995), titolo che ha a che fare con l’idea del mostrare l’aspetto migliore di sé, sia nella vita che sulla scena, tra arte e artificio. È, per il coreografo, lo stare sul confine tra fantasia e realtà, e trovare nel mezzo sentimenti, tensione, alchimia. La coreografia inizia col sipario già aperto sui ballerini che eseguono esercizi di riscaldamento mentre le luci della sala sono accese e il pubblico continua a chiacchierare.

Di una qualità lirica e sensuale, il balletto, di intatta e sempre nuova bellezza, vive immerso nella musica barocca di Pergolesi – l’inizio è con lo “Stabat Mater” -, Marcello, Vivaldi, Torelli e dell’americano Lukas Foss, universo sonoro che i danzatori, nel susseguirsi dei vari quadri, restituiscono con chiarezza di linee sospese, taglienti e scorrevoli, posture pittoriche, eleganza di forme che generano una varietà di atmosfere emozionali. Tutto scorre tra grandi tende rosse che si abbassano e si aprono come un otturatore, che risucchiano una danzatrice, che incorniciano corpi a torso nudo e dalle ampie gonne rosse, in una dissolvenza di quadri che apre alla meraviglia, per finire con un silenzioso duetto caratterizzato dal gesto del toccare la spalla leggermente sollevata del partner, riposizionandola.

BELLA FIGURA Benedetta Montefiore Matteo Gavazzi
BELLA FIGURA Giulia Schembri Andrea Risso Chiara Borgia Andrea Crescenzi
BELLA FIGURA Stefania Ballone Andrea Crescenzi

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