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Twyla Tharp e Carolina Bianchi: chi sono le Leonesse premiate alla Biennale Danza 2025
Danza
Leoni d’eccezione alla Biennale Danza di Wayne Mc Gregor. Il riconoscimento più ambito della danza internazionale quest’anno va a due artiste diversissime, dal segno incisivo e dalla indomabile personalità, celebrando la carriera di una delle figure che in modo inequivocabile ha segnato la storia della danza del secondo Novecento e non solo, la coreografa statunitense Twyla Tharp, mentre la brasiliana Carolina Bianchi viene onorata con il Leone d’argento. Entrambe Myth Makers, come suggerisce il titolo dell’edizione di quest’anno, firmata dal coreografo britannico Wayne McGregor, che apre con le loro ultime produzioni.
Twyla Tharp, Leone d’Oro alla carriera
Twyla Tharp, che presenta alla Biennale un corpo di opere di differenti periodi, è protagonista di una serata che le conferisce un tributo indiscusso. La sua ricerca e il suo lavoro hanno spaziato dal classico alla danza jazz, dal modern al postmodern e al minimalismo, sfidando con rigore e ossessione la conoscenza della disciplina coreutica, ibridata con forme di training e di allenamento che guardavano alla boxe, al body building o alla leggerezza del tiptap. Tesa verso un perfezionismo formale, legato all’assimilazione del codice quanto al suo superamento, Twyla Tharp ha attraversato nei sessant’anni della sua produzione coreografica medium diversi, dal cinema al videoclip, alla televisione, sino alla regia di documentari, oltre naturalmente alle collaborazioni con grandi compagnie di danza e balletto (Joffrey Ballet, American Ballet Theater, Balletto dell’Opéra di Parigi, Royal Ballet, New York City Ballet, Boston Ballet, Martha Graham Dance Company).

Conosciuta ai più per la leggendaria collaborazione con Milos Forman per le coreografie di Hair, oltre a quelle di Ragtime e Amadeus, Tharp ha firmato 29 coreografie, 12 speciali televisivi, 6 film a Hollywood, 4 balletti completi, 4 musical a Broadway e 2 lavori di pattinaggio artistico, numeri che evidenziano non solo l’incessante urgenza di consegnarsi alla danza in una febbrile sperimentazione, ma anche il desiderio di lavorare sul gioco delle variazioni, sulla necessità di un rinnovamento continuo, in una contaminazione tra linguaggi “alti” e cultura pop, erede in questo di un segno americano, depositario della grande innovazione del balletto effettuata negli Stati Uniti da George Balanchine. È lei protagonista di una delle serate di apertura della Biennale Danza 2025 con un dittico di singolare eleganza, eseguito dalla Twyla Tharp Dance Company, composto da Diabelli, coreografia del 1998 sulle 33 variazioni beethoveniane, e Slacktide, nuova creazione su Aguas da Amazonia di Philip Glass, entrambe eseguite dal vivo, la prima dal pianoforte di Vladimir Rumyantsev e la seconda da Third Coast Percussion con Constance Volk al flauto.
Diabelli è una coreografia di estrema complessità, fatta di gioco e variazioni, dove dieci interpreti, rigorosamente in bianco e nero, puntano e segnano lo spazio scenico senza tregua. Con rigore grafico e sprizzante leggerezza i corpi danzano sulle note di un Beethoven ultimo, riletto da Tharp con un rinnovato interesse che riconosce nelle sue 33 variazioni un passo inedito, rivolto al barocco, in un connubio di creatività e umorismo. Il secondo lavoro Slacktide, ultima sua produzione, restituisce la gioia di un sodalizio, quello con Philip Glass, icona del minimalismo in musica, qui in un’opera dalle geometrie fluttuanti, figlia delle sue incursioni nella postmodern dance.
Carolina Bianchi, Leone d’Argento
Se la motivazione del Leone d’oro a Twyla Tharp è cristallina, più imprevedibile è quella del Leone d’argento a Carolina Bianchi, regista, drammaturga, performer brasiliana, di base in Europa che presenta in prima nazionale Brotherhood (Fratellanza), secondo episodio della trilogia Cadela Força (Il potere della puttana), un lavoro di 3 ore e 40 minuti che succede al già potente Boa Noite Cinderela, presentato in Italia sui palcoscenici della Triennale di Milano.

Il lavoro di Bianchi è una riflessione sulla seduzione per il culto della violenza romantica, ma in realtà precedente a essa, di natura estetica, linguistica, e metodologica, insito nella trasmissione della storia dell’arte europea e più in generale occidentale, su cui si è costruito il nostro sguardo. Incarnato nel mito dell’eroe, maschile e sessista, tale apparato di cattura continua a ripercuotersi e ad agire come un’ombra sul pensiero, sulle estetiche, sulle epistemologie e sulle politiche del lavoro artistico, specie in ambito teatrale, a riprodursi nelle creazioni e nei sistemi di potere che ne stanno alla base. In Brotherhood, la drammaturgia è tagliente, la parola potentissima, non priva di sarcasmo. Bianchi falcia tutto, come una Giovanna d’Arco: facili slogan, il culto della sorellanza, il sistema della critica, la presunta oggettività delle teorie, nominando registi e coreografi che, invocando il fuoco sacro dell’arte, perpetrano abusi inscritti nei rapporti di potere che costruiscono. Agisce con furia iconoclasta, raffreddata da intelligente rigore e affilata ironia, in una scrittura complessa e sorprendente che lascia senza fiato nel lungo tempo di una pièce di cui è assoluta protagonista.
Il dramma dello stupro subìto in Brasile nei circoli dell’intellighenzia paulistana, a causa della somministrazione senza consenso di un cocktail narcotizzante, con una droga amaramente conosciuta in Brasile con il nome di Boa noite Cinderela (buonanotte Cerentola), da cui il titolo del primo atto della trilogia, è alla base del lavoro. Uno stupro risputato fuori come un veleno, che non riuscirà mai a curare e riparare l’atrocità di quel momento e delle altre violenze subite dalle donne a causa della cultura patriarcale e machista, di una tossicità maschile eteronormativa che protegge se stessa, i propri gruppi di appartenenza, riproducendosi e moltiplicandosi in forme diverse.
La sua figura oramai spuria e dannata cavalca un camion, regina di un male e di un linguaggio in cui si è irreparabilmente compromessi, senza riparo e senza ritorno, e che occorre vìolare senza nascondere. La riflessione sul corpo è da sempre al centro della ricerca di Carolina Bianchi. La danza e la coreografia rimangono sullo sfondo, contenuti in quadri scenici precisi. E se da un lato può apparire un peccato non aver dato riconoscimento a una forma artistica, anche nelle sue forme più espanse, già così tanto marginalizzata, la possibilità di assistere a questo lavoro e il valutarne l’importanza storica nella produzione contemporanea, sia in termini artistici che politici, è sicuramente un grande dono e qualcosa di cui essere profondamente riconoscenti.














