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Dalla natura al design e ritorno: intervista a Cloe Berni e Martina Taranto
Design
di redazione
Un’esposizione che indaga il modo in cui la natura può entrare nelle case e legarsi al nostro quotidiano, migliorandolo. “Lentē, paesaggi domestici” è il primo degli appuntamenti annuali dedicati al dialogo fra arte, landscape design e interior design della Galleria Sinopia, lo spazio nella Capitale che da 35 anni è al centro della ricerca sul design e l’interior.
Ad accompagnare la mostra, visitabile fino al 16 luglio nello spazio di Via dei Banchi Nuovi 21, una serie di incontri con alcuni degli artisti coinvolti nell’esposizione – Angelo Aligia, Isabella Breda, Giorgia Rojas Monaco, Sabine Pagliarulo, Angela Palmarelli, Martina Taranto, Maria Grazia Tata – volti a far conoscere una ricerca lunga un decennio, che ogni anno darà vita a un’esposizione tematica.
Abbiamo colto l’occasione per dialogare con Cloe Berni, curatrice della mostra insieme a Livia Ducoli, e Martina Taranto, artista e designer con base a Calatafimi Segesta, Trapani, che investiga l’intervento della natura e del tempo sui materiali e porta alla Galleria Sinopia il suo totem germogliato.
Martina Taranto, in “Lentē, paesaggi domestici” lei espone NumberFourteen, un’opera complessa che però lancia un messaggio chiaro al visitatore. A chi non ha visto la mostra, cosa direbbe, in cosa consiste il suo significato?
«Ho creato NumberForteen appositamente per questa mostra. È il mio più recente adattamento narrativo della serie di sculture botaniche viventi create con Viral Nature, un materiale composito biosintetico di mia invenzione, capace di ospitare la vita vegetale, di crescere, trasformarsi e distruggersi secondo i cicli della natura. La capacità evolutiva della scultura e la sua natura organica permettono di creare una connessione emozionale immediata con l’oggetto e con tutto ciò che rappresenta. Con NumberFourteen si entra in contatto con un artefatto dotato di una sua propria potenza evolutiva, vivo, e questo fa sì che l’esperienza d’interazione non sia esclusivamente contemplativa ma che sia essa stessa intimamente trasformativa per l’osservatore. E allo stesso momento rappresenta la capacità di vivere in equilibrio e armonia con se stessi e con il mondo attorno, la capacità degli elementi della natura di coesistere e agire in sinergia».
Con la sua opera pone l’accento non tanto sull’essere umano che sottrae spazio alla natura, quanto più sul momento in cui la natura si rappropria di questo spazio. Come considera questa relazione fra uomo e natura?
MT «Trovo sia importante oggi dare enfasi a un racconto della realtà che non metta in antitesi questi due protagonisti della storia, ma sottolinei invece che non sono affatto distinti, che l’essere umano è parte di un’identità, quella naturale, complessa e molteplice. In NumberFourteen provano a coesistere tutte queste facce della natura, la forza comunicativa di quest’opera, letta nel contesto di “Lentē, paesaggi domestici” a mio avviso, non sta tanto nella magia del germoglio o nella sua forza esplosiva, quanto nel momento del “durante”, nel tentativo di coesistere del germoglio con la pietra, nella generosità dell’individuo che non vuole dominare ciò che crea ma, invece, si meraviglia nel vederlo scomparire».
Cloe Berni, il cuore della mostra “Lentē, paesaggi domestici” è la micro-architettura che avete creato al centro dell’ambiente principale, di cosa si tratta?
«La parola latina “lentē” significa lentamente, è un invito a ridurre il passo, a fermarsi ed esplorare con calma la dimensione domestica, per dedicare maggiore attenzione allo spazio che oggi per antonomasia definisce la qualità della nostra vita. In questo primo appuntamento, la Terra è al centro del percorso espositivo, è origine. Guidate da questo concept, insieme all’architetto Francesca Nardis, abbiamo disegnato una piccola stanza aperta sulla sommità. L’involucro esterno ha superfici bianche e pure mentre al suo interno ci si ritrova avvolti da pareti curve, sulle quali è intervenuta Isabella Breda, con una lavorazione in terra cruda. Questa micro-architettura rappresenta il nostro nucleo della Terra, nel quale rallentare e percepire, un’immersione nel suono, nell’odore e nella materia».
Quando nasce Sinopia Landscape e qual è il centro della sua attività?
CB «SinopiaLandscape è lo studio di Architettura del Paesaggio interno alla Galleria Sinopia di Roma che dal 2011 si occupa della progettazione degli spazi esterni a diverse scale, dalla terrazza al giardino, dalla piazza al parco. Livia Ducoli e io abbiamo fondato SinopiaLandscape, conducendo nel corso degli anni una ricerca approfondita che ha unito sempre di più design e natura, puntando all’equilibrio tra elemento spontaneo e artificiale, in uno sviluppo armonioso del naturale e del fatto ad arte. Una diversa presa di coscienza progettuale, in questi anni ci ha spinte a indagare sempre di più “l’elemento naturale”, poiché esso determina il nostro benessere con una forza di cui siamo ancora troppo poco consapevoli».
La natura da sempre forma le nostre case attraverso i materiali, gli oggetti, nella mostra viene proposta una riflessione critica rispetto a quanto, nonostante questa presenza importante, venga data per scontata e sottovalutata. Che parte ha il verde nel ripensare gli spazi in cui viviamo?
CB «Gli spazi domestici sono oggi divenuti il nostro piccolo microcosmo. Livia Ducoli e io ci siamo chieste come far entrare in questi microcosmi individuali quell’armonia che solo la natura ci trasmette. Il nostro lavoro diventa, così, un percorso che sonda le tante possibilità di vivificare e dare energia agli interni grazie alla presenza della natura. Riusciamo a “portare il paesaggio” dentro il quotidiano attraverso l’arte, il design e la vegetazione, per farne apprezzare i dettagli e la forza, diventando spesso un ponte meditativo, un tramite con la bellezza senza tempo. Le piante sono piccole infinite architetture con colori, trame, dimensioni e profumi diversi, che, oltre alla loro funzione decorativa hanno effetti benefici, purificano l’aria dagli inquinanti e migliorano l’umore e la produttività. Il paesaggio inteso come unione tra uomo e natura può e deve essere il sentimento dell’abitare».