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Angiola Gatti – Avamposti
Nelle sue opere Angiola Gatti abita la possibilità di dickensoniana memoria, e ci avvolge in uno spazio che ascolta , ci interroga sul pensiero del mondo e sul suo divenire
Comunicato stampa
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L’altro giorno - ho perso
un mondo - qualcuno lo ha trovato?
Emily Dickinson, Silenzi
Nelle sue opere Angiola Gatti abita la possibilità di dickensoniana memoria, e ci avvolge in uno spazio che ascolta , ci interroga sul pensiero del mondo e sul suo divenire. Ma Angiola abita anche lo stupore di Alice che nella tana del coniglio scende giù e giù e giù senza invocare aiuto o alcun tipo di protezione. Nel bianco di queste possibilità, la mano dell’artista si immerge e inizia una caduta senza punti d’appoggio. E’ nel tempo della caduta che Angiola traccia percorsi e pensieri infiniti che ci invitano a immergeci ancora, è in quella stessa caduta che compare solo qualche appiglio comunque irraggiungibile.
Cadendo Angiola rimane solo stupita di ciò che accade e poco importa se quello che si è visto sia logico o narrabile quando la mano dell’artista è già più in là, in un altro punto sulla tela.
I suoi lavori sono forme, fitte o rade, intrecci, percorsi nel quale l’artista sceglie di entrare, e con lei noi, e porsi quasi come uno spettatore che dal di dentro osserva -con la sola consapevolezza di non riuscire a definirlo mai- come quel luogo della mente si modifica e muta.
Nel 1992 Angiola inizia a lavorare al ciclo, non ancora concluso, delle biro. Tele di grandi dimensioni riempite - quasi a strabordare – di linee spezzate e continue, di intrecci e sovrapposizioni talvolta interrotti solo da piccole fessure nelle quali si intravede la trama della tela. Più del senso, questi gomitoli stretti, queste ardite pareti ci suggeriscono un atteggiamento, un’esperienza conoscitiva perseguita con uno dei gesti più ordinari: una mano che disegna con una biro.
Eppure da un gesto così consueto si dipanano pensieri mobili, memorie fluide, tempi circolari che iniziano e poi continuano e invadono, si allargano e passano oltre, ad un'altra tela o foglio o sensazione o immagine dello sguardo, un non finito infinito nel quale Angiola ci porta e ci invita a stare. Attraverso questo groviglio di senso, talvolta si aprono spazi, possibilità dove poter entrare – forse solo per il tempo breve di un respiro o per un passo veloce, più in là, verso un possibile nuovo percorso, solo nel tempo che è un attimo-; per poi tornare a tessere l’intrico fitto dei pensieri.
…
Come seguendo un ritmo Angiola decide di inserire nel nulla che è la tela solo brevi segnali, altre possibilità, micro-costruzioni, micro-architetture che appaiono come presenze temporanee e sospese. Ci sono anche memorie dello sguardo e ricordi della pittura, per quanto riguarda l’arte moderna non piu’ contemporanea Angiola mi ha scritto un elenco di nomi: “Henry Michaux, Barnett Newman, Malevitch, soprattutto quello del suprematismo più polifonico, Kandinsky -soprattutto quello degli anni Venti- Klee, Braque, Boccioni, Burri, ma potrebbero essere anche altri…”, momenti di luce come negli spazi lasciati bianchi della serie delle biro.
Alle trame dei pensieri che di continuo si sommano e modificano, Angiola sostituisce qui l’apparizione di brevi suoni – o ancore, o punti cardinali, o isole - che ci aiutano nell’orientamento. E come la luce proiettata da un faro che gira lenta, nello spazio della tela che è vuoto e bianco (e nel quale ci si può perdere) quelle luci appaiono e scompaiono. E la luce diventa ombra.
Era piuttosto una musica che si sarebbe dovuta scrivere in note. Il mare leggermente increspato lambiva e portava le figure di ghiaccio come un ritmo, e anch’esse, come suoni, possedevano un’armonia, sebbene fossero un poco angolose e frammentate. Ma davano un’impressione di calma e di eternità…”.
Sten Nadolny, La scoperta della lentezza
Lisa Parola
un mondo - qualcuno lo ha trovato?
Emily Dickinson, Silenzi
Nelle sue opere Angiola Gatti abita la possibilità di dickensoniana memoria, e ci avvolge in uno spazio che ascolta , ci interroga sul pensiero del mondo e sul suo divenire. Ma Angiola abita anche lo stupore di Alice che nella tana del coniglio scende giù e giù e giù senza invocare aiuto o alcun tipo di protezione. Nel bianco di queste possibilità, la mano dell’artista si immerge e inizia una caduta senza punti d’appoggio. E’ nel tempo della caduta che Angiola traccia percorsi e pensieri infiniti che ci invitano a immergeci ancora, è in quella stessa caduta che compare solo qualche appiglio comunque irraggiungibile.
Cadendo Angiola rimane solo stupita di ciò che accade e poco importa se quello che si è visto sia logico o narrabile quando la mano dell’artista è già più in là, in un altro punto sulla tela.
I suoi lavori sono forme, fitte o rade, intrecci, percorsi nel quale l’artista sceglie di entrare, e con lei noi, e porsi quasi come uno spettatore che dal di dentro osserva -con la sola consapevolezza di non riuscire a definirlo mai- come quel luogo della mente si modifica e muta.
Nel 1992 Angiola inizia a lavorare al ciclo, non ancora concluso, delle biro. Tele di grandi dimensioni riempite - quasi a strabordare – di linee spezzate e continue, di intrecci e sovrapposizioni talvolta interrotti solo da piccole fessure nelle quali si intravede la trama della tela. Più del senso, questi gomitoli stretti, queste ardite pareti ci suggeriscono un atteggiamento, un’esperienza conoscitiva perseguita con uno dei gesti più ordinari: una mano che disegna con una biro.
Eppure da un gesto così consueto si dipanano pensieri mobili, memorie fluide, tempi circolari che iniziano e poi continuano e invadono, si allargano e passano oltre, ad un'altra tela o foglio o sensazione o immagine dello sguardo, un non finito infinito nel quale Angiola ci porta e ci invita a stare. Attraverso questo groviglio di senso, talvolta si aprono spazi, possibilità dove poter entrare – forse solo per il tempo breve di un respiro o per un passo veloce, più in là, verso un possibile nuovo percorso, solo nel tempo che è un attimo-; per poi tornare a tessere l’intrico fitto dei pensieri.
…
Come seguendo un ritmo Angiola decide di inserire nel nulla che è la tela solo brevi segnali, altre possibilità, micro-costruzioni, micro-architetture che appaiono come presenze temporanee e sospese. Ci sono anche memorie dello sguardo e ricordi della pittura, per quanto riguarda l’arte moderna non piu’ contemporanea Angiola mi ha scritto un elenco di nomi: “Henry Michaux, Barnett Newman, Malevitch, soprattutto quello del suprematismo più polifonico, Kandinsky -soprattutto quello degli anni Venti- Klee, Braque, Boccioni, Burri, ma potrebbero essere anche altri…”, momenti di luce come negli spazi lasciati bianchi della serie delle biro.
Alle trame dei pensieri che di continuo si sommano e modificano, Angiola sostituisce qui l’apparizione di brevi suoni – o ancore, o punti cardinali, o isole - che ci aiutano nell’orientamento. E come la luce proiettata da un faro che gira lenta, nello spazio della tela che è vuoto e bianco (e nel quale ci si può perdere) quelle luci appaiono e scompaiono. E la luce diventa ombra.
Era piuttosto una musica che si sarebbe dovuta scrivere in note. Il mare leggermente increspato lambiva e portava le figure di ghiaccio come un ritmo, e anch’esse, come suoni, possedevano un’armonia, sebbene fossero un poco angolose e frammentate. Ma davano un’impressione di calma e di eternità…”.
Sten Nadolny, La scoperta della lentezza
Lisa Parola
22
ottobre 2005
Angiola Gatti – Avamposti
Dal 22 ottobre al 27 novembre 2005
arte contemporanea
Location
CESAC – CENTRO SPERIMENTALE PER LE ARTI CONTEMPORANEE – IL FILATOIO
Caraglio, Via Giacomo Matteotti, 40, (Cuneo)
Caraglio, Via Giacomo Matteotti, 40, (Cuneo)
Orario di apertura
venerdì e sabato 15–19,30; domenica 10–19,30
Vernissage
22 Ottobre 2005, ore 16
Autore
Curatore



