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Assenze
Fotografie, dipinti e installazioni
Comunicato stampa
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"Il Desiderio è la Presenza di un'Assenza"
Alexadre Kojève
Quando avvertiamo una mancanza, un vuoto, stiamo desiderando qualcosa.
E' ciò che nobilita l'uomo dalla bestia (se di nobilitazione si può parlare):
la consapevolezza di una mancanza, e la ricerca continua e incessante di colmarla.
Scopo di questa esposizione è dimostrare quanto l'assenza sia parte innegabile del
nostro quotidiano e quanto essa sia in grado di sviscerare con potenza
alcune nostre reazioni emotive.
I dipinti di Mirco Marcacci rivelano delle figure che sono proiettate "dentro".
Hanno lo sguardo fisso di chi consepevole della finzione che lo circonda
preferisce bendarsi gli occhi e cercare la verità che c'è in se stesso.
Esse sono accanto a noi eppure distanti,
sono presenti eppure assenti. Sembrano inafferrabili.
Il loro aspetto fisico è plasmato dal dubbio, dalle frustrazioni che battono con
potenza dall'interno sulle pareti del corpo decretandone la forma.
Sono incapaci di urlare ciò che è assente e ne sono inghiottite.
Al centro della sua espressione artistica c'è l'uomo, nella sua inalienabile individualità.
Luci puntate sull'uomo anche nei dipinti di Andrea Tudini.
Il suo obiettivo non è riprodurre la realtà, ma darle una sensazione, e lo fa scegliendo
situazioni in cui non c'è nulla da raccontare, ma qualcosa da esperire.
E' uno studio sull'attesa il suo, che dai luoghi fisici si sposta all'attendere
infinito della vita.
Egli parte dalla rappresentazione di persone che attendono alla stazione, in una
dimensione di stand-by, in una condizione di assenza, ma tali sensazioni evocate possono
essere riferite a qualsiasi situazione di straniamento. Aspettiamo che arrivi il treno,
la grande occasione della nostra vita, e nel frattempo rimaniamo sospesi,
perchè il tempo dell'attesa non vale la pena di essere vissuto. Allora perdiamo
colore, connotati, diventiamo sagome senza una identità. Assenti.
Simili ma non accomunabili, non riconoscibili l'uno con l'altro.
Sono donne senza volto quelle di Giorgia Torlone.
La loro identità, è scomparsa, si è disciolta come il resto del corpo.
Sottoposte ad uno strano fenomeno di sgonfiamento, di arresa alla forza di gravità,
queste donne sono una di fronte l'altra mentre attendono la loro sorte.
Sembrano guardarsi, ma non hanno occhi. Bocca, naso, mani sono stati recisi.
Mancano tutti i sensi che permettono di reagire. Sono rimaste solo le orecchie,
strumento di ascolto, di ricezione di ordini, di sentenze.
I seni, i glutei, simbolo di un antico fascino, di una perduta potenza sensuale,
sono prosciugati. Attestano l'arrivo della fine.
Eppure i colori così caldi, così coinvolgenti testimoniano che il processo è ancora in atto,
che potrebbe esserci una soluzione. Una nova vita che sorge dalla decomposizione
come nel ciclo della natura. Quello che importa per ora, è salvare le apparenze, dare
un contegno ed una forza al proprio dolore, sopportare con dignità, come solo una donna sa fare.
Il collo eretto, le braccia lungo i fianchi , i piedi in posizione di danza.
Coesistenza materiale.
Le figure di Gianluca Nonne, sono sedute su delle sedie, nell'atto di aspettare.
Sono intrappolate in un groviglio di segni. Hanno lo sguardo fisso verso l'esterno come di chi,
ancora stordito per l'avvenimento accaduto cerca conforto e aiuto da qualcuno o qualcosa
al di fuori di sè. I segni, istintivi e incontrollabili, che le imprigionano nella piattezza del foglio,
ne succhiano l'essenza. Mentre le figure rivelano la loro fragilità, le linee emanano energia.
Coglie un processo di astrazione in divenire, una progressiva smaterializzazione, attraverso
una tecnica molto fisica, l'incisione, ricercandone la resistenza, l'incontrollabilità.
Come può una fotografia rappresentare l'assenza?
Servendosi dell'occho meccanico, l'uomo riesce a scoprire nella realtà aspetti che mai avrebbe
considerato ad occhio nudo.
Tra i soggetti di Gianmario Stuppello ci sono le architetture.
Concepite dall'uomo per l'uomo esse sono inutili senza persone che le abitano, che le riempono.
Prive di abitanti esse diventano come degli enormi oggetti vuoti, sculture cave che si abitano di suoni
che rivelano una presenza.
Una scala, simbolo per eccellenza di transizione, di passaggio, è invece colta in assenza
di movimento, di vita, e vista di Gianmario diventa un enorme occhio che guarda fuori verso lo spettatore,
e lo attende.
Anche Francesca Cucchiarelli guarda il mondo attraverso la macchina fotografica, e ne coglie
il sapore malinconico. Quel sapore da dopo spettacolo che tanto la interessa, quando la
rappresentazione si è appena conclusa, gli artisti hanno tolto i panni di scena e restano solo le
luci del palco da spegnere. Luci che ci proiettano ombre, quelle delle sedie, vuote.
Appena abbandonate dal pubblico, che durante il tempo della danza era lì seduto fisicamente
ma proiettato con la fantasia sul palcoscenico a volteggiare insieme agli attori-danzatori, a vivere
vite diverse. Vuote, appena abbandonate dagli attori che guardandosi allo specchio hanno tolto
la maschere di scena e indossato le vesti quotidiane.
La concezione negativa del vuoto è tipicamente occidentale. Nelle religioni orientali il vuoto è fermento,
potenza generatrice, quello che troviamo nei dipinti di Gianluca Menegon.
I suoi segni sono frutto di uno straripamento di energia, è tensione che si accumula, è colore che prende vita.
Musica. E proprio come nella musica ci sono i tempi da rispettare, le pause.
Tutto deve essere contenuto nel pentagramma. Pur essendo la sua una pittura di gesto, egli la tempera con
un innato istinto di equilbrio. Il caos generato dai suoi segni, raggiunge entro i bordi della tela un ordine.
Francesca Sciattella lavora sulle "sincronie".
Termine solitamente attribuito al tempo, esso diviene baluardo di
emozioni comparate attraverso il colore, come l'artista stessa spiega:
"Il colore è piatto, a volte rarefatto,
Insieme i colori cercano una loro vibrazione luminosa, una sincronia,
Che vibra alla ricerca di un equilibrio compositivo.
La composizione è creata dai colori disposti come moduli.
Il segno è assente. L’inconscio diventa simbolo,
E la sensazione è la forma espressiva che fluttua e percorre la tela.
I colori, a volte contrastanti,
Sono stesi creando sincronie cromatiche sviluppate nella verticalizzazione.
Il gesto è spirito istintivo,
Ma allo stesso tempo logico che scaturisce la formazione del quadro.
Davanti ai dipinti di Alessandra Cerini non abbiamo dubbi che ciò che essa dipinge è l'uomo.
L'uomo nella sua parte più viva, più arcana, più misteriosa eppure più spettacolare.
I sentimenti, le pulsazioni, raccontate attraverso il linguaggio universale del colore.
Alessandra ci propone una immersione nell'universo Antropomorfo, ci chiede di non
fermarci alle apparenze e di provare ad ascoltare con la vista tutto quanto le sue tele
hanno da raccontarci, memorie, passioni, esperienze, desideri.
E' una visione ravvicinata, una penetrazione in un cosmo che spesso per mancanza di tempo
dimentichiamo di possdere. "Antropomorfismi", "a forma d'uomo" , sono espressione di una passione
inestinguibile per la vita, per tutto ciò che non si vede che sembre assente, ma che attaverso la
sensibilità dell'artista diventa prepotentemente presente,manifesto di vita.
Installazione di Fabiola Liberati.
Marianna Cozzuto
Alexadre Kojève
Quando avvertiamo una mancanza, un vuoto, stiamo desiderando qualcosa.
E' ciò che nobilita l'uomo dalla bestia (se di nobilitazione si può parlare):
la consapevolezza di una mancanza, e la ricerca continua e incessante di colmarla.
Scopo di questa esposizione è dimostrare quanto l'assenza sia parte innegabile del
nostro quotidiano e quanto essa sia in grado di sviscerare con potenza
alcune nostre reazioni emotive.
I dipinti di Mirco Marcacci rivelano delle figure che sono proiettate "dentro".
Hanno lo sguardo fisso di chi consepevole della finzione che lo circonda
preferisce bendarsi gli occhi e cercare la verità che c'è in se stesso.
Esse sono accanto a noi eppure distanti,
sono presenti eppure assenti. Sembrano inafferrabili.
Il loro aspetto fisico è plasmato dal dubbio, dalle frustrazioni che battono con
potenza dall'interno sulle pareti del corpo decretandone la forma.
Sono incapaci di urlare ciò che è assente e ne sono inghiottite.
Al centro della sua espressione artistica c'è l'uomo, nella sua inalienabile individualità.
Luci puntate sull'uomo anche nei dipinti di Andrea Tudini.
Il suo obiettivo non è riprodurre la realtà, ma darle una sensazione, e lo fa scegliendo
situazioni in cui non c'è nulla da raccontare, ma qualcosa da esperire.
E' uno studio sull'attesa il suo, che dai luoghi fisici si sposta all'attendere
infinito della vita.
Egli parte dalla rappresentazione di persone che attendono alla stazione, in una
dimensione di stand-by, in una condizione di assenza, ma tali sensazioni evocate possono
essere riferite a qualsiasi situazione di straniamento. Aspettiamo che arrivi il treno,
la grande occasione della nostra vita, e nel frattempo rimaniamo sospesi,
perchè il tempo dell'attesa non vale la pena di essere vissuto. Allora perdiamo
colore, connotati, diventiamo sagome senza una identità. Assenti.
Simili ma non accomunabili, non riconoscibili l'uno con l'altro.
Sono donne senza volto quelle di Giorgia Torlone.
La loro identità, è scomparsa, si è disciolta come il resto del corpo.
Sottoposte ad uno strano fenomeno di sgonfiamento, di arresa alla forza di gravità,
queste donne sono una di fronte l'altra mentre attendono la loro sorte.
Sembrano guardarsi, ma non hanno occhi. Bocca, naso, mani sono stati recisi.
Mancano tutti i sensi che permettono di reagire. Sono rimaste solo le orecchie,
strumento di ascolto, di ricezione di ordini, di sentenze.
I seni, i glutei, simbolo di un antico fascino, di una perduta potenza sensuale,
sono prosciugati. Attestano l'arrivo della fine.
Eppure i colori così caldi, così coinvolgenti testimoniano che il processo è ancora in atto,
che potrebbe esserci una soluzione. Una nova vita che sorge dalla decomposizione
come nel ciclo della natura. Quello che importa per ora, è salvare le apparenze, dare
un contegno ed una forza al proprio dolore, sopportare con dignità, come solo una donna sa fare.
Il collo eretto, le braccia lungo i fianchi , i piedi in posizione di danza.
Coesistenza materiale.
Le figure di Gianluca Nonne, sono sedute su delle sedie, nell'atto di aspettare.
Sono intrappolate in un groviglio di segni. Hanno lo sguardo fisso verso l'esterno come di chi,
ancora stordito per l'avvenimento accaduto cerca conforto e aiuto da qualcuno o qualcosa
al di fuori di sè. I segni, istintivi e incontrollabili, che le imprigionano nella piattezza del foglio,
ne succhiano l'essenza. Mentre le figure rivelano la loro fragilità, le linee emanano energia.
Coglie un processo di astrazione in divenire, una progressiva smaterializzazione, attraverso
una tecnica molto fisica, l'incisione, ricercandone la resistenza, l'incontrollabilità.
Come può una fotografia rappresentare l'assenza?
Servendosi dell'occho meccanico, l'uomo riesce a scoprire nella realtà aspetti che mai avrebbe
considerato ad occhio nudo.
Tra i soggetti di Gianmario Stuppello ci sono le architetture.
Concepite dall'uomo per l'uomo esse sono inutili senza persone che le abitano, che le riempono.
Prive di abitanti esse diventano come degli enormi oggetti vuoti, sculture cave che si abitano di suoni
che rivelano una presenza.
Una scala, simbolo per eccellenza di transizione, di passaggio, è invece colta in assenza
di movimento, di vita, e vista di Gianmario diventa un enorme occhio che guarda fuori verso lo spettatore,
e lo attende.
Anche Francesca Cucchiarelli guarda il mondo attraverso la macchina fotografica, e ne coglie
il sapore malinconico. Quel sapore da dopo spettacolo che tanto la interessa, quando la
rappresentazione si è appena conclusa, gli artisti hanno tolto i panni di scena e restano solo le
luci del palco da spegnere. Luci che ci proiettano ombre, quelle delle sedie, vuote.
Appena abbandonate dal pubblico, che durante il tempo della danza era lì seduto fisicamente
ma proiettato con la fantasia sul palcoscenico a volteggiare insieme agli attori-danzatori, a vivere
vite diverse. Vuote, appena abbandonate dagli attori che guardandosi allo specchio hanno tolto
la maschere di scena e indossato le vesti quotidiane.
La concezione negativa del vuoto è tipicamente occidentale. Nelle religioni orientali il vuoto è fermento,
potenza generatrice, quello che troviamo nei dipinti di Gianluca Menegon.
I suoi segni sono frutto di uno straripamento di energia, è tensione che si accumula, è colore che prende vita.
Musica. E proprio come nella musica ci sono i tempi da rispettare, le pause.
Tutto deve essere contenuto nel pentagramma. Pur essendo la sua una pittura di gesto, egli la tempera con
un innato istinto di equilbrio. Il caos generato dai suoi segni, raggiunge entro i bordi della tela un ordine.
Francesca Sciattella lavora sulle "sincronie".
Termine solitamente attribuito al tempo, esso diviene baluardo di
emozioni comparate attraverso il colore, come l'artista stessa spiega:
"Il colore è piatto, a volte rarefatto,
Insieme i colori cercano una loro vibrazione luminosa, una sincronia,
Che vibra alla ricerca di un equilibrio compositivo.
La composizione è creata dai colori disposti come moduli.
Il segno è assente. L’inconscio diventa simbolo,
E la sensazione è la forma espressiva che fluttua e percorre la tela.
I colori, a volte contrastanti,
Sono stesi creando sincronie cromatiche sviluppate nella verticalizzazione.
Il gesto è spirito istintivo,
Ma allo stesso tempo logico che scaturisce la formazione del quadro.
Davanti ai dipinti di Alessandra Cerini non abbiamo dubbi che ciò che essa dipinge è l'uomo.
L'uomo nella sua parte più viva, più arcana, più misteriosa eppure più spettacolare.
I sentimenti, le pulsazioni, raccontate attraverso il linguaggio universale del colore.
Alessandra ci propone una immersione nell'universo Antropomorfo, ci chiede di non
fermarci alle apparenze e di provare ad ascoltare con la vista tutto quanto le sue tele
hanno da raccontarci, memorie, passioni, esperienze, desideri.
E' una visione ravvicinata, una penetrazione in un cosmo che spesso per mancanza di tempo
dimentichiamo di possdere. "Antropomorfismi", "a forma d'uomo" , sono espressione di una passione
inestinguibile per la vita, per tutto ciò che non si vede che sembre assente, ma che attaverso la
sensibilità dell'artista diventa prepotentemente presente,manifesto di vita.
Installazione di Fabiola Liberati.
Marianna Cozzuto
17
giugno 2006
Assenze
Dal 17 giugno al 05 luglio 2006
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
GALLERIA LA MIMOSA – PALAZZO CAETANI
Cisterna Di Latina, Piazza 19 Marzo, (Latina)
Cisterna Di Latina, Piazza 19 Marzo, (Latina)
Orario di apertura
Feriali 17.00/20.00
Festivi 10.00/13.00 - 17.00/20.00
Vernissage
17 Giugno 2006, ore 18
Autore
Curatore