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Cristiana Pucci – I segni di ieri
Personale
Comunicato stampa
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CRISTIANA PUCCI, o della MEMORIA SIMBOLICA
La verità non può venire al mondo nuda anzi è venuta nei simboli e nelle figure. C’è una rinascita, e c’è una rinascita in figure. In verità essi dovranno rinascere in grazia della figura.
Vangelo di Filippo
Interferenza e transizione, qualità della memoria insieme con la sovrimpressione di impronte e tracce di immagini, di sensazioni, di fraintendimenti, di crasi debite ed indebite, sembrano essere alcune delle categorie che sottendono alla pittura di Cristiana Pucci. Una memoria sintetica, che rielabora le funzioni simboliche di differenti codici, da quello cromatico , all’iconico, al materico, che si concretizza in opere evocative ed allusive, fittamente stratificate, criptiche. Esse invitano lo spettatore ad affinare il suo armamentario analitico, il suo repertorio di memorie archetipali per confrontarle con le allusive composizioni dell’artista.
La risonanza è ricercata ad un livello subliminale, non tanto a quello razionale, caratterizzando la fruizione delle opere come un transfert emozionale di paesaggi, luci ed ombre.
I riferimenti ad una poetica archetipale risultano più chiari ricordando come la formazione teorica dell’artista conti studi di natura iconologia e simbolica .
In questo spazio ancestrale l’artista rifonde, com’è giusto attendersi, la sua esperienza e la sua biografia.
Nata in Versilia, forme e colori della sua terra si affacciano nel denso cromatismo come memorie evocate è il caso [delle opere riportate a pag. 31 e 33] donne-monti che evocano i profili delle Alpi Apuane e la prima nelle vibrazioni del bianco riporta al marmo delle cave.
Ma [l’opera di pag. 33] attiva risonanze differenti, evocando una monumentale figura femminile luminosa, immersa nel buio-utero-notte e scandagliando, sotto di sé le profondità del suolo… è forse una Grande Madre, una meditazione della-sulla Notte, di una deità femminile perduta nella memoria? Le pieghe della vallata in [pag. 43] sembrano un paesaggio epidermico…
Dal punto di vista stilistico, l’artista si muove in un filone che, attraverso la figura di Carlo Mattioli, è inserita in un clima di sperimentalismo post-informale. Già Mattioli, amico e maestro sell’artista, aveva sfruttato la scomposizione delle forme, le interferenze cromatiche della stagione aniconica per ricomporre sfocate ed arcane vedute paesaggistiche, figurative ed astratte nel contempo. La valenza archetipale del risultato è evidenziata da Carlo Trevisan relativamente alla personale di Mattioli del 1993, a Pietrasanta, nella Chiesa di Sant’Agostino : “…le grandi tele di Mattioli ritraevano singoli alberi, boschi e paesaggi campestri. Esisteva qualcosa di magico in quelle opere, una invisibile essenza che andava oltre la rappresentazione pittorica…venni rapito dall’incantesimo di quei grandi quadri. Iniziò un intimo colloquio con loro, con i remoti spiriti della natura, con me stesso, con la dimensione umana”.
Pucci riprende motivi e tratti del maestro, negli orizzonti elevati, negli alberi-nuvola e le Aigues mortes (1977-79) di Mattioli rinviano a Pucci, in una sorta di omaggio-ricordo. Il formato verticale di molte opere, prediletto da entrambi, fa pensare a suggestioni dall’arte orientale.
Tra aniconismo e figurale – ma nel senso introdotto da Eric Auerbach nei suoi celebri saggi danteschi, di descrizione fattuale e simbologia intimamente connesse – è rifusa da Cristiana Pucci l’esperienza informale.
Il colore si fa però più fluido, più brumoso, in occasione di quello che definiremmo un dialogo tutto personale con J.M.W.Turner, assumendone i toni elegiaci nella rarefazione delle atmosfere celesti e/o terrestri. Prendiamo ad esempio Cielo al tramonto, l’acquerello della Tate Britain di Londra, datato tra 1825 e 1830. Qui Turner concede al tramonto metà della superficie pittorica. “È un effetto magnifico – commenta Ian Warrell – creato dai colori che si avvicendano e si modificano con minuscole variazioni, che si estende fino al bordo superiore della tela…allo spettatore viene chiesto di immaginarsi che la tela abbracci un’ampia fetta di cielo, poiché sulla sinistra si intravede la pallida ombra della luna che sorge”. E la singolare rilettura dell’artista si evidenzia nei monocromi riverberanti, dove la vibrazione della superficie pittorica ha l’enigma dell’evoluzione nella stasi, ritraendo il transito, quell’evoluzione interna della riflessione, che non è progresso o involuzione tout-court, ma l’aggiustamento posturale continuo della mente, definito magistralmente da Mario Perniola in un saggio del 1998.
Pucci aggiunge la variabile della matericità alle sue superfici pittoriche,pur rispettandone i valori bidimensionali, sfruttando tecniche miste su supporti storici coma le tela e la tavola – un’altra sintesi, un altro transito – riportando alla memoria esperienze più classicamente legate all’Informale storico. Le superfici granulose delle sue opere e ruvide osservate in luce radente si arricchiscono ulteriormente di suggestioni emotive.
Ma neanche un Ottone Rosai rimane assente dalla grammatica compositiva dell’artista. A sorpresa, oltre le variazioni armoniche dei monocromi, alle graduali transizioni, alle suggestive opposizioni luce-ombra, presentano squillanti mosaici di colori stridenti, beffardi e acidi, come inquietanti termografie in colori artificiali, esami clinici di un organismo – la nostra psiche? – forse malato di inquietanti malattie sconosciute e proliferanti.
Se è vero che la sensibilità umana è il nostro unico canale di comunicazione con l’universo e che se si riesce a ad aumentare la capacità di questo canale, la conoscenza dell’universo si allargherà in misura equivalente, e anche vero che, come spiega George Kubler , le emozioni assolvono le funzioni di una valvola principale nel circuito tra noi e l’universo.
Allora la pittura di Pucci può essere interpretata come una guida, conscia e inconscia, che fatta entrare dagli occhi procede verso l’emotività, dove incuba e da cui trae nuova spinta per riprendere l’incessante viaggio attraverso la memoria collettiva e individuale, la cui continua narrazione è una delle poche strade per la comprensione dell’umana condizione, e del suo inesplicabile fondo di bellezza.
GIOVANNA M. CARLI
Storico dell’arte, critico
La verità non può venire al mondo nuda anzi è venuta nei simboli e nelle figure. C’è una rinascita, e c’è una rinascita in figure. In verità essi dovranno rinascere in grazia della figura.
Vangelo di Filippo
Interferenza e transizione, qualità della memoria insieme con la sovrimpressione di impronte e tracce di immagini, di sensazioni, di fraintendimenti, di crasi debite ed indebite, sembrano essere alcune delle categorie che sottendono alla pittura di Cristiana Pucci. Una memoria sintetica, che rielabora le funzioni simboliche di differenti codici, da quello cromatico , all’iconico, al materico, che si concretizza in opere evocative ed allusive, fittamente stratificate, criptiche. Esse invitano lo spettatore ad affinare il suo armamentario analitico, il suo repertorio di memorie archetipali per confrontarle con le allusive composizioni dell’artista.
La risonanza è ricercata ad un livello subliminale, non tanto a quello razionale, caratterizzando la fruizione delle opere come un transfert emozionale di paesaggi, luci ed ombre.
I riferimenti ad una poetica archetipale risultano più chiari ricordando come la formazione teorica dell’artista conti studi di natura iconologia e simbolica .
In questo spazio ancestrale l’artista rifonde, com’è giusto attendersi, la sua esperienza e la sua biografia.
Nata in Versilia, forme e colori della sua terra si affacciano nel denso cromatismo come memorie evocate è il caso [delle opere riportate a pag. 31 e 33] donne-monti che evocano i profili delle Alpi Apuane e la prima nelle vibrazioni del bianco riporta al marmo delle cave.
Ma [l’opera di pag. 33] attiva risonanze differenti, evocando una monumentale figura femminile luminosa, immersa nel buio-utero-notte e scandagliando, sotto di sé le profondità del suolo… è forse una Grande Madre, una meditazione della-sulla Notte, di una deità femminile perduta nella memoria? Le pieghe della vallata in [pag. 43] sembrano un paesaggio epidermico…
Dal punto di vista stilistico, l’artista si muove in un filone che, attraverso la figura di Carlo Mattioli, è inserita in un clima di sperimentalismo post-informale. Già Mattioli, amico e maestro sell’artista, aveva sfruttato la scomposizione delle forme, le interferenze cromatiche della stagione aniconica per ricomporre sfocate ed arcane vedute paesaggistiche, figurative ed astratte nel contempo. La valenza archetipale del risultato è evidenziata da Carlo Trevisan relativamente alla personale di Mattioli del 1993, a Pietrasanta, nella Chiesa di Sant’Agostino : “…le grandi tele di Mattioli ritraevano singoli alberi, boschi e paesaggi campestri. Esisteva qualcosa di magico in quelle opere, una invisibile essenza che andava oltre la rappresentazione pittorica…venni rapito dall’incantesimo di quei grandi quadri. Iniziò un intimo colloquio con loro, con i remoti spiriti della natura, con me stesso, con la dimensione umana”.
Pucci riprende motivi e tratti del maestro, negli orizzonti elevati, negli alberi-nuvola e le Aigues mortes (1977-79) di Mattioli rinviano a Pucci, in una sorta di omaggio-ricordo. Il formato verticale di molte opere, prediletto da entrambi, fa pensare a suggestioni dall’arte orientale.
Tra aniconismo e figurale – ma nel senso introdotto da Eric Auerbach nei suoi celebri saggi danteschi, di descrizione fattuale e simbologia intimamente connesse – è rifusa da Cristiana Pucci l’esperienza informale.
Il colore si fa però più fluido, più brumoso, in occasione di quello che definiremmo un dialogo tutto personale con J.M.W.Turner, assumendone i toni elegiaci nella rarefazione delle atmosfere celesti e/o terrestri. Prendiamo ad esempio Cielo al tramonto, l’acquerello della Tate Britain di Londra, datato tra 1825 e 1830. Qui Turner concede al tramonto metà della superficie pittorica. “È un effetto magnifico – commenta Ian Warrell – creato dai colori che si avvicendano e si modificano con minuscole variazioni, che si estende fino al bordo superiore della tela…allo spettatore viene chiesto di immaginarsi che la tela abbracci un’ampia fetta di cielo, poiché sulla sinistra si intravede la pallida ombra della luna che sorge”. E la singolare rilettura dell’artista si evidenzia nei monocromi riverberanti, dove la vibrazione della superficie pittorica ha l’enigma dell’evoluzione nella stasi, ritraendo il transito, quell’evoluzione interna della riflessione, che non è progresso o involuzione tout-court, ma l’aggiustamento posturale continuo della mente, definito magistralmente da Mario Perniola in un saggio del 1998.
Pucci aggiunge la variabile della matericità alle sue superfici pittoriche,pur rispettandone i valori bidimensionali, sfruttando tecniche miste su supporti storici coma le tela e la tavola – un’altra sintesi, un altro transito – riportando alla memoria esperienze più classicamente legate all’Informale storico. Le superfici granulose delle sue opere e ruvide osservate in luce radente si arricchiscono ulteriormente di suggestioni emotive.
Ma neanche un Ottone Rosai rimane assente dalla grammatica compositiva dell’artista. A sorpresa, oltre le variazioni armoniche dei monocromi, alle graduali transizioni, alle suggestive opposizioni luce-ombra, presentano squillanti mosaici di colori stridenti, beffardi e acidi, come inquietanti termografie in colori artificiali, esami clinici di un organismo – la nostra psiche? – forse malato di inquietanti malattie sconosciute e proliferanti.
Se è vero che la sensibilità umana è il nostro unico canale di comunicazione con l’universo e che se si riesce a ad aumentare la capacità di questo canale, la conoscenza dell’universo si allargherà in misura equivalente, e anche vero che, come spiega George Kubler , le emozioni assolvono le funzioni di una valvola principale nel circuito tra noi e l’universo.
Allora la pittura di Pucci può essere interpretata come una guida, conscia e inconscia, che fatta entrare dagli occhi procede verso l’emotività, dove incuba e da cui trae nuova spinta per riprendere l’incessante viaggio attraverso la memoria collettiva e individuale, la cui continua narrazione è una delle poche strade per la comprensione dell’umana condizione, e del suo inesplicabile fondo di bellezza.
GIOVANNA M. CARLI
Storico dell’arte, critico
01
giugno 2005
Cristiana Pucci – I segni di ieri
Dal primo al 14 giugno 2005
arte contemporanea
Location
PALAZZO PANCIATICHI
Firenze, Via Camillo Benso Conte Di Cavour, 2, (Firenze)
Firenze, Via Camillo Benso Conte Di Cavour, 2, (Firenze)
Orario di apertura
15-18 feriali e 9-12 il sabato
Vernissage
1 Giugno 2005, ore 12
Autore
Curatore


