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Daniela Boni – Toccaferro
Lampade, tavoli, applique, abat-jour, librerie, comodini, oggetti-sculture dai nomi bizzarri ed evocativi, caratterizzati da attitudine minimalista, ottima funzionalità e spiccato carattere, sono i lavori che Daniela Boni espone in questa sua mostra personale negli spazi di Catartica.
Comunicato stampa
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Il materiale comune a tutte le opere è il ferro: «Amo il ferro», scrive l'artista, «perché è un materiale durevole che si trasforma con le ossidazioni nel tempo e, a seconda del tipo di lavorazione, si sposa con ogni stile, epoca, ambiente
». Ed è proprio il ferro, metallo freddo, tutt'altro che nobile, lunare, pesante per antonomasia, "sporco", primordiale, che nelle mani dell'artista attraverso un elaborato processo creativo che lo accosta di volta in volta a legno, cuoio, vetro, cera o luce diventa materia viva, calore, poesia, leggerezza.
Sarebbe riduttivo definire l'insieme dei lavori con il termine design, perché l'artista, oltre a idearli e progettarli, realizza i suoi pezzi nel vero senso della parola, plasmando il ferro con l'ausilio di tutti gli attrezzi del mestiere di fabbro. La fusione tra grinta e dolcezza, e il contrasto che ne deriva, sono subito evidenti se si ha la fortuna di ascoltare Daniela Boni (prima dj donna apparsa sotto la mole) in pieno dj-set nei club della movida torinese, mentre intaglia delicate atmosfere chill-out con un raffinato repertorio di contaminazioni elettroniche dal retrogusto jazzato: il mezzo espressivo è differente, ma l'attitudine contraddittoria è la medesima.
L'artista-designer con le sue opere spiazza il fruitore e gioca, con l'evidente contrasto di cui si è detto, in maniera consapevolmente ironica (non a caso, la radice anglosassone è iron ), raggiungendo un risultato che di volta in volta delinea un carattere ben preciso per ogni pezzo, reso ancora più unico dall'intervento manuale. C'è la sacralità di CERCHIO, applique in ferro a forma di tondo schiacciato, trattato da Daniela Boni con grinta amorevole a colpi di flessibile e ossidazione, le cui venature a raggiera danno l'idea di una grande iride con pupilla centrale che scruta immobile il mondo circostante (qui esposto per la prima volta con un suggestivo intervento "vitreo" dell'artista pugliese Peppino Campanella); c'è la simpatia di PITU, piccola abat-jour ispirata alla forma di un pulcino diremmo un Calimero postmoderno in un allestimento che lo pone in compagnia di un'allegra famiglia di suoi simili capeggiati dall'immancabile cyber-chioccia; c'è il simbolismo di UOVO, in ferro spazzolato lucido (qui, composto da più elementi, viene esposto in versione lampadario) con una spaccatura da cui fa capolino una delicata luce bianca che diventa nascita e morte al tempo stesso; o, ancora, la monumentalità di TOTEM, severo e simmetrico monolito dal titolo eloquente, abilmente sdrammatizzato da due lampadine a finta-fiamma (mutuate dal trash inconsapevole anni Settanta) che brillano tremule in cima al parallelepipedo ferroso; oppure la pacatezza di ROBODINO, ibrido tra robot e comodino, contraddistinto dalle linee morbide e dalla forma compatta di un automa stilizzato che si muove sfiorando silenziosamente il pavimento, quasi in levitazione su un cuscino d'aria; c'è ancora il contrasto di TRIPODE, consolle dalla linea slanciata (realizzata in collaborazione con Noemi Dominici) in cui tre sottili gambe di ferro sostengono una fusione circolare di cera parzialmente trattata che contrappone la fisicità e la delicatezza dei due materiali utilizzati, dando vita ad un accostamento del tutto inedito ma di perfetta armonia; poi c'è l'irrequietezza di CIRCOLIBRO, una sorta di libreria-scultura in cui la struttura in ferro spazzolato di forma ellittica sostiene una serie di robuste mensole in larice trattato, con un risultato che evidenzia il conflitto sensoriale tra la tensione del piano e la sinuosità del curvato; fino ad arrivare all'eleganza di TULIPS, piantana in ferro trattato ruggine, composta da cinque tulipani stilizzati, ognuno caratterizzato da spaccature irregolari che ne rendono ancora più suggestiva la luminescenza.
Visti nell'insieme i pezzi della collezione rivelano la comune matrice, non solo per i materiali usati ma anche per una fisionomia che li fa apparire come un eterogeneo nucleo familiare cui è inscritto il codice genetico della stessa pro-creatrice. Ed è proprio questo il segreto di Daniela Boni: un'unica idea che prende forma lentamente attraverso la passione, l'esperienza, l'amore e lo scambio vicendevole derivante da ogni singolo lavoro nascente. Non una semplice azione meccanica, dunque, ma una vera e propria esigenza-di-creare che spinge costantemente l'artista quasi alchimista contemporaneo alla ricerca di una "pietra filosofale" che, anziché trasformare il metallo in oro, toccando il ferro gli conceda la vita.
Sarebbe riduttivo definire l'insieme dei lavori con il termine design, perché l'artista, oltre a idearli e progettarli, realizza i suoi pezzi nel vero senso della parola, plasmando il ferro con l'ausilio di tutti gli attrezzi del mestiere di fabbro. La fusione tra grinta e dolcezza, e il contrasto che ne deriva, sono subito evidenti se si ha la fortuna di ascoltare Daniela Boni (prima dj donna apparsa sotto la mole) in pieno dj-set nei club della movida torinese, mentre intaglia delicate atmosfere chill-out con un raffinato repertorio di contaminazioni elettroniche dal retrogusto jazzato: il mezzo espressivo è differente, ma l'attitudine contraddittoria è la medesima.
L'artista-designer con le sue opere spiazza il fruitore e gioca, con l'evidente contrasto di cui si è detto, in maniera consapevolmente ironica (non a caso, la radice anglosassone è iron ), raggiungendo un risultato che di volta in volta delinea un carattere ben preciso per ogni pezzo, reso ancora più unico dall'intervento manuale. C'è la sacralità di CERCHIO, applique in ferro a forma di tondo schiacciato, trattato da Daniela Boni con grinta amorevole a colpi di flessibile e ossidazione, le cui venature a raggiera danno l'idea di una grande iride con pupilla centrale che scruta immobile il mondo circostante (qui esposto per la prima volta con un suggestivo intervento "vitreo" dell'artista pugliese Peppino Campanella); c'è la simpatia di PITU, piccola abat-jour ispirata alla forma di un pulcino diremmo un Calimero postmoderno in un allestimento che lo pone in compagnia di un'allegra famiglia di suoi simili capeggiati dall'immancabile cyber-chioccia; c'è il simbolismo di UOVO, in ferro spazzolato lucido (qui, composto da più elementi, viene esposto in versione lampadario) con una spaccatura da cui fa capolino una delicata luce bianca che diventa nascita e morte al tempo stesso; o, ancora, la monumentalità di TOTEM, severo e simmetrico monolito dal titolo eloquente, abilmente sdrammatizzato da due lampadine a finta-fiamma (mutuate dal trash inconsapevole anni Settanta) che brillano tremule in cima al parallelepipedo ferroso; oppure la pacatezza di ROBODINO, ibrido tra robot e comodino, contraddistinto dalle linee morbide e dalla forma compatta di un automa stilizzato che si muove sfiorando silenziosamente il pavimento, quasi in levitazione su un cuscino d'aria; c'è ancora il contrasto di TRIPODE, consolle dalla linea slanciata (realizzata in collaborazione con Noemi Dominici) in cui tre sottili gambe di ferro sostengono una fusione circolare di cera parzialmente trattata che contrappone la fisicità e la delicatezza dei due materiali utilizzati, dando vita ad un accostamento del tutto inedito ma di perfetta armonia; poi c'è l'irrequietezza di CIRCOLIBRO, una sorta di libreria-scultura in cui la struttura in ferro spazzolato di forma ellittica sostiene una serie di robuste mensole in larice trattato, con un risultato che evidenzia il conflitto sensoriale tra la tensione del piano e la sinuosità del curvato; fino ad arrivare all'eleganza di TULIPS, piantana in ferro trattato ruggine, composta da cinque tulipani stilizzati, ognuno caratterizzato da spaccature irregolari che ne rendono ancora più suggestiva la luminescenza.
Visti nell'insieme i pezzi della collezione rivelano la comune matrice, non solo per i materiali usati ma anche per una fisionomia che li fa apparire come un eterogeneo nucleo familiare cui è inscritto il codice genetico della stessa pro-creatrice. Ed è proprio questo il segreto di Daniela Boni: un'unica idea che prende forma lentamente attraverso la passione, l'esperienza, l'amore e lo scambio vicendevole derivante da ogni singolo lavoro nascente. Non una semplice azione meccanica, dunque, ma una vera e propria esigenza-di-creare che spinge costantemente l'artista quasi alchimista contemporaneo alla ricerca di una "pietra filosofale" che, anziché trasformare il metallo in oro, toccando il ferro gli conceda la vita.
17
settembre 2004
Daniela Boni – Toccaferro
Dal 17 settembre al 31 ottobre 2004
design
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
CATARTICA ARTE CONTEMPORANEA
Torino, Via Giuseppe Garibaldi, 9/BIS, (Torino)
Torino, Via Giuseppe Garibaldi, 9/BIS, (Torino)
Orario di apertura
martedì, giovedì e venerdì dalle 15.00 alle 19.00. Altri giorni e orari su appuntamento
Vernissage
17 Settembre 2004, ore 17.00
Sito web
www.danielaboni.net
Curatore




