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Deciframi
Un concept e due artisti. Al primo piano le opere dell’artista turca Naz Pasali e del collettivo queer Muliere; e, al piano sottostante, i lavori del romano Federico Ciacci, due artisti molti diversi come poetica e ricerca artistica ma accomunati dal porre i visitatori di fronte a una sfida.
Comunicato stampa
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Un concept e due artisti. È con la mostra bi-personale Deciframi, a cura di Guenda Bianca Riccio della Noce, che Arciliuto, locale nel cuore di Roma, inaugura la nuova direzione artistica di Valentina Gerardi, Gabriele Geri e Sarah Della Porta, aprendosi all’arte, nell’ambito della RAW 2025.
Una doppia esposizione di Naz Pasali e Federico Ciacci, dislocata nei due piani dello storico locale, visitabile dal 20 al 25 ottobre e con una serata evento che si terrà il 24 ottobre, alla presenza degli artisti e animata da performance musicali e dj set.
Al primo piano le opere dell’artista turca Naz Pasali e del collettivo queer e femminista Muliere da lei fondato nel 2019; e, al piano sottostante, i lavori del romano Federico Ciacci, due artisti molti diversi come poetica e ricerca artistica ma accomunati dal porre i visitatori di fronte a una sfida. Entrambi, come ha notato la curatrice Guenda Bianca Riccio della Noce: “propongono delle opere che richiedono una fruizione attiva, nella misura in cui si tratta di lavori da decifrare che non offrono risposte ma semmai suscitano domande sui temi più caldi della quotidianità”.
Naz Pasali e il collettivo Muliere
Nata a Istanbul nel 1997, Naz Pasali costruisce attraverso collage e sculture un linguaggio che restituisce voce, memoria e complessità al corpo femminile. La sua ricerca nasce dal desiderio di decostruire le sovrastrutture che, nel tempo, hanno trasformato il corpo in oggetto, privandolo della sua libertà e della sua stessa appartenenza.
Il suo lavoro si configura come un atto di riappropriazione: un percorso che denuncia l’invisibilità dello sfruttamento e afferma la possibilità di una libertà reale.
Per Pasali, il corpo femminile è un luogo di memoria e di pensiero, un paesaggio in cui convivono ferite e rinascite. Attraverso la tecnica del collage — che frammenta e ricompone, rompe e ricuce — l’artista indaga le strutture sociali che hanno confinato le donne entro ruoli predefiniti, restituendo a ogni frammento una nuova dignità. Ogni ricomposizione è un gesto di resistenza, un atto politico e poetico al tempo stesso: il corpo, da superficie passiva, si trasforma in spazio vivo e consapevole.
“Il corpo femminile non deve essere né nascosto né esibito. Deve essere ripensato”, afferma Pasali, ribadendo come la più pericolosa forma di sfruttamento sia l’invisibilità. L’alienazione, per lei, è la violenza più subdola del patriarcato: la riduzione della donna a presenza muta, a corpo senza voce. Con la sua arte, Pasali sovverte questa condizione, restituendo al corpo la possibilità di parlare, di occupare spazio, di essere soggetto e non più oggetto.
Le sue opere, realizzate con materiali quotidiani, vetro colorato e frammenti di immagini, fanno emergere una complessità luminosa: i corpi che ritrae non sono più contenitori, ma universi di pensieri e possibilità. “Voglio sollevare il velo dell’abitudine”, dice, “per ricordare che una condizione di esistenza più libera è possibile.”
Il suo percorso artistico nasce parallelamente a un impegno curatoriale e collettivo. Dopo un’esperienza come regista a Istanbul, una critica d’arte scopre i suoi collage, portandola a esporre con la galleria DoArt. Tuttavia, la natura indipendente e militante della sua ricerca la spinge presto oltre i circuiti tradizionali.
Nel 2019 fonda a Istanbul Muliere, un collettivo queer e femminista, non profit e artist-run, nato per creare uno spazio libero di produzione e dialogo. Con Muliere organizza numerose mostre nella capitale turca e successivamente dà vita a collaborazioni a Roma con il collettivo Vernissage, costruendo un ponte tra le scene artistiche italiana e turca. Attraverso Muliere, Pasali sostiene una rete di artiste e artisti emergenti, portando lavori italiani in fiere internazionali come ArtContact e ArtAnkara, a cui partecipa anche personalmente. La dimensione collettiva, per lei, non è solo organizzativa ma etica: un modo per restituire spazio e visibilità a chi ne è stato privato.
Oggi l’artista vive tra Istanbul e Milano, dove si sta preparando alla sua prossima mostra presso Spazio Hasita. La sua pratica, profondamente femminista, non si limita a denunciare la condizione patriarcale, ma punta a “colpire al cuore del problema”: la separazione storica tra corpo e anima, tra immagine e identità. Nella ricerca di Naz Pasali il corpo femminile diventa testimonianza e al contempo luogo di resistenza, in un orizzonte di energia e rinascita. Qui il corpo parla — e, nel farlo, riconquista sé stesso. Perché, come afferma l’artista, “la libertà comincia dal corpo.”
Federico Ciacci: tra sogno, labirinto e visione simbolica
Federico Ciacci (Roma, 1981) costruisce la propria cifra espressiva attorno a un elemento che è al contempo segno, struttura e metafora: il labirinto. Per lui, il labirinto non è soltanto un motivo visivo, ma un codice attraverso cui decifrare il mondo, esplorare le tensioni tra coscienza e inconscio, tra confini personali e spazi d’immaginazione.
Il suo cammino artistico comincia quasi per caso, sulla base dell’incitamento di persone a lui vicine, e così, da pensieri sparsi, visioni, bozzetti, nascono le sue prime opere. Questo impulso diventa presto la base di un percorso più consapevole, grazie anche all’incontro con il pittore Giovanni Antoci, di cui diventa collaboratore. E proprio nella casa-studio dell’amico pittore, Ciacci affina una tecnica che unisce impronta pittorica ed esperienza personale, facendo emergere il suo stile tra simbolismo e onirismo.
Nelle sue opere sogno e realtà si sovrappongono, si intrecciano. Le figure antropomorfe e deformi, labirinti intricati e misteriosi diventano occasioni per far emergere suggestioni dal subconscio: immagini che sembrano riflettere uno stato liminale in cui la percezione della realtà si fa liquida, flottante, incerta. I confini tra percezione e immaginazione diventano sfumati, indefiniti, perché le stanze del labirinto di Ciacci non conducono a facili soluzioni ma costituiscono un viatico verso l’interiorità, suscitando riflessioni, interrogativi, possibilità di metamorfosi e trasformazioni. Una sensibilità per la “pluralità di significanti”, l’incompiutezza che, lasciando spazio a molteplici interpretazioni, Ciacci ha sviluppato sin dagli esordi, come dimostrano le opere esposte al Lanificio 159 nel 2011. Lavori in cui l’artista riversa umori, parole, visioni dell’uomo contemporaneo: un mondo che nella visione di Ciacci non segue una narrazione lineare ma è esperito attraverso simboli, collegamenti aperti. L’arte di Federico Ciacci non cerca la risposta definitiva: esplora. È una pratica che invita a perdersi per ritrovarsi, che sfrutta il labirinto (nel senso fisico e metaforico) per suggerire che la condizione umana è fatta di passaggi, deviazioni, ritorni. E nel suo viaggio l’artista trasforma l’ambiguità in forza, l’assenza di confini in possibilità inesplorate.
Il lavoro di Ciacci, focalizzato su temi attuali come: l’identità, la relazione tra personale e sociale, il rapporto tra sogno e realtà, gli ha valso nel 2025, la selezione per il concorso Future of Humanity Experience at Basel, nell’ambito del quale è emerso come un artista che invita a riflettere su cosa significhi essere umani nell’epoca della trasformazione tecnologica, globale e culturale.
Una doppia esposizione di Naz Pasali e Federico Ciacci, dislocata nei due piani dello storico locale, visitabile dal 20 al 25 ottobre e con una serata evento che si terrà il 24 ottobre, alla presenza degli artisti e animata da performance musicali e dj set.
Al primo piano le opere dell’artista turca Naz Pasali e del collettivo queer e femminista Muliere da lei fondato nel 2019; e, al piano sottostante, i lavori del romano Federico Ciacci, due artisti molti diversi come poetica e ricerca artistica ma accomunati dal porre i visitatori di fronte a una sfida. Entrambi, come ha notato la curatrice Guenda Bianca Riccio della Noce: “propongono delle opere che richiedono una fruizione attiva, nella misura in cui si tratta di lavori da decifrare che non offrono risposte ma semmai suscitano domande sui temi più caldi della quotidianità”.
Naz Pasali e il collettivo Muliere
Nata a Istanbul nel 1997, Naz Pasali costruisce attraverso collage e sculture un linguaggio che restituisce voce, memoria e complessità al corpo femminile. La sua ricerca nasce dal desiderio di decostruire le sovrastrutture che, nel tempo, hanno trasformato il corpo in oggetto, privandolo della sua libertà e della sua stessa appartenenza.
Il suo lavoro si configura come un atto di riappropriazione: un percorso che denuncia l’invisibilità dello sfruttamento e afferma la possibilità di una libertà reale.
Per Pasali, il corpo femminile è un luogo di memoria e di pensiero, un paesaggio in cui convivono ferite e rinascite. Attraverso la tecnica del collage — che frammenta e ricompone, rompe e ricuce — l’artista indaga le strutture sociali che hanno confinato le donne entro ruoli predefiniti, restituendo a ogni frammento una nuova dignità. Ogni ricomposizione è un gesto di resistenza, un atto politico e poetico al tempo stesso: il corpo, da superficie passiva, si trasforma in spazio vivo e consapevole.
“Il corpo femminile non deve essere né nascosto né esibito. Deve essere ripensato”, afferma Pasali, ribadendo come la più pericolosa forma di sfruttamento sia l’invisibilità. L’alienazione, per lei, è la violenza più subdola del patriarcato: la riduzione della donna a presenza muta, a corpo senza voce. Con la sua arte, Pasali sovverte questa condizione, restituendo al corpo la possibilità di parlare, di occupare spazio, di essere soggetto e non più oggetto.
Le sue opere, realizzate con materiali quotidiani, vetro colorato e frammenti di immagini, fanno emergere una complessità luminosa: i corpi che ritrae non sono più contenitori, ma universi di pensieri e possibilità. “Voglio sollevare il velo dell’abitudine”, dice, “per ricordare che una condizione di esistenza più libera è possibile.”
Il suo percorso artistico nasce parallelamente a un impegno curatoriale e collettivo. Dopo un’esperienza come regista a Istanbul, una critica d’arte scopre i suoi collage, portandola a esporre con la galleria DoArt. Tuttavia, la natura indipendente e militante della sua ricerca la spinge presto oltre i circuiti tradizionali.
Nel 2019 fonda a Istanbul Muliere, un collettivo queer e femminista, non profit e artist-run, nato per creare uno spazio libero di produzione e dialogo. Con Muliere organizza numerose mostre nella capitale turca e successivamente dà vita a collaborazioni a Roma con il collettivo Vernissage, costruendo un ponte tra le scene artistiche italiana e turca. Attraverso Muliere, Pasali sostiene una rete di artiste e artisti emergenti, portando lavori italiani in fiere internazionali come ArtContact e ArtAnkara, a cui partecipa anche personalmente. La dimensione collettiva, per lei, non è solo organizzativa ma etica: un modo per restituire spazio e visibilità a chi ne è stato privato.
Oggi l’artista vive tra Istanbul e Milano, dove si sta preparando alla sua prossima mostra presso Spazio Hasita. La sua pratica, profondamente femminista, non si limita a denunciare la condizione patriarcale, ma punta a “colpire al cuore del problema”: la separazione storica tra corpo e anima, tra immagine e identità. Nella ricerca di Naz Pasali il corpo femminile diventa testimonianza e al contempo luogo di resistenza, in un orizzonte di energia e rinascita. Qui il corpo parla — e, nel farlo, riconquista sé stesso. Perché, come afferma l’artista, “la libertà comincia dal corpo.”
Federico Ciacci: tra sogno, labirinto e visione simbolica
Federico Ciacci (Roma, 1981) costruisce la propria cifra espressiva attorno a un elemento che è al contempo segno, struttura e metafora: il labirinto. Per lui, il labirinto non è soltanto un motivo visivo, ma un codice attraverso cui decifrare il mondo, esplorare le tensioni tra coscienza e inconscio, tra confini personali e spazi d’immaginazione.
Il suo cammino artistico comincia quasi per caso, sulla base dell’incitamento di persone a lui vicine, e così, da pensieri sparsi, visioni, bozzetti, nascono le sue prime opere. Questo impulso diventa presto la base di un percorso più consapevole, grazie anche all’incontro con il pittore Giovanni Antoci, di cui diventa collaboratore. E proprio nella casa-studio dell’amico pittore, Ciacci affina una tecnica che unisce impronta pittorica ed esperienza personale, facendo emergere il suo stile tra simbolismo e onirismo.
Nelle sue opere sogno e realtà si sovrappongono, si intrecciano. Le figure antropomorfe e deformi, labirinti intricati e misteriosi diventano occasioni per far emergere suggestioni dal subconscio: immagini che sembrano riflettere uno stato liminale in cui la percezione della realtà si fa liquida, flottante, incerta. I confini tra percezione e immaginazione diventano sfumati, indefiniti, perché le stanze del labirinto di Ciacci non conducono a facili soluzioni ma costituiscono un viatico verso l’interiorità, suscitando riflessioni, interrogativi, possibilità di metamorfosi e trasformazioni. Una sensibilità per la “pluralità di significanti”, l’incompiutezza che, lasciando spazio a molteplici interpretazioni, Ciacci ha sviluppato sin dagli esordi, come dimostrano le opere esposte al Lanificio 159 nel 2011. Lavori in cui l’artista riversa umori, parole, visioni dell’uomo contemporaneo: un mondo che nella visione di Ciacci non segue una narrazione lineare ma è esperito attraverso simboli, collegamenti aperti. L’arte di Federico Ciacci non cerca la risposta definitiva: esplora. È una pratica che invita a perdersi per ritrovarsi, che sfrutta il labirinto (nel senso fisico e metaforico) per suggerire che la condizione umana è fatta di passaggi, deviazioni, ritorni. E nel suo viaggio l’artista trasforma l’ambiguità in forza, l’assenza di confini in possibilità inesplorate.
Il lavoro di Ciacci, focalizzato su temi attuali come: l’identità, la relazione tra personale e sociale, il rapporto tra sogno e realtà, gli ha valso nel 2025, la selezione per il concorso Future of Humanity Experience at Basel, nell’ambito del quale è emerso come un artista che invita a riflettere su cosa significhi essere umani nell’epoca della trasformazione tecnologica, globale e culturale.
20
ottobre 2025
Deciframi
Dal 20 al 25 ottobre 2025
arte contemporanea
Location
L’ARCILIUTO
Roma, Piazza Di Montevecchio, 5, (Roma)
Roma, Piazza Di Montevecchio, 5, (Roma)
Orario di apertura
18 -24
Vernissage
24 Ottobre 2025, 18 -24
Autore
Curatore




