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Due Babele
La Galleria Giovanni Bonelli è lieta di presentare nella sede di Milano DUE BABELE, la mostra personale dell’artista Fulvio Di Piazza.
Comunicato stampa
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La Galleria Giovanni Bonelli è lieta di presentare nella sede di Milano DUE BABELE, la mostra personale dell’artista Fulvio Di Piazza.
L’universo pittorico di Fulvio Di Piazza si dispiega come una costellazione di immagini che sollecitano lo sguardo e assieme lo destabilizzano, imponendo allo spettatore una ridefinizione delle proprie categorie percettive. La pittura, in questo contesto, non è superficie passiva né illustrazione narrativa, ma dispositivo epistemico e metafisico: un laboratorio in cui il visibile e l’invisibile si intrecciano, generando forme che sono insieme concrezioni sensibili e allegorie concettuali. L’articolazione di tali universi figurativi affonda le radici in una genealogia complessa che anziché disperdere il linguaggio pittorico, ne costituisce il tessuto generativo: un ordito che si manifesta nella costante tensione fra ordine e caos, fra monumentalità e rovina, fra esuberanza decorativa e ironica decadenza. Ne risulta un immaginario in cui il principio barocco del horror vacui si trasforma in proliferazione entropica, e in cui la pittura diventa strumento per cartografare l’eccesso, l’instabilità, la metamorfosi perpetua del reale.
Le due torri di Babele che dominano l’opera rappresentano il nodo concettuale attorno a cui questo universo prende forma. Esse, pur evocando l’archetipo biblico della confusione linguistica e della frammentazione culturale, assumono in Di Piazza un significato ulteriore: non più soltanto simboli della hybris umana e della conseguente caduta, ma segni di un’umanità smarrita in un presente dominato dalla disgregazione comunicativa e dall’assenza di riferimenti condivisi. In tale prospettiva, la rovina non si presenta come residuo del passato, ma come condizione ontologica del presente, e il paesaggio dipinto diventa allegoria di un mondo in cui la crisi è norma e la stabilità un miraggio.
Attorno a queste architetture smisurate e instabili si dispiega un pullulare di figure ibride, sospese tra zoologia fantastica e architettura surreale, testimoniano la dissoluzione dei confini ontologici fra naturale e artificiale, organico e inorganico, vivente e costruito. È una logica metamorfica, quella che domina l’opera, che rimanda al pensiero dell’interconnessione universale: nulla è isolato, ogni forma è il risultato di una relazione, e ogni entità è già sempre contaminata dall’altra.
È in questa dimensione che la pittura di Di Piazza si apre a un terreno filosofico che travalica l’estetica per sfociare nell’ontologia. Gli infiniti universi di Giordano Bruno, la concezione spinoziana del Deus sive Natura, l’idea platonica di Anima Mundi costituiscono riferimenti impliciti per comprendere la portata di un lavoro che non si limita a immaginare mondi fantastici, ma li istituisce come allegorie di una totalità indivisibile. Allo stesso tempo, il legame con l’ecologia profonda di Arne Næss si fa evidente: la pittura mette in scena un paradigma in cui il valore intrinseco di ogni forma vivente viene riconosciuto, e in cui le relazioni prevalgono sulle singole entità. La natura, nel suo incessante rigenerarsi, si rivela non come sfondo, ma come principio ontologico primario che ingloba e ridisegna anche le rovine della civiltà.
In tal senso, la pittura diventa un esercizio filosofico. Essa non si limita a rappresentare, ma produce un’ esperienza di connivenza, per usare un termine caro a Spinoza, in cui lo spettatore è chiamato a condividere un modo di essere-nel-mondo. L’ironia, il sarcasmo e il dramma coesistono in una tensione costante che non si risolve, ma che costringe a pensare la realtà come campo dinamico di forze, relazioni e possibilità.
La “Babele” di Di Piazza, dunque, non si esaurisce nella denuncia della confusione contemporanea, ma si apre come dispositivo utopico: un “mondo possibile” che ci invita a ripensare il nostro posto nell’universo, non più al centro di un sistema antropocentrico, ma come parte fragile eppure necessaria di una rete cosmica infinita. In questo orizzonte, la pittura si rivela non soltanto atto estetico, ma gesto filosofico, capace di tradurre in immagini il bisogno di un nuovo paradigma ecologico ed esistenziale.
L’universo pittorico di Fulvio Di Piazza si dispiega come una costellazione di immagini che sollecitano lo sguardo e assieme lo destabilizzano, imponendo allo spettatore una ridefinizione delle proprie categorie percettive. La pittura, in questo contesto, non è superficie passiva né illustrazione narrativa, ma dispositivo epistemico e metafisico: un laboratorio in cui il visibile e l’invisibile si intrecciano, generando forme che sono insieme concrezioni sensibili e allegorie concettuali. L’articolazione di tali universi figurativi affonda le radici in una genealogia complessa che anziché disperdere il linguaggio pittorico, ne costituisce il tessuto generativo: un ordito che si manifesta nella costante tensione fra ordine e caos, fra monumentalità e rovina, fra esuberanza decorativa e ironica decadenza. Ne risulta un immaginario in cui il principio barocco del horror vacui si trasforma in proliferazione entropica, e in cui la pittura diventa strumento per cartografare l’eccesso, l’instabilità, la metamorfosi perpetua del reale.
Le due torri di Babele che dominano l’opera rappresentano il nodo concettuale attorno a cui questo universo prende forma. Esse, pur evocando l’archetipo biblico della confusione linguistica e della frammentazione culturale, assumono in Di Piazza un significato ulteriore: non più soltanto simboli della hybris umana e della conseguente caduta, ma segni di un’umanità smarrita in un presente dominato dalla disgregazione comunicativa e dall’assenza di riferimenti condivisi. In tale prospettiva, la rovina non si presenta come residuo del passato, ma come condizione ontologica del presente, e il paesaggio dipinto diventa allegoria di un mondo in cui la crisi è norma e la stabilità un miraggio.
Attorno a queste architetture smisurate e instabili si dispiega un pullulare di figure ibride, sospese tra zoologia fantastica e architettura surreale, testimoniano la dissoluzione dei confini ontologici fra naturale e artificiale, organico e inorganico, vivente e costruito. È una logica metamorfica, quella che domina l’opera, che rimanda al pensiero dell’interconnessione universale: nulla è isolato, ogni forma è il risultato di una relazione, e ogni entità è già sempre contaminata dall’altra.
È in questa dimensione che la pittura di Di Piazza si apre a un terreno filosofico che travalica l’estetica per sfociare nell’ontologia. Gli infiniti universi di Giordano Bruno, la concezione spinoziana del Deus sive Natura, l’idea platonica di Anima Mundi costituiscono riferimenti impliciti per comprendere la portata di un lavoro che non si limita a immaginare mondi fantastici, ma li istituisce come allegorie di una totalità indivisibile. Allo stesso tempo, il legame con l’ecologia profonda di Arne Næss si fa evidente: la pittura mette in scena un paradigma in cui il valore intrinseco di ogni forma vivente viene riconosciuto, e in cui le relazioni prevalgono sulle singole entità. La natura, nel suo incessante rigenerarsi, si rivela non come sfondo, ma come principio ontologico primario che ingloba e ridisegna anche le rovine della civiltà.
In tal senso, la pittura diventa un esercizio filosofico. Essa non si limita a rappresentare, ma produce un’ esperienza di connivenza, per usare un termine caro a Spinoza, in cui lo spettatore è chiamato a condividere un modo di essere-nel-mondo. L’ironia, il sarcasmo e il dramma coesistono in una tensione costante che non si risolve, ma che costringe a pensare la realtà come campo dinamico di forze, relazioni e possibilità.
La “Babele” di Di Piazza, dunque, non si esaurisce nella denuncia della confusione contemporanea, ma si apre come dispositivo utopico: un “mondo possibile” che ci invita a ripensare il nostro posto nell’universo, non più al centro di un sistema antropocentrico, ma come parte fragile eppure necessaria di una rete cosmica infinita. In questo orizzonte, la pittura si rivela non soltanto atto estetico, ma gesto filosofico, capace di tradurre in immagini il bisogno di un nuovo paradigma ecologico ed esistenziale.
23
ottobre 2025
Due Babele
Dal 23 ottobre al 30 novembre 2025
arte contemporanea
Location
GALLERIA GIOVANNI BONELLI
Milano, Via Luigi Porro Lambertenghi, 6, (Milano)
Milano, Via Luigi Porro Lambertenghi, 6, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a domenica ore 11-19
Vernissage
23 Ottobre 2025, ore 19
Autore
Autore testo critico




