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Erica Mahinay – Contingent
Intitolata come un cut-up o un découpé e tenuta insieme dal format della mostra, questa serie assume la forma momentanea di un singolo lavoro prima di affrontare un futuro di separazione, distanza e riconfigurazione.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
◦ Granulare. Indeterminato. Relazionale. Mi lascio incompiuta, imperfetta. ◦ La mia mano stabilisce la misura delle mie conoscenze. Collezionare eventi, emergere, ripetere. ◦ Appassimento. Celebrazione offuscata della continuità. Una casa a LA. ◦ Il tempo ci restituisce a noi stessi. Fuori dai limiti e vulnerabili. Prendere il sole. ◦ ΔS ≥ 0, mia cara ◦ Nessun passato o futuro, ma ancora, la durata. Nessuna persona. Osso asciutto e respiro. Colonne di marmo lisce. Un brivido. ◦ Ho sentito che la conoscenza è solo una voce finché non la si avverte nel corpo. Siamo sempre più inappropriati. Voci riecheggiano finché lo so. Lo so lo so lo so ◦ Indice di visione. XXX. Approssimazioni. ◦ Rivoluzione a livello cellulare. Fissare un confine è abusarne. ◦ Occhi brillanti e sgattaiolare silenzioso. Con molta tenerezza; Tua; Fortuna e coraggio là fuori. ◦
Intitolata come un cut-up o un découpé e tenuta insieme dal format della mostra, questa serie assume la forma momentanea di un singolo lavoro prima di affrontare un futuro di separazione, distanza e riconfigurazione. La ripetizione indica un processo continuo di divenire all'interno di questa nuova serie di opere monocromatiche in cui la mano diventa misura per il mondo attraverso gesti viscerali e impronte. Questi gesti si allontanano dall'idea di marchiare o dal desiderio di lasciare una impronta individuale, e uniscono, invece, la trasparenza e l'interazione dei materiali attraverso un intimo atto di scoperta. I fori per le dita cuciti fanno pensare di poter attraversare il piano pittorico - entrando nell'immagine... provandola e indossandola. Questi dipinti sono sinceri promemoria che la superficie e l'immagine sono una costruzione. L'improvvisazione e l'evidenza della mano diventano un mezzo per ricordare l'autorialità come processo fittizio, una ricerca di un'immagine che si insinua e scivola nell'essere.
In "L’ordine del tempo", Carlo Rovelli disgrega il tempo come lo intende da sempre e suggerisce, in alternativa, che il tempo possa essere meglio compreso a partire dalla struttura del nostro cervello e delle emozioni, piuttosto che dall'universo fisico. Suggerisce che non possiamo definire completamente o adeguatamente il tempo perché "non abbiamo la grammatica per farlo". Mahinay vede l'astrazione come uno spazio per avvicinare queste incognite. Non avere la grammatica è una traccia per la crescita. L'incertezza è un segno per la possibilità di scoperta e reinvenzione. Qui si può avere l'opportunità di formare nuove reti neurali. La terra di confine tra l'astrazione e la figurazione offre un luogo per esplorare il confine tra il sé e l'altro e la tenerezza per la condizione di incompletezza condivisa dell'umanità.
Fino al 27 aprile, 2019
Erica Mahinay (1986, Santa Fe, Stati Uniti) vive e lavora a Los Angeles.
Intitolata come un cut-up o un découpé e tenuta insieme dal format della mostra, questa serie assume la forma momentanea di un singolo lavoro prima di affrontare un futuro di separazione, distanza e riconfigurazione. La ripetizione indica un processo continuo di divenire all'interno di questa nuova serie di opere monocromatiche in cui la mano diventa misura per il mondo attraverso gesti viscerali e impronte. Questi gesti si allontanano dall'idea di marchiare o dal desiderio di lasciare una impronta individuale, e uniscono, invece, la trasparenza e l'interazione dei materiali attraverso un intimo atto di scoperta. I fori per le dita cuciti fanno pensare di poter attraversare il piano pittorico - entrando nell'immagine... provandola e indossandola. Questi dipinti sono sinceri promemoria che la superficie e l'immagine sono una costruzione. L'improvvisazione e l'evidenza della mano diventano un mezzo per ricordare l'autorialità come processo fittizio, una ricerca di un'immagine che si insinua e scivola nell'essere.
In "L’ordine del tempo", Carlo Rovelli disgrega il tempo come lo intende da sempre e suggerisce, in alternativa, che il tempo possa essere meglio compreso a partire dalla struttura del nostro cervello e delle emozioni, piuttosto che dall'universo fisico. Suggerisce che non possiamo definire completamente o adeguatamente il tempo perché "non abbiamo la grammatica per farlo". Mahinay vede l'astrazione come uno spazio per avvicinare queste incognite. Non avere la grammatica è una traccia per la crescita. L'incertezza è un segno per la possibilità di scoperta e reinvenzione. Qui si può avere l'opportunità di formare nuove reti neurali. La terra di confine tra l'astrazione e la figurazione offre un luogo per esplorare il confine tra il sé e l'altro e la tenerezza per la condizione di incompletezza condivisa dell'umanità.
Fino al 27 aprile, 2019
Erica Mahinay (1986, Santa Fe, Stati Uniti) vive e lavora a Los Angeles.
22
marzo 2019
Erica Mahinay – Contingent
Dal 22 al 27 marzo 2019
arte contemporanea
Location
T293
Roma, Via Ripense, 6, (Roma)
Roma, Via Ripense, 6, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 12 – 19
Sabato ore 15 – 19
Vernissage
22 Marzo 2019, h 18
Autore