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Flavio Lucchini – The Vogue Lesson. Opere 1990/2010
Già vent’anni. Flavio Lucchini fa il punto sulla lunga strada percorsa da quando, nel 1990, ha abbandonato la professione di art director e di protagonista del mondo del fashion per dedicarsi completamente alla ricerca artistica, condotta in modo elegante e personale.
Comunicato stampa
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Già vent’anni. Flavio Lucchini fa il punto sulla lunga strada percorsa da quando, nel 1990, ha abbandonato la professione di art director e di protagonista del mondo del fashion per dedicarsi completamente alla ricerca artistica, condotta in modo elegante e personale.
Le sue radici professionali, legate alla creazione di Vogue Italia, immerse in quel mondo rarefatto, irraggiungibile, idealizzato, così come veniva rappresentato negli anni 60/70, e poi stilisti, modelle, fotografi, sfilate, alta moda, viaggi, immagini di sogno, l’hanno fortemente influenzato portandolo verso uno stile unico e originale.
“Una donna bellissima, un vestito stupendo, un visagista eccezionale, un grande fotografo, dei gioielli straordinari, il parrucchiere più creativo per una immagine destinata a pagine di carta splendida: ecco la ricetta di Vogue per creare il sogno: una donna divina. Non una donna umana, che vive e soffre, ma la odierna versione della Nike di Samotracia, delle dee di Prassitele, Nirone o Policleto. Questo è stato, per tanti anni, il mio mondo. Un luogo di assoluta armonia, dove il fulcro era il vestito, dove il limite era la perfezione.”
La trasmigrazione dalle pagine patinate di Vogue, di Amica, di Donna, di Moda, e di tutte le altre riviste create negli anni con l’aureo corollario di mondanità, all’isolamento del suo atelier, concentrato nel riscoprire l’antica passione dell’arte, nello sperimentare, nel “fare”, con le mani coi pennelli con le materie più diverse e, ultimamente, col mouse, quadri, sculture, bassorilievi, digital painting, lo ha portato fin qui. A questa mostra che, in sintesi, ripercorre alcune tappe dei suoi ultimi ventanni, e a un libro “From fashion to art: The Vogue lesson”, scritto con Luca Beatrice, a cura di Gisella Borioli, edito da Skira.
“Gli abiti femminili sanno trasmettere bellezza, ironia, aggressività, erotismo e tante altre sensazioni. Sono stati una parte importante della mia vita e non li ho mai considerati dei semplici involucri. Dai divini abiti della haute couture alle minigonne, agli abiti hippy o folk o punk o casual o sexy o, oggi, i burqa, i vestiti hanno “segnato” il tempo e continuano ancora oggi a far capire il mondo che cambia. La “lezione” di Vogue, che io stesso ho creato in Italia, mi ha profondamente condizionato. Passare dal fashion all’arte è stato un atto naturale.”
La mostra “The Vogue lesson” partecipa al circuito (con)TemporaryArt 2010, Art Point Superstudio Più, via Tortona 27, Milano, aperta dal 22 al 30 marzo. Il libro “From fashion to art: The Vogue lesson” verrà presentato la sera del 22 alle ore 19 in Art Point con la partecipazione di Flavio Lucchini, Luca Beatrice, Elio Fiorucci, Oliviero Toscani.
Come un ragazzo...
Intellettuale e creativo, Flavio Lucchini è stato un personaggio chiave della storia della moda e dell’editoria made in Italy. Dagli esordi come art director di riviste fashion nella Milano del boom economico, “inventore” dell’edizione italiana di Vogue, Lucchini veste oggi un nuovo abito, quello dell’artista, decretando il primato dell’espressività a 360 gradi, che non conosce regole e confini. Flavio gioca con i linguaggi attraverso una sperimentazione di materiali - resine, acciaio, gesso, argento e oro- e tecniche - fotografia, grafica, scultura. Piccole Dolls ultrapop e austeri Totem sovradimensionati si alternano alle bianche curve dei bassorilievi Dress Memory e ai coloratissimi Toys costruiti come tanti pezzi di lego. Le numerose serie realizzate dall’artista trovano nella figura femminile il metro di misura per uno stile aperto alle seduzioni che la donna – soggetto e oggetto – ha significato per tutto il suo percorso. Anche se celata, nascosta sotto un burqa, la bellezza di un paio d’occhi è qualcosa che dura e resiste nel tempo.
Luca Beatrice
Flavio Lucchini
The Vogue lesson
opere 1990/2010
a cura di Luca Beatrice
Come un ragazzo
Da tempo si discute se la moda possa essere considerata una forma d’arte. Questione complessa, di non semplice soluzione.
Bisogna intanto distinguere, mettendo da una parte i grandi stilisti che hanno cambiato, di fatto, la storia del fashion, e dall’altra quei geniali creativi che probabilmente sarebbero riusciti a incidere nella cultura anche se avessero praticato altri linguaggi. La prima categoria è davvero ampia, la seconda ben più ristretta. Certamente Vivienne Westwood si lega tout court alla storia del Punk e a un momento storico di forti cambiamenti, la fine degli anni Settanta. Oggi, per contro, Tom Ford dalla moda si trasferisce verso il cinema debuttando alla regia con A Single Man, tratto dal romanzo di Isherwood: perfetto esempio di film elegante, patinato, algido ma certamente non così connesso al nostro tempo. Anzi, dichiaratamente fuori tempo, metafisico persino.
Così il Museo dell’Arte si è aperto ad accogliere le espressioni del molteplice. La fotografia da almeno vent’anni ha ottenuto il definitivo diritto di cittadinanza, gli architetti vengono invitati alle Biennali, sarti e stilisti, da Capucci a Mila Schoen, diventano oggetto di studi e di ampie retrospettive museali.
Qui, invece, si racconta una storia diversa. La vicenda di un personaggio, di un intellettuale, che ha contribuito in maniera decisiva a “fare” la storia della moda e dell’editoria di moda e che, in età non più giovanissima se consideriamo per buono l’anagrafe, ha saltato la barricata e si è reinventato come artista. Questo libro testimonia dunque i suoi ultimi lavori, pur collegandoli alle precedenti esperienze, alla sua prima vita, con l’ambizione di farli vivere di luce propria.
Per Flavio Lucchini qualsiasi approccio all’arte è imprescindibile dal corpo. Ne costituisce il modello e l’unità di misura, il contatto con la realtà e il suo superamento. Tutte le sue sculture, dalle più piccole fino alle gigantesche, rispettano le proporzioni della figura umana che indossa un vestito, un abito, una copertura. Prima di essere totem, idoli, rappresentazioni simboliche sono dunque corpi.
Le sue sculture, così le definiamo in quanto oggetti tridimensionali, sono particolarmente sessuate, il loro modello di riferimento è femminile, ne segue curvature, forme, angolazioni. I precedenti illustri nella storia, la Colonna infinita di Brancusi e i personaggi fantastici di Max Ernst, l’africanismo di Picasso e i totem, gli idoli africani che lo ispirarono.
Quando pensa a un colore, Lucchini sceglie il bianco, colore della “sua” Milano, quella di Fontana, Manzoni, di Azimut. Da una parte dunque la fantasmagoria visiva, il gioco simbolico, l’antropomorfismo (femmina), dall’altro il bisogno di chiarezza, sintesi, essenziale, pulizia formale per spiegarci che l’opera, per esistere, deve comunque andare a percorrere la strada dell’arte concettuale.
Un personaggio come Lucchini sarebbe potuto nascere “artisticamente” solo a Milano Quel ragazzo venuto dalla provincia di Mantova che scopre lo straordinario fermento creativo che comincia negli anni ’50 e arriva a metà ’60. La prima, autentica “Milano da bere” che inventa in Italia il design, l’architettura moderna, la moda, l’editoria, come ricorda in una breve e suggestiva nota biografica Renzo Dall’Ara: “la straordinaria Milano degli Anni ‘50, tutta un fermento di idee, che dava spazio ai nuovi talenti, fossero i giovani e rampanti architetti Gae Aulenti, Vittorio Gregotti, Guido Canella con i quali entrava in contatto o i grafici creativi. Lucchini tale poteva rivelarsi lavorando per la Nestlè, la Singer e poi, per il tramite di Franco
Sartori, approdare all’azienda Corriere della Sera, dal versante della Domenica del Corriere, storico settimanale diretto da Dino Buzzati. In sintesi drastica e inadeguata, le tappe successive dell’ascesa professionale ed artistica di Flavio: da Fantasia, periodico della De Agostini, creato e diretto nel 1960, alla progettazione editoriale ed esecutiva nel 1961 di Amica, nuovo settimanale del Corriere, a fianco di Sartori, con la responsabilità della direzione artistica. Dal 1965 lo scoprivano gli americani della Condè Nast: la prima esperienza della rivista Novità portava nel’66 all’uscita anche in Italia della patinatissima Vogue. Lucchini ne guidava, come art director, nascita e crescita, oltre alla proliferazione delle altre testate del gruppo: L’Uomo Vogue, Casa Vogue, Vogue Bambini, e Lei-Glamour, rivolto al target femminile giovane. L’ambiente Condè Nast era decisamente high society in fatto di frequentazioni modaiole, artistiche, giornalistiche: dai grandi fotografi Richard Avedon, David Bailey e Oliviero Toscani,
al pittore Mario Schifano, alle top model Jane Shrimpton, Penelope Tree e Veruskha. Nel 1967 con Giancarlo Iliprandi, Horst Blachian, Pino Tovaglia e Till Neuburg aveva fondato l’Art Directors Club di Milano”.
Nel clima artistico milanese non va dimenticata l’influenza della Pop Art, assai diversa da quella romana maledetta e barocca. I pittori attivi nel capoluogo lombardo giocano con gli oggetti, le parole, le situazioni, rivolgono l’attenzione ai media e al mondo della comunicazione. Se però dovessi scegliere un solo artista che per attitudine e mentalità accosterei a Lucchini, beh penserei soprattutto a Bruno Munari, il primo a considerare il gioco come parte integrante del fare, qualcosa che arricchisce, predispone positivamente, un creativo a 360 gradi che non ha mai considerato il divario tra alto e basso e ha sviluppato nei confronti della pagina scritta un amore senza precedenti. Come fece Munari creando i suoi libri, così ha fatto Lucchini. Un editore “all’italiana” che non si limita alla produzione seriale, diversamente da quella figura più rigida che è l’editor “all’inglese”. Il libro è pagina scritta, è logo e grafica, è immagine e disegno che ne accompagna i contenuti in un tutt’uno magistralmente eseguito. L’arte di Lucchini ha gli stessi risvolti multidisciplinari, la stessa capacità lungimirante di plasmare ogni suggestione che gli capiti a tiro. Indistintamente. Con l’uso alternato di semiotica - fatta di segni, significati e comunicazioni derivate - da una parte e semantica linguistica dall’altra. “I cassetti sono le tasche dei mobili e le tasche sono i cassetti dei vestiti. Talvolta cerchi qualcosa in un cassetto e invece è in un’altra tasca. Alcuni cassetti sono tenuti molto in ordine, la roba nelle tasche va dove vuole.” (Bruno Munari, Pensare confonde le idee)
Le definizioni spaventano. Non un ragazzo, non Lucchini. Sarà anche quello spirito di eterno fanciullo, che non conosce paure in favore della scoperta, a farne un insaziabile conoscitore di tecniche e materiali. Ogni sua invenzione nasce da una genuina matrice necessaria e, per certi versi, unica vera linfa vitale dell’universo creativo in generale: la curiosità intelligente con la quale osservare il mondo. La curiosità, fanciullesca diciamolo, detentrice unica di immaginazione e freschezza espressiva. In nome di una componente sempre giocosa, anche quando critica o trasversalmente denunciataria – la lunga fila di donne in burqa, altra faccia di una divinizzazione femminile tutt’altro che gratificante – Lucchini chiama a sé l’ironia per parlare dei riti e dei miti della moda. Altre volte, come farebbe un bambino di fronte una montagna di lego, Lucchini monta e smonta giganti sculture giocattolo colorate. Versione per proto-cubista dei personaggi immaginati da Niki de Saint-Phalle nel suo “Giardino dei Tarocchi”. “Sono un bambino incantato davanti a un fiore, un sasso, una piega, una forma, un campo”. È imbevuto di quest’atteggiamento curioso che Lucchini si è fatto trasportare da una sperimentazione tout court di materiali – resine, acciaio, gesso, argento – tecniche – dalla fotografia alla grafica, dalla scultura tridimensionale e al bassorilievo squisitamente rifinito – e dimensioni – dai Totem sovra proporzionati alle mini Dolls fluo.
L’oro e l’argento, volute barocche e idolatria pagana. Anche per Lucchini, l’ornamento “non” è delitto: la preziosità, la cura del dettaglio, la nostalgia di una ricchezza espressa attraverso l’uso di geometrie raffinate e materiali eterni, unici, pregiati lo allontanano da un versante minimalista dell’arte per avvicinarlo a modalità più eccentriche e incondizionate, alla maniera dell’americano Jeff Koons alternativamente etichettato come Neo Geo – per il gusto alla geometria alla Peter Halley - e Neo Pop per la modalità di riflettere sarcasticamente sulle incoerenze del mondo contemporaneo, utilizzando in modo strategico le stessi armi della società del marketing e della pubblicità.
L’architettura è l’altro riflesso di una cultura tutta milanese di cui Lucchini è figlio e padre insieme. Nato come architetto, Lucchini ha poi scoperto il design, la grafica, la moda, e infine l’arte. Metro di misure estetico sempre lei, sempre la donna, vero leitmotiv di un iter progettuale che ha coniugato le discipline nella restituzione di un’immagine calibrata sulla figura femminile, sempre. L’austerità di un corpo alto e snello – i Totem - o le curve sinuose che dettano le linee morbide dei Dress Memory. Come fashion editor prima e come artista adesso. La donna, intravista sotto corazze di piombo e bronzo, la donna-bambina che ammicca nell’ironia delle Dolls, la donna accarezzata sotto il candore di memorie bianche e virginali. E ancora in quegli sguardi, impossibili, che vedono pur non essendo visti. La donna è sempre seduzione. Principio estetico. Feticcio da ammirare e da cui farsi affascinare.
Luca Beatrice
Le sue radici professionali, legate alla creazione di Vogue Italia, immerse in quel mondo rarefatto, irraggiungibile, idealizzato, così come veniva rappresentato negli anni 60/70, e poi stilisti, modelle, fotografi, sfilate, alta moda, viaggi, immagini di sogno, l’hanno fortemente influenzato portandolo verso uno stile unico e originale.
“Una donna bellissima, un vestito stupendo, un visagista eccezionale, un grande fotografo, dei gioielli straordinari, il parrucchiere più creativo per una immagine destinata a pagine di carta splendida: ecco la ricetta di Vogue per creare il sogno: una donna divina. Non una donna umana, che vive e soffre, ma la odierna versione della Nike di Samotracia, delle dee di Prassitele, Nirone o Policleto. Questo è stato, per tanti anni, il mio mondo. Un luogo di assoluta armonia, dove il fulcro era il vestito, dove il limite era la perfezione.”
La trasmigrazione dalle pagine patinate di Vogue, di Amica, di Donna, di Moda, e di tutte le altre riviste create negli anni con l’aureo corollario di mondanità, all’isolamento del suo atelier, concentrato nel riscoprire l’antica passione dell’arte, nello sperimentare, nel “fare”, con le mani coi pennelli con le materie più diverse e, ultimamente, col mouse, quadri, sculture, bassorilievi, digital painting, lo ha portato fin qui. A questa mostra che, in sintesi, ripercorre alcune tappe dei suoi ultimi ventanni, e a un libro “From fashion to art: The Vogue lesson”, scritto con Luca Beatrice, a cura di Gisella Borioli, edito da Skira.
“Gli abiti femminili sanno trasmettere bellezza, ironia, aggressività, erotismo e tante altre sensazioni. Sono stati una parte importante della mia vita e non li ho mai considerati dei semplici involucri. Dai divini abiti della haute couture alle minigonne, agli abiti hippy o folk o punk o casual o sexy o, oggi, i burqa, i vestiti hanno “segnato” il tempo e continuano ancora oggi a far capire il mondo che cambia. La “lezione” di Vogue, che io stesso ho creato in Italia, mi ha profondamente condizionato. Passare dal fashion all’arte è stato un atto naturale.”
La mostra “The Vogue lesson” partecipa al circuito (con)TemporaryArt 2010, Art Point Superstudio Più, via Tortona 27, Milano, aperta dal 22 al 30 marzo. Il libro “From fashion to art: The Vogue lesson” verrà presentato la sera del 22 alle ore 19 in Art Point con la partecipazione di Flavio Lucchini, Luca Beatrice, Elio Fiorucci, Oliviero Toscani.
Come un ragazzo...
Intellettuale e creativo, Flavio Lucchini è stato un personaggio chiave della storia della moda e dell’editoria made in Italy. Dagli esordi come art director di riviste fashion nella Milano del boom economico, “inventore” dell’edizione italiana di Vogue, Lucchini veste oggi un nuovo abito, quello dell’artista, decretando il primato dell’espressività a 360 gradi, che non conosce regole e confini. Flavio gioca con i linguaggi attraverso una sperimentazione di materiali - resine, acciaio, gesso, argento e oro- e tecniche - fotografia, grafica, scultura. Piccole Dolls ultrapop e austeri Totem sovradimensionati si alternano alle bianche curve dei bassorilievi Dress Memory e ai coloratissimi Toys costruiti come tanti pezzi di lego. Le numerose serie realizzate dall’artista trovano nella figura femminile il metro di misura per uno stile aperto alle seduzioni che la donna – soggetto e oggetto – ha significato per tutto il suo percorso. Anche se celata, nascosta sotto un burqa, la bellezza di un paio d’occhi è qualcosa che dura e resiste nel tempo.
Luca Beatrice
Flavio Lucchini
The Vogue lesson
opere 1990/2010
a cura di Luca Beatrice
Come un ragazzo
Da tempo si discute se la moda possa essere considerata una forma d’arte. Questione complessa, di non semplice soluzione.
Bisogna intanto distinguere, mettendo da una parte i grandi stilisti che hanno cambiato, di fatto, la storia del fashion, e dall’altra quei geniali creativi che probabilmente sarebbero riusciti a incidere nella cultura anche se avessero praticato altri linguaggi. La prima categoria è davvero ampia, la seconda ben più ristretta. Certamente Vivienne Westwood si lega tout court alla storia del Punk e a un momento storico di forti cambiamenti, la fine degli anni Settanta. Oggi, per contro, Tom Ford dalla moda si trasferisce verso il cinema debuttando alla regia con A Single Man, tratto dal romanzo di Isherwood: perfetto esempio di film elegante, patinato, algido ma certamente non così connesso al nostro tempo. Anzi, dichiaratamente fuori tempo, metafisico persino.
Così il Museo dell’Arte si è aperto ad accogliere le espressioni del molteplice. La fotografia da almeno vent’anni ha ottenuto il definitivo diritto di cittadinanza, gli architetti vengono invitati alle Biennali, sarti e stilisti, da Capucci a Mila Schoen, diventano oggetto di studi e di ampie retrospettive museali.
Qui, invece, si racconta una storia diversa. La vicenda di un personaggio, di un intellettuale, che ha contribuito in maniera decisiva a “fare” la storia della moda e dell’editoria di moda e che, in età non più giovanissima se consideriamo per buono l’anagrafe, ha saltato la barricata e si è reinventato come artista. Questo libro testimonia dunque i suoi ultimi lavori, pur collegandoli alle precedenti esperienze, alla sua prima vita, con l’ambizione di farli vivere di luce propria.
Per Flavio Lucchini qualsiasi approccio all’arte è imprescindibile dal corpo. Ne costituisce il modello e l’unità di misura, il contatto con la realtà e il suo superamento. Tutte le sue sculture, dalle più piccole fino alle gigantesche, rispettano le proporzioni della figura umana che indossa un vestito, un abito, una copertura. Prima di essere totem, idoli, rappresentazioni simboliche sono dunque corpi.
Le sue sculture, così le definiamo in quanto oggetti tridimensionali, sono particolarmente sessuate, il loro modello di riferimento è femminile, ne segue curvature, forme, angolazioni. I precedenti illustri nella storia, la Colonna infinita di Brancusi e i personaggi fantastici di Max Ernst, l’africanismo di Picasso e i totem, gli idoli africani che lo ispirarono.
Quando pensa a un colore, Lucchini sceglie il bianco, colore della “sua” Milano, quella di Fontana, Manzoni, di Azimut. Da una parte dunque la fantasmagoria visiva, il gioco simbolico, l’antropomorfismo (femmina), dall’altro il bisogno di chiarezza, sintesi, essenziale, pulizia formale per spiegarci che l’opera, per esistere, deve comunque andare a percorrere la strada dell’arte concettuale.
Un personaggio come Lucchini sarebbe potuto nascere “artisticamente” solo a Milano Quel ragazzo venuto dalla provincia di Mantova che scopre lo straordinario fermento creativo che comincia negli anni ’50 e arriva a metà ’60. La prima, autentica “Milano da bere” che inventa in Italia il design, l’architettura moderna, la moda, l’editoria, come ricorda in una breve e suggestiva nota biografica Renzo Dall’Ara: “la straordinaria Milano degli Anni ‘50, tutta un fermento di idee, che dava spazio ai nuovi talenti, fossero i giovani e rampanti architetti Gae Aulenti, Vittorio Gregotti, Guido Canella con i quali entrava in contatto o i grafici creativi. Lucchini tale poteva rivelarsi lavorando per la Nestlè, la Singer e poi, per il tramite di Franco
Sartori, approdare all’azienda Corriere della Sera, dal versante della Domenica del Corriere, storico settimanale diretto da Dino Buzzati. In sintesi drastica e inadeguata, le tappe successive dell’ascesa professionale ed artistica di Flavio: da Fantasia, periodico della De Agostini, creato e diretto nel 1960, alla progettazione editoriale ed esecutiva nel 1961 di Amica, nuovo settimanale del Corriere, a fianco di Sartori, con la responsabilità della direzione artistica. Dal 1965 lo scoprivano gli americani della Condè Nast: la prima esperienza della rivista Novità portava nel’66 all’uscita anche in Italia della patinatissima Vogue. Lucchini ne guidava, come art director, nascita e crescita, oltre alla proliferazione delle altre testate del gruppo: L’Uomo Vogue, Casa Vogue, Vogue Bambini, e Lei-Glamour, rivolto al target femminile giovane. L’ambiente Condè Nast era decisamente high society in fatto di frequentazioni modaiole, artistiche, giornalistiche: dai grandi fotografi Richard Avedon, David Bailey e Oliviero Toscani,
al pittore Mario Schifano, alle top model Jane Shrimpton, Penelope Tree e Veruskha. Nel 1967 con Giancarlo Iliprandi, Horst Blachian, Pino Tovaglia e Till Neuburg aveva fondato l’Art Directors Club di Milano”.
Nel clima artistico milanese non va dimenticata l’influenza della Pop Art, assai diversa da quella romana maledetta e barocca. I pittori attivi nel capoluogo lombardo giocano con gli oggetti, le parole, le situazioni, rivolgono l’attenzione ai media e al mondo della comunicazione. Se però dovessi scegliere un solo artista che per attitudine e mentalità accosterei a Lucchini, beh penserei soprattutto a Bruno Munari, il primo a considerare il gioco come parte integrante del fare, qualcosa che arricchisce, predispone positivamente, un creativo a 360 gradi che non ha mai considerato il divario tra alto e basso e ha sviluppato nei confronti della pagina scritta un amore senza precedenti. Come fece Munari creando i suoi libri, così ha fatto Lucchini. Un editore “all’italiana” che non si limita alla produzione seriale, diversamente da quella figura più rigida che è l’editor “all’inglese”. Il libro è pagina scritta, è logo e grafica, è immagine e disegno che ne accompagna i contenuti in un tutt’uno magistralmente eseguito. L’arte di Lucchini ha gli stessi risvolti multidisciplinari, la stessa capacità lungimirante di plasmare ogni suggestione che gli capiti a tiro. Indistintamente. Con l’uso alternato di semiotica - fatta di segni, significati e comunicazioni derivate - da una parte e semantica linguistica dall’altra. “I cassetti sono le tasche dei mobili e le tasche sono i cassetti dei vestiti. Talvolta cerchi qualcosa in un cassetto e invece è in un’altra tasca. Alcuni cassetti sono tenuti molto in ordine, la roba nelle tasche va dove vuole.” (Bruno Munari, Pensare confonde le idee)
Le definizioni spaventano. Non un ragazzo, non Lucchini. Sarà anche quello spirito di eterno fanciullo, che non conosce paure in favore della scoperta, a farne un insaziabile conoscitore di tecniche e materiali. Ogni sua invenzione nasce da una genuina matrice necessaria e, per certi versi, unica vera linfa vitale dell’universo creativo in generale: la curiosità intelligente con la quale osservare il mondo. La curiosità, fanciullesca diciamolo, detentrice unica di immaginazione e freschezza espressiva. In nome di una componente sempre giocosa, anche quando critica o trasversalmente denunciataria – la lunga fila di donne in burqa, altra faccia di una divinizzazione femminile tutt’altro che gratificante – Lucchini chiama a sé l’ironia per parlare dei riti e dei miti della moda. Altre volte, come farebbe un bambino di fronte una montagna di lego, Lucchini monta e smonta giganti sculture giocattolo colorate. Versione per proto-cubista dei personaggi immaginati da Niki de Saint-Phalle nel suo “Giardino dei Tarocchi”. “Sono un bambino incantato davanti a un fiore, un sasso, una piega, una forma, un campo”. È imbevuto di quest’atteggiamento curioso che Lucchini si è fatto trasportare da una sperimentazione tout court di materiali – resine, acciaio, gesso, argento – tecniche – dalla fotografia alla grafica, dalla scultura tridimensionale e al bassorilievo squisitamente rifinito – e dimensioni – dai Totem sovra proporzionati alle mini Dolls fluo.
L’oro e l’argento, volute barocche e idolatria pagana. Anche per Lucchini, l’ornamento “non” è delitto: la preziosità, la cura del dettaglio, la nostalgia di una ricchezza espressa attraverso l’uso di geometrie raffinate e materiali eterni, unici, pregiati lo allontanano da un versante minimalista dell’arte per avvicinarlo a modalità più eccentriche e incondizionate, alla maniera dell’americano Jeff Koons alternativamente etichettato come Neo Geo – per il gusto alla geometria alla Peter Halley - e Neo Pop per la modalità di riflettere sarcasticamente sulle incoerenze del mondo contemporaneo, utilizzando in modo strategico le stessi armi della società del marketing e della pubblicità.
L’architettura è l’altro riflesso di una cultura tutta milanese di cui Lucchini è figlio e padre insieme. Nato come architetto, Lucchini ha poi scoperto il design, la grafica, la moda, e infine l’arte. Metro di misure estetico sempre lei, sempre la donna, vero leitmotiv di un iter progettuale che ha coniugato le discipline nella restituzione di un’immagine calibrata sulla figura femminile, sempre. L’austerità di un corpo alto e snello – i Totem - o le curve sinuose che dettano le linee morbide dei Dress Memory. Come fashion editor prima e come artista adesso. La donna, intravista sotto corazze di piombo e bronzo, la donna-bambina che ammicca nell’ironia delle Dolls, la donna accarezzata sotto il candore di memorie bianche e virginali. E ancora in quegli sguardi, impossibili, che vedono pur non essendo visti. La donna è sempre seduzione. Principio estetico. Feticcio da ammirare e da cui farsi affascinare.
Luca Beatrice
22
marzo 2010
Flavio Lucchini – The Vogue Lesson. Opere 1990/2010
Dal 22 al 30 marzo 2010
design
fotografia
arte contemporanea
fotografia
arte contemporanea
Location
SUPERSTUDIO PIU’
Milano, Via Tortona, 27, (Milano)
Milano, Via Tortona, 27, (Milano)
Orario di apertura
ore 16.00-20.00
Vernissage
22 Marzo 2010, ore 18.00 ore 18.00
con presentazione del libro “From Fashion to Art: The Vogue Lesson”, edito da Skira,
con Flavio Lucchini, Luca Beatrice, Elio Fiorucci, Oliviero Toscani, ore 19.00
Art Point
Sito web
www.con-temporaryart.it
Editore
SKIRA
Autore
Curatore